Libreria delle donne di Milano

L'unità - 24 marzo 2010

Gloria Anzaldú, la filosofa della frontiera, simbolo di libertà

Igiaba Scego

Sono una scrittrice femminista chicana tejana patlache (parola Nahuatl per lesbica) di Rio Grande Valley, nel sud del Texas». Così si autopresenta Gloria Anzaldúa, una donna a cui le etichette sono sempre andate strette. Poetessa, studiosa, filosofa, anticipatrice di una nuova razza, una mestiza che aveva molto da dire e da donare. La morte l’ha colta troppo presto, nel mezzo del cammin della sua vita. Però il suo pensiero ha avuto un gran seguito in tutto il mondo, il suo Terre di Confine/La Frontera (Palomar) è stato incluso nella lista dei migliori libri del XX secolo. In Italia Gloria Anzaldúa è ancora poco conosciuta, ma ci hanno pensato la Casa Internazionale delle donne e Escargot rassegna poetica del centro sociale Esc a colmare questa lacuna. Sarà infatti proiettato in entrambi i luogi Altar: Cruzando Fronteras, Building Bridges, un documentario di Paola Zaccaria (è stata lei a portare in Italia le opere dell’artista chicana) e Daniele Basilio, prodotto con il contributo della Regione Puglia e dell’Università degli Studi di Bari. Il documentario è di fatto un ritratto visuale dell’artista di Rio Grande Valley, un ripercorrere insieme alle spettatrici e agli spettatori i luoghi, i profumi, i rituali, le amicizie, le lotte della poetessa chicana. Il film trabocca dei colori di Gloria e di tutti i suoi dolori. Dai murales psichedelici alle tracce di sofferenza dei migranti messicani, tutto è documentato dall’occhio vigile di Zaccaria&Basilio. Al centro del film naturalmente c’è la frontiera, il concetto su cui ruota tutta la poetica della Anzaldúa. La frontiera per Gloria è un «luogo o stato della coscienza dove tutti possiamo ascoltare e parlarci, dove le divisioni possono essere colmate, forse persino sanate». La frontiera è un luogo simbolico di ibridazione e di continuo transito. È un luogo fisico e dell’anima che può «spaccare» l’io, lacerarlo totalmente. Di fatto le frontiere sono luoghi tracciati dal potere. Nel Messico degli antenati della Anzaldúa sono stati prima gli spagnoli e poi gli statunitensi a portare questo concetto estraneo, di prevaricazione ed egemonia. A causa delle frontiere i messicani hanno dovuto lasciare affetti e casa per trapiantare se stessi in una nuova realtà che li voleva sottomessi e subalterni. Un po’ come succede ai migranti oggi in Europa. Gloria Anzaldúa però riesce a tramutare il luogo di oppressione coloniale in qualcosa di magico. Ed è così che la frontiera diventa simbolo di libertà e resistenza. Il confine vuole separare le culture, escluderle l’una dall’altra, per Gloria invece si deve disinnescare il meccanismo, le frontiere vanno abitate, attraversate e riattraversate mille volte. La meta è mescolare le culture, le emozioni, il sangue, il sesso, rovesciare la logica delle barricate che dividono un noi da un loro. Quello che di fatto propone Gloria Anzaldúa è una nuova dinamica relazionale tra le genti. Quando parla di frontiera naturalmente non intende solo quella geografica, ma tutte quei steccati che circondano la vita di ognuno di noi dalla sessualità alla lingua. Terre di confine/La Frontera di fatto è un esempio di questo già dal titolo. La ripetizione delle lingue sottolinea l’unione e non la separazione, non è una lingua/cultura contro un’altra, ma una lingua/cultura accanto all’altra. Ne esce fuori un testo inclassificabile, un po’ saggio, un po’ poesia, un po’ autobiografia, un testo multiplo che parla di esseri multipli. Ed è quello che emerge anche dal documentario di Paola Zaccaria e Danilo Basilio. Altar si muove anch’esso tra i confini, tra il passato, fatto di immagini di repertorio, e un presente di testimonianza. I registi hanno mappato un mondo ibrido. Pitture materiche, murales psichedelici, t-shirt pazzoidi, manifesti militanti. Nessun dettaglio viene tralasciato dall’onnivera macchina da presa. Altar non è una agiografia, nonostante la mole di ricordi ed emozioni. C’è nel film la freschezza di una poetica della relazione. Non solo Gloria, ma soprattutto il suo legame con gli artisti, gli attivisti e i centri culturali che hanno fatto parte della sua vita. SCRITTRICE balambalis@gmail.com