|
l'Unità
- 29 luglio 2008
L'atra
metà di Kabul tra burqa e libertà
L'incontro: Selay Ghaffar nella capitale dirige Hawca, una
organizzazione che protegge donne e bambini. Venticinquenne, incarna il
modello nuovo dell'afghana emancipata. Ma, ci racconta, oggi si rischia
di tornare alle follie dei talebani.
di Elena Doni
La bella
ragazza bruna dallo sguardo severo tende il biglietto da visita. Selay
Ghaffar, c'è scritto in bei caratteri bianchi su fondo nero e alla
riga sotto, più piccolo: Director. In basso l'indirizzo: quarta
casa nella parte di Clinic Street di Khushai Khan, Kabul. Nella parte
sinistra del biglietto c'è il logo di Hawca, organizzazione di
assistenza alle donne e ai bambini dell' Afghanistan sostenuta da varie
ong italiane e spagnole.
Sembra quasi una contraddizione in termini, questo elegante biglietto
da visita che viene da Kabul. Ma è tutto così a Kabul: c'è
tutto e il contrario di tutto, c'è estrema miseria e un grande
spreco di soldi. Ci sono tanti soldati e il pericolo a ogni angolo di
strada. C'è una ragazza di 2S anni, Selay appunto, che in Hawca
ha sotto di sé 22 impiegati tra cui alcuni di sesso maschile, e
ci sono molte donne che lavorano, che studiano e che leggono: ma c'è
anche una legge approvata da poco dal Parlamento (che Karzai però
non ha voluto promulgare) che vorrebbe riportarle all'epoca dei Talebani.
Vietando loro di camminare per strada se non accompagnate da un parente
maschio, limitando la possibilità di lavorare e soprattutto escludendole
assolutamente dalla possibilità di parlare in radio e in televisione.
"Il Presidente ha dovuto dare spazio a tutti nel Parlamento - spiega
Selay - dai criminali ai fondamentalisti" .
Lei era a Milano quando arrivò la notizia dell'attentato subito
a Kabul da Karzai: non partecipò allo sgomento degli italiani che
glielo avevano annunciato, usò semplicemente l'espressione inglese
che equivale al nostro: "E allora?". E spiegò: "ci
sono attentati tutti i giorni a Kabul".
E dire che Selay a Kabul ci vive per scelta. La sua famiglia - padre medico,
madre donna di casa - si trasferì in Pakistan all'arrivo dei Talebani.
Selay che, come tutti i rifugiati, non poteva frequentare le scuole pubbliche,
andò in una scuola privata di lingua inglese, quindi al college
e terminò gli studi di economia all'università di Islamabad
grazie a una borsa di studio di un'organizzazione italiana, Aidos (Associazione
italiana donne per lo sviluppo). Avrebbe potuto a questo punto restare
nella capitale del Pakistan, o trasferirsi in un'altra città, impiegarsi
o mettersi negli affari, forse arricchirsi. Invece no. Lei non voleva
questo. Voleva tornare nella città dove era nata, a Kabul. I suoi
genitori, di etnia Pashtun, avevano conosciuto la Kabul dei giardini verdeggianti
e dei cinematografi dove si proiettavano i film americani. "Per me
era diverso, io ero cresciuta nella guerra, a quel punto della mia vita
volevo solo aiutare la mia gente".
Adesso Selay esce di casa presto per essere in ufficio alle otto. "In
automobile: è più sicuro", dice. "Se tante donne
portano ancora il burqa a Kabul non è per amore della religione
o della tradizione. Lo fanno per ragioni di sicurezza, ogni giorno ci
sono aggressioni e rapimenti". E sempre per ragioni di sicurezza
Selay e il suo staff a metà giornata non vanno a mangiare in un
locale pubblico: meglio portarsi qualcosa da casa.
Così per cinque giorni alla settimana, il venerdì qualche
incontro con amici. E' fidanzata?, chiedo. "No, no, no, no, no",
dice decisa. I matrimoni sono spesso combinati dalle famiglie, dice, e
sposta il discorso dal piano personale a quello politico: in passato Aidos
ha finanziato un fondo per le bambine afghane, perché i genitori
non avessero la tentazione di darle in sposa ancora piccole tanto per
togliersi di casa una bocca da sfamare. Nella Kabul di oggi si può
andare al cinema, ci sono librerie? "Il cinema è uno solo
e riservato agli uomini, c'è qualche piccolo negozio di libri,
ma c'è anche una biblioteca con diecimila volumi e possono andarci
le donne, ci vanno per esempio quelle che da bambine hanno imparato a
leggere nelle classi underground", dice Selay. Erano bambine di famiglie
che non avevano potuto concedersi il lusso di fuggire all'estero, spesso
erano le madri a insistere per farle andare alle scuole segrete che si
facevano nelle case. Era rischioso, certo, ma per le madri era un rischio
che valeva la pena di correre piuttosto che vedere le figlie condannate
al buio dell'analfabetismo.
La resistenza disarmata delle donne afghane al regime talebano è
un fenomeno che forse un giorno dovrà essere studiato. Certamente
un simbolo di quella opposizione è Habiba Sarabe che quando era
ministra della condizione femminile nel primo governo Karzai non ha mai
dormito due notti nella stessa casa. Oggi è governatrice della
provincia di Bamiyan, dove furono fatte saltare le monumentali statue
di Budda. Un altro simbolo della forza delle donne contro i Talebani diventerà
forse Nadia Ikhlas, una ragazza di vent'anni, oggi in cura in un ospedale
inglese dove le stanno ricostruendo un orecchio e il cuoio capelluto,
persi per le ferite riportate quando un razzo colpì la sua casa
al tempo delle lotte tra i signori della guerra. Suo fratello, l'unico
a guadagnare per una famiglia di sei persone, morì nell'esplosione,
Nadia a 11 anni ne vestì gli abiti e cominciò a lavorare
nei campi come bracciante e alla sera arrotondava la paga scavando pozzi.
Ma il sogno di Nadia era di imparare a scrivere: a 14 anni andò
a una scuola di ragazze, svelò la sua identità, dopo molte
lacrime fu accettata, imparò l'inglese e il computer e diventò
amica di una ragazzina figlia di un ingegnere che lavorava per Hawca.
Da qui cominciò la lunga strada per il recupero di un'identità
femminile: che molto desidera ma che finora le ha fatto paura per timore
delle critiche della sua gente, ingannata per tanti anni dal suo cranio
nudo.
Le donne e gli uomini di Hawca - paramedici e levatrici soprattutto -
sono presenti anche in regioni lontane, come quelle dove vive la famiglia
di Nadia. Si sentono protetti dai militari delle diverse nazioni presenti
in Afghanistan? Selay è pessimista: "sono una goccia in un
fiume", dice, "la situazione peggiora di mese in mese. C'è
paura e insofferenza nei confronti dei soldati americani, ma sono solo
i politici a notare la differenza tra un contingente e l'altro, tra olandesi
o italiani e gli altri. Per la gente comune sono tutte truppe d'occupazione".
Come evolverà la situazione in Afghanistan? Selay guarda fuori
dalla finestra, dove il sole romano è apparso dopo un acquazzone
e sorride: "è come il tempo qui da voi. Non si possono fare
previsioni".
|