Libreria delle donne di Milano

Da XXD Luglio 2011

Commento della redazione del sito della Libreria delle donne di Milano: Donna è bello. E polemizzare ancora di più".

Se non ora quando o le féminisme caviar

di Stefania Prandi
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La piazza era piena. Mille persone. Magari anche di più. Quel che è certo è che c’erano le donne dell’Italia che conta. Sedute in prima fila, in piedi nelle retrovie e sul palco a parlare. C’era la Camusso che ha appena fatto un accordo con i sindacati fake Cisl e Uil per aumentare il potere contrattuale delle aziende. C’erano la Turco, la Bindi e la Bongiorno – che è stata, per chi l’avesse dimenticato, l’orgogliosa avvocata del mafioso Andreotti – che hanno promesso di impegnarsi per difendere i diritti delle donne. Mentre parlavano mi chiedevo: ma perché promettete? Cosa fate quando siete in Parlamento? Che cosa avete fatto per quel tesoretto dell’Inps di 4 miliardi di euro? Avevate bisogno di vedere i palloncini rosa per ricordarvi che le donne in questo paese sono discriminate? Soltanto ora vi ricordate di essere femministe?
Pardon, ho pronunciato la parola bandita. Perché il termine femminismo, alle donne dell’Italia che conta, piace poco. Meglio trovare parole nuove, più politically correct, come “risveglio delle donne”, come se fosse la prima volta, come se non fosse successo niente fino ad ora, come se all’estero non ci fosse un dibattito vivacissimo, come se non fossero state scritte tonnellate di libri sull’argomento. Le donne dell’Italia che conta, quando ho chiesto di poter lasciare i volantini della rivista femminista Xxd per cui scrivo sul tavolo dove c’era il materiale informativo di “Se non ora quando”, hanno storto il naso e alzato le spalle. Se proprio vuoi, mi hanno detto, senza nemmeno guardarmi in faccia. Speravo che mi chiedessero almeno: che rivista è? Ma si sa, senza un pedigree, nell’Italia che conta, non sei nessuno. Se ti va bene sei una faccia senza un nome, sennò un nome senza un cognome. Grazie! Lo sapevo già e non mi servivano 14 ore di treno in due giorni per ricordarmelo.
Ma sabato a Siena c’era anche qualcosa di meraviglioso. C’erano le donne che avevo visto nelle piazze del 13 febbraio, le donne che quando parlano di precariato e maternità impossibile – due temi ricorrenti nella giornata di sabato – sanno che cosa stanno dicendo perché lo vivono o l’hanno vissuto sulla loro pelle. C’era il bellissimo gruppo delle Archeologhe che (r)esistono. C’erano le donne che si battono contro la mafia, le donne di Arcilesbica, le donne di Punto G e tantissime altre. C’erano le donne dell’Italia “che conta davvero”. E il problema è proprio questo: le donne “dell’Italia che conta davvero” possono continuare a farsi rappresentare da quelle “dell’Italia che conta”? Non c’è altro modo? Perché non siamo capaci di un movimento dove chi parla di precarietà o di maternità lo fa con cognizione di causa e non perché l’ha sentito dire dalla colf? Perché anche se nascesse un partito formato da sole donne che contano come la Camusso e la Bongiorno (e tutte le altre che potete vedere nelle varie photogallery online) non lo voterei di certo.
“Se non ora quando” ha fatto riunire le donne nelle piazze lo scorso inverno. Ci ha ricordato che siamo tante, che siamo arrabbiate e che abbiamo molto da dire. Ma ora basta con questi slogan patetici, questi palloncini e queste bolle di sapone. Basta con questo femminismo caviar. Se ci vedessero Virginia Woolf, Shulamith Firestone, German Greer, Luce Irigaray, Elisabeth Badinter, Judith Butler, Rosy Braidotti ed Erica Jong (solo per citarne alcune e omettendo le italiane), che cosa penserebbero di noi?