Questa
non è un'intervista recente, ma per quello che viene detto riteniamo si
inserisca molto bene nelle riflessioni attuali sulla relazione di differenza.
Dall'Unita'
del 13 aprile 2000
Io
donna non saro' piu' te uomo
La
cultura di Luce Irigaray, pensatrice della differenza. La ricerca di una filosofia
a
due soggetti per un incontro senza dominio. Esiste un'altra logica che
si oppone
a quella del neutro universale.
BRUNO GRAVAGNUOLO INTERVISTA LUCE IRIGARAY
Pensare
la "differenza". E' dai primordi del pensiero che l'Occidente ci
prova.
Il problema se lo ponevano i presocratici, che tentavano, con
Talete, Anassimandro
e Anassimene, di ridurre a un medesimo principio la
varieta' degli elementi
naturali: terra, acqua, aria, fuoco. E addirittura
ricavando una "mente",
con Anassagora, dal molteplice fisico. Anche Parmenide si
imbatteva nello scoglio,
quando con gesto logico maestoso cancellava il
"non-essere". Ribadendo
pero' in negativo l'"alterita'", proprio nel
proclamare l'Essere.
Se Eraclito faceva viaggiare il Logos nel fiume del
molteplice, Platone, nel
celebrare l'Eterno-Tutto, cercava di salvarne
le "parti", magari
come sue "ombre dileguanti". E Aristotele? Lui ci ha
dato il principio
di "non contraddizione": A non e' B, e quando e' B, allora non
e'
A. Tutto risolto? Magari! Perche' dal dilemma non si esce.
Infatti da sempre
nella storia del pensiero, la relazione, e dunque
l'unita', minaccia le "differenze".
Che poi per esser tali vanno
paragonate, relazionate. Incantesimi millenari
del pensiero, reiterati, riformulati.
Oppure rifiutati. Ad esempio da quanti
come Nietzsche e Heidegger han
contestato la prigione identitaria della logica,
rifiutando il "sillogizzare" che ingabbia il "non-identico".
Sara'
forse per questo che il moderno pensiero femminile sente affine
quel "rifiuto".
Perche' ci trova una strada alternativa al "pensiero maschile". E
in
base all'assunto che vi e' un'altra "logica". Quella "differenziale"
ostile all'"universale neutro" che salva i soggetti diversi: in primo
luogo il "soggetto femminile", nel segno della radicale alterita'.
Ma
e' poi possibile questo "gesto di pensiero"? E che significa? E quale
la
sua mira finale? E l'enfasi sul "femminile" non e' un'altra "astrazione"?
Per
cercare di capirlo non c'e' che da sentire una pensatrice storica
della "differenza".
Una tra le prime a teorizzare quel "gesto": Luce Irigaray,
francese.
Autrice di "Speculum", "Etica della differenza sessuale",
"Amo
a te" e altri scritti segnavia del femminismo radicale. E' in
Italia per
una serie di conferenze che la porteranno da Firenze a Pordenone:
a
cominciare da quella di oggi pomeriggio - a cura del Gramsci - nella Sala
fiorentina
del Montepaschi Siena. Intitolata: "La lotta delle donne:
dall'eguaglianza
alla differenza".
Bruno Gravagnuolo: Signora Irigaray, il concetto di
"differenza" in se'
e per se', e' qualcosa di molto logico e astratto.
Nel pensiero femminista
vuole essere qualcosa di molto concreto. Un rovesciamento
del pensare e
del fare. Ma, esattamente, cosa vuol dire pensare "a partire
dalla
differenza"?
Luce Irigaray: Rispondo a nome mio, non posso parlare
a nome delle
altre.
Per me la differenza presuppone un mutamento radicale
di cultura. Per
questo e' cosi' difficile intendersi. Per secoli abbiamo vissuto
in una cultura
a soggetto unico, e, non a due soggetti. A questo soggetto unico
corrispondono
oggetti e costruzioni logiche che privilegiano la logica
dell'"identita'"
e del "medesimo". Passare all'epoca della differenza significa passare
a
un soggetto doppio. Ed entrare in una cultura coerente con questa
duplicita'
di fondo. Accordata a valori inseparabili dalla dualita' di genere.
B. G.:
Lei dice: la cultura fin qui e' stata solo maschile. Cio' puo'
valere per il
costume, le leggi e la mentalita'. Ma io e lei comunichiamo,
usando meccanismi
universali. Dunque, c'e' qualcosa di universale che permane.
Non le pare?
L.
I.: Cerco di comunicare con lei, ma cio' non elimina la differenza di
genere.
Che affiora sempre. Lavoro da anni sul linguaggio. Con
campionature eseguite
su lingue e culture diverse. Quel che emerge e' che uomini e
donne non parlano
affatto allo stesso modo. Se chiedo a ragazzi e ragazze di
comporre frasi per
esprimere relazioni, usando 'io/tu", "condividere",
"amare",
"lei/lui", viene fuori una reale diversita' tra i sessi. I
ragazzi
privilegiano il rapporto soggetto-oggetto, l'uno-molteplice, la
relazione con
lo stesso o il medesimo. E poi la verticalita', cioe' la genealogia
e la gerarchia.
Le ragazze privilegiano invece la relazione tra soggetti. La
relazione a due,
la relazione nella differenza, e orizzontale...
B. G.: Lei vuoi dire che le
donne privilegiano l'emotivita',
l'immaginario, l'intuitivita' concreta?
L.
I.: No. Questo e' il suo modo - e con le sue categorie - di intendere
il mio
discorso. Non e' quel che io dico. Nella filosofia occidentale,
quando si affronta
il tema della relazione con altri, al centro c'e' quasi
sempre il rapporto
tra soggetto e oggetto, oppure il predominio logico del
legame uno-molteplice.
Non e' in gioco la maggiore emotivita' della donna o
l'immediatezza del "femminile".
A livello logico - da un punto di vista
femminile - quel che viene privilegiato
e' invece l'intersoggettivita'.
La relazione a due, con l'altro. Contro l'idea
di un individuo isolato,
autosufficiente e astratto. E a favore di una soggettivita'
che si
relaziona all'altro orizzontalmente.
B. G.: Non c'e' a suo avviso
una sintassi cognitiva comune a uomini
donne?
L. I.: No, e lo riscontriamo
grazie all'esistenza di lingue con sintassi
diverse da quella occidentale.
Lingue che non privilegiano la
costruzione soggetto-predicato o soggetto-oggetto.
Bensi' il nesso
soggetto-soggetto.
Non esiste una unica sintassi universale,
come quella ipotizzata da
Chomsky.
B. G.: Per lei il femminile e' addirittura
un principio logico a se', e
non una specifica indole esistenziale o biologica
dell'umano?
L. I.: La differenza di genere non e', come si e' creduto nel passato,
solo
biologica. E neanche, come si crede spesso oggi, fatta soltanto di
stereotipi
sociali. E' anzitutto una differenza di identita'
relazionale.
Verificata,
come gia' detto, dalle analisi sul linguaggio.
B. G.: Che cosa comporta questa
visione, sul piano del sentire e del
pensare? Essa riguarda solo le donne,
o anche gli uomini?
L. I.: Nel mio lavoro ci sono tre tappe. La prima riguarda
la critica di
una cultura a soggetto unico. La seconda, la definizione di mediazioni
per
la costruzione di un'identita' femminile autonoma. La terza tappa, quella
che
mi interessa di piu', e' la ricerca di un cammino per la convivenza a
due.
Tra uomini e donne.
B. G.: Immagina questa convivenza come alleanza, o come
ineliminabile
conflitto?
L. I.: Immaginare un'alternativa secca tra le due
dimensioni sarebbe
ingenuo. Non si tratta di restare in una conflittualita'
semplice e
senza fine. Piuttosto occorre pensare a un'alleanza fondata sul
riconoscimento
di uno spazio negativo e insuperabile tra i sessi. Che custodisca
la
differenza. Significa: "Io non saro' mai te, ne' tua", e viceversa...
B.
G.: Non crede che questo discorso valga in generale per il rapporto
fra tutti
gli individui, uomini o donne che siano?
L. I.: No. Non allo stesso livello.
Una vera cultura della differenza,
all'altezza del tempo, deve includere la
dialettica di relazione tipica
del soggetto maschile. Quella tipica del soggetto
femminile. E infine una
terza dialettica. Quella che include la relazione tra
soggetti maschili e
soggetti femminili. Nella differenza.
B. G.: Ma, se
una relazione tra differenze e' pur sempre possibile, non
riemerge cosi' un
legame neutro e universale, anche se piu' ricco?
L. I.: Attenzione, perche'
nel caso di una cultura della differenza non
c'e' piu' un individuo universale
e neutro. La base dell'universalita' si
trova nella relazione tra due soggetti
diversi. E abbiamo bisogno di tale
relazione tra diversi. Non solo in vista
della liberazione femminile, ma
anche nel quadro piu' ampio della civilta'
multiculturale e multietnica.
Anche se poi la relazione tra diversi, quella
piu' universale e
fondamentale, rimane pur sempre la relazione uomo-donna.
B.
G.: Lei ritiene quindi, che maschile e femminile siano due mondi
radicalmente
differenti, ciascuno con il suo mondo simbolico e il suo
linguaggio specifico?
L.
I.: Si', ed e' una ricchezza dell'umanita'. E' cio' che caratterizza
l'umanita'.
E' solo a livello dei bisogni che si puo' pensare a un mondo
neutrale. A livello
del desiderio, che possiamo pensare come
caratteristica dell'umano, la differenza
uomo-donna sussiste sempre. E richiede una
negativita' che marca il limite
di ciascuno, e che consente l'incontro.
Senza dominio o consumo dell'altro.
Per giungere ad una nuova maniera di
relazionarsi. Non ancora raggiunta dalla
nostra civilta'.
B. G.: Che cos'e' per lei il "maschile", guardato
dall'angolo visuale
del pensiero della differenza?
L. I.: Cerco di non farmi
troppe idee a riguardo. Per non cadere di
nuovo nell'ideologia. Quale sia l'identita'
maschile ho cercato in qualche
modo di dirlo prima. In base all'analisi del
linguaggio. Per il resto, mi
aspetto dagli uomini che loro stessi ripensino
la loro soggettivita', fuori
dall'universale neutro. Cio' che posso auspicare
e' che la differenza
tra sessi sussista. Perche' e' la fonte del pensiero e
della creativita'...
B. G.: Entrare nel pensiero della differenza sarebbe come
travalicare il
pensiero logico occidentale?
L. I.: Andare oltre la metafisica
occidentale e' un gesto gia' richiesto
da Nietzsche e Heidegger. Spero sia
possibile, grazie a una filosofia a due
soggetti, rispettosi delle reciproche
differenze. Una filosofia che non
cancelli la singolarita'. E dove il "Noi"
sia, ciascuna volta, una
relazione nella diversita'. Per raggiungere questo,
occorre ripensare la relazione
genealogica. La donna non puo' cancellare la
genealogia materna, e
neanche limitarsi a fare come la madre, o all'opposto
di essa. L'uomo non puo'
rimuovere la sua nascita materiale, a favore di un'origine
soltanto
culturalmente costruita.
B. G.: E il padre, che fine fa in questo
percorso che non rimuove la
madre?
L. I.: Invece di rimuovere la madre,
creando una cultura scissa dalla
corporeita', perche' l'uomo non ha assunto
la sua identita' maschile?
Meglio essere in due. Per generare cultura e bambini
fatti da due. Senza
scissioni tra natura femminile e cultura maschile. Non
e' meglio essere in due?