Casablanca,
febbraio 2013 Antimafia
col tacco a spillo di
Franca Fortunato Scarpe
con il tacco tredici, capelli rossi. Spirito indipendente. Sognava di fare la
cantante. Reggio Calabria, la sua città, le sta troppo stretta. Studia
a Pisa, va a vivere a Roma. Separata, giovane madre di una adolescente, ritorna
in Calabria, apre un locale, da sola si ribella alla ndrangheta che lì
vorrebbe spacciare, e la massacrano di botte. Non basta, allindomani della
strage di Duisburg, in Germania, ferragosto del 2007, decide di tornare in Calabria.
Vuole fare qualcosa per strappare al male i figli e le figlie, le madri e le mogli
della ndrangheta di San Luca. Il libro La mia ndrangheta,
scritto insieme alla giornalista di Io Donna del Corriere della
Sera, Emanuela Zuccalà, per ledizione Paolini, ripercorre la
sua storia. Rosy Canale è nata a Reggio Calabria nel 1972. Molto presto
impara cosa vuol dire la presenza della ndrangheta nella vita della città.
«Quando ero ragazza racconta al tramonto scattava il coprifuoco
spontaneo. Dopo una sparatoria con qualche morto ammazzato, ci si aspettava la
reazione delle famiglie rivali. E ci si chiudeva in casa. Ci svegliavamo al mattino
con una domanda a penzoloni sulle nostre teste: quanti ne uccideranno oggi?»
Soffocata da quellambiente, ben presto sente il bisogno di aria nuova. Sognava
di fare la cantante e andare in giro per il mondo. Scappa di casa e va a Roma
dalla sua amica Simona, ma poi torna allinizio della scuola. Come altre,
lascia la Calabria per andare alluniversità, a Pisa. Si sposa, ha
una figlia, si laurea, si separa dal marito e torna nella sua città, dove
diventa imprenditrice. Lincontro con la ndrangheta non si fa attendere.
Gestisce con successo un pub che ben presto trasforma in un locale raffinato,
stile newyorchese, il Malaluna. La ndrangheta, a sua insaputa,
decide di fare del suo locale una piazza di spaccio di droga, di cocaina. Quando
lei se ne accorge butta fuori tutti, nel suo locale la droga non la vuole. Ed
è guerra aperta. Viene minacciata, subisce intimidazioni per un anno, quando
una notte, mentre fa ritorno a casa sulla sua auto, viene fermata dai sicari della
ndrangheta. Le puntano la pistola in faccia. Lei reagisce e la massacrano
di botte, fino a ridurla in fin di vita. La sua gamba destra maciullata porterà
per sempre il segno di tanta violenza. È viva per miracolo. La guardia
giurata della ronda notturna la trova a terra dentro una pozza di sangue. Per
mesi viene portata da un ospedale allaltro, da Milano a Parigi. Fugge dalla
Calabria e va a vivere con la figlia a Roma. Sono passati tre anni, da quella
notte, quando in televisione le arrivano le immagini della strage di Duisburg.
Queste riaccendono in lei il desiderio di fare qualcosa per la sua gente e per
se stessa. «Ho pensato: devo fare qualcosa. E devo farlo a San Luca, il
cratere in cui ribolle il male.» Convinta che se la Calabria è «una
terra dannata» lo è anche lei, e «questo non è possibile»,
Rosy va a stare a San Luca col desiderio di incontrare le donne e capire cosa
significa per loro convivere con la violenza e la criminalità, che lei
aveva conosciuto su se stessa. Cerca la sua guarigione tra quelle donne. Partecipa,
da volontaria, con un suo progetto, alla rinascita del Comune. Apre un laboratorio
di pittura allinterno della Scuola Media per «portare i ragazzi a
contatto con la bellezza». Coinvolge lAccademia di Belle Arti di Reggio
e sette artisti iracheni. È così che entra in contatto con le donne,
le madri dei bambine e delle bambine, che a casa iniziano a parlare della strana
signora senza marito, venuta da Roma per insegnare loro a «colorare».
Tra quelle donne, con cui fonderà il Movimento delle donne di San Luca
e della Locride, troverà, per la prima volta, la forza di raccontare la
sua storia e la violenza subita. «Nessuno della mia famiglia mi ha mai domandato
chi, come, perché. E io non avevo voglia di parlare con nessuno. Ho raccontato
la mia storia per la prima volta davanti alle donne di San Luca.» Rosy,
da donna, capisce che il suo dramma non è dissimile da quello che tormenta
le loro case. «Le donne di San Luca hanno perso mariti, padri, fratelli
e figli per mano assassina. Sono profonde conoscitrici della paura, dellansia,
della legge del più forte.» Loro possono capirla più di chiunque
altro. E la capiscono. Al suo racconto, molte piangono, si portano le mani al
volto e, una di loro, vestita in nero, dice: «Sono pronta a fare qualsiasi
cosa per migliorare il mio paese. Ho perso un figlio, la mia sorte è quella
di tante mamme qui a San Luca. Qui le donne non vogliono più piangere per
i propri figli». Rosy comprende che quelle donne sono stanche, hanno solo
bisogno di autorizzazione e consapevolezza per rompere abitudini, comportamenti,
mentalità mafiose, come ha fatto Teresa Strangio, madre di Francesco Giorgi
e sorella di Salvatore, trucidati a Duisburg, che il giorno dei funerali, contravvenendo
ad una regola mafiosa, ha perdonato gli assassini, rompendo la spirale della vendetta.
O come Giulia Stranges, unica donna divorziata di San Luca, che non ha mai accettato
imposizioni e violenze. «Non volevo più donne disposte a fare
tutto, ma donne disposte a tutto pur di fare ciò che amavano.» È
questa la rivoluzione simbolica che Rosy porta avanti con le sue donne di San
Luca che vede, a poco a poco, cambiare e diventare più disinvolte e fiduciose,
addirittura spiritose. Le donne di San Luca hanno bisogno di fiducia e speranza
che unaltra vita, per loro e le proprie figlie e figli, è possibile,
quella della ndrangheta non è lunica. Il Movimento diventa
il luogo simbolico dellincontro tra donne, al di là e al di sopra
della divisione, imposta dagli uomini, tra famiglie rivali. Lavorano insieme nei
laboratori di sartoria, di ricamo, del telaio e della produzione della saponetta.
Sfilano, con i fazzoletti rosa al collo, accanto ai ragazzi delle scuole di tutta
la Calabria e al viceprefetto, Giuseppe Priolo, al corteo organizzato dallassociazione
La Gerbera Gialla di Adriana Musella, con cui, ogni anno a maggio, vengono ricordate
le vittime della mafia. Suo padre, limprenditore Gennaro Musella fu ucciso
da unautobomba a Reggio Calabria il 3 maggio del 1982. Rosy e il suo Movimento
a San Luca sono i primi a ricevere un bene confiscato alla ndrangheta. È
una villa dello storico boss Antonio Pelle, detto Ntoni Gambazza, dove Rosy
apre una ludoteca per i bambini e le bambine di San Luca. Il Movimento cresce,
le donne diventavano sempre più coscienti, mentre i mass media, locali
e nazionali, si accorgono di loro. È allora che Rosy capisce che nel paese
il vento è cambiato. Cè chi non apprezza. Le malelingue
mettono in giro la voce che lei è lamante del prefetto, mentre il
prete del paese, don Pino Strangio, dal pulpito tuona: «Questa donna è
arrivata in mezzo a noi, bisogna capire se lha mandata la Provvidenza o
il demonio». Diventa la forestiera e la soubrette,
perché partecipa a programmi televisivi e rilascia interviste ai giornali.
Qualcuna si dimette dal Movimento. Rosy non aspetta di essere, ancora una volta,
massacrata. Decide di andare via, anche per mettere alla prova le donne, e capire
se la sua presenza conti ancora. Le donne difendono il Movimento, non vogliono
che finisca. Da Roma Rosy mantiene i contatti con loro e organizza, insieme a
una giovane, Pamela, incontrata da poco, la partecipazione delle donne di San
Luca a una mostra fotografica a New York. Nel paese arrivano tredici fotografi
italiani e le donne diventano modelle. Il giorno dopo la mostra, San Luca è
su tutti i giornali nazionali e internazionali, ma non per fatti di ndrangheta.
Nel paese si festeggia con un gran galà in Prefettura. Mai tale palazzo
era stato aperto a quelle che erano additate come le figlie, le mogli e le madri
della San Luca criminale. Dopo di allora, Rosy non è più tornata
a San Luca. Quando la ndrangheta seppe che stava scrivendo un libro con
una giornalista, i genitori di lei ricevettero questa ambasciata: «Dite
a vostra figlia e alla giornalista che, se uscirà il libro, le daremo in
pasto ai porci». Oggi vive a New York con la figlia, ma non ha interrotto
il rapporto con le donne di San Luca. Lesperienza di Rosy è la conferma
di quanto sta diventando sempre più evidente. Sono le donne che stanno
distruggendo dal di dentro la ndrangheta, trasformando in debolezza, quella
che è sempre stata la sua forza, lidentificazione della famiglia
di sangue con quella mafiosa. Rosy Canale, rifacendosi a Teresa Strangio, che
le rimase sempre vicina, scrive: «Mi è sempre piaciuto sentire dalla
sua voce un concetto che è profondamente mio: quello per cui, a San Luca
come altrove, il cambiamento autentico può arrivare soltanto dalle donne». |