Libreria delle donne di Milano

Circolo della Rosa, 6 luglio 2005

Incontro di presentazione/discussione sul libro di Letizia Paolozzi

LA PASSIONE DI EMILY

presentato da Liliana Rampello, Alberto Leiss, Lia Cigarini
Circolo della Rosa, Milano 6 Luglio 2005

trascrizione a cura di Silvia Marastoni

Liliana Rampello
Ho letto il libro di Letizia Paolozzi, La passione di Emily. L'azzardo della lista rosa, sullo sfondo di molti pensieri che mi agitano in questo tempo presente e che mi preoccupano, oltre a darmi conferma del mio interesse per ciò che avviene intorno a me e che non mi lascia indifferente. Faccio solo qualche esempio: i referendum e il loro esito, l'attacco alla legge sull'aborto (leggo sul "Foglio" di Ferrara l'intervento nemmeno particolarmente intelligente di un uomo, un intellettuale, e subito a ruota il giorno dopo la risposta di ben 6 donne, la teologa, la femminista, la studiosa di diritto ecc., e temo questa strategia della risposta "a comando", perché non si dica che le donne tacciono...), il confronto fra Luisa Muraro e Toni Negri (con la novità di un uomo che, attraversata la stagione violenta dell'antagonismo, ha oggi bisogno del pensiero di una donna per declinare la differenza sessuale come differenza creativa, unica pratica capace di mettere al centro quanto il pensiero dominante costituisce come marginale), l'invenzione teorizzata di uno scontro tra Occidente e Oriente che occulta così la guerra concreta, la religiosità - la spiritualità di ogni essere umano - ridotta a obbedienza a un solo credo cattolico-romano, un'idea fasulla di relativismo come bene minore, ecc. E poi politica, partiti, rappresentanza, democrazia, elezioni: tutto terremotato. Mi chiedo allora che tempi sono questi, se un tempo d'attesa e di risparmio o un tempo di opportunità in cui spendere quel che sappiamo. Il rischio è di essere fatte fuori, dobbiamo essere capaci di spingere la pratica di relazione verso contrattazioni significative ovunque, non possiamo permettere che queste pratiche si ossifichino nella ripetizione.
Dunque ho letto questo libro sullo sfondo di questi pensieri, ripensando al fatto che quanto detto nel Sottosopra rosso, il nominare la politica prima e la politica seconda, non può segnare solo un varco invalicabile tra spazio delle relazioni e spazio della scena politica tradizionale e pubblica. Per questo il libro riapre dentro di me molte questioni.
Intanto il libro è importante per come è scritto. Breve, asciutto, profondo, ironico, partecipe, distante, intelligente e problematico. Mentre dico questo penso che sto tracciando il ritratto della sua autrice, che ha il dono molto raro di un'intensa leggerezza. Chi scrive sa che il "come" è già il "cosa", che non ci sono contenuti scissi dalla loro forma, dalla lingua che li dicono. E quindi qui la storia di un'esperienza politica (la presentazione di una lista di sole donne alle elezioni provinciali di Napoli del 2004, lista promossa dall'associazione Emily) diventa "racconto politico", e noi abbiamo bisogno di racconti, raccontare è una forma necessaria della nostra politica. Scrivere significa non perdere, non lasciar perdere; guardare all'accadere, all'accaduto inseguendone le contraddizioni, i conflitti, l'efficacia.
Farò dunque uno strambo elenco delle questioni che il libro solleva. Intanto il conflitto tra uomini e donne, presente ovunque, appena si tocca una superficie, poi il conflitto tra il partito, i partiti e la presenza di donne al loro interno. Donne che si autocandidano e non sono "società civile", ma che con quel gesto evocano subito ben altro fantasma (quello della "donna in rivolta") e mettono in questione "l'unico vero spazio di potere dei partiti oggi, e cioè quello della selezione del personale per la rappresentanza" (p. 92). Dunque la rappresentanza per come viene intesa oggi, dove una donna è considerata "marginale" per "consuetudine più che per discriminazione" (p. 13); il che fa riflettere sulla "declinazione misogina del suffragio universale" (p. 31) e di lì sull'incapacità di vedere e stare a poderosi cambiamenti sociali già avvenuti.
In questo contesto quale contrattazione è possibile, quale è più efficace fra uomini e donne e fra donne e donne? Ne va di mezzo il giudizio sul meccanismo elettorale stesso, laddove lo si usa in base a cordate elettorali più che a relazioni, e dunque il come si intende l'agire politico. Questo costringe ognuna di quelle che vogliono stare da protagoniste sulla scena che è di uomini a ragionare su ciò che per lei è irrinunciabile, scontando anche quella che sembra essere una differenza "emotiva", perché sembra che nessuna donna riesca mai a lasciare a casa quel pezzo di sé che sono le emozioni, quel che è insieme agire e patire. Letizia lo spiega bene a p. 69, ma lo interpreta così: "Per le donne il conflitto è una cosa seria. Appassionata. Complessa. Che ha bisogno di elaborazione. Di tempo".
Un piccolo scarto da una scontata obbedienza e di nuovo riaffiora la paura maschile della libertà femminile, e infine, ancora, l'analisi del risultato per capire se c'è stata buona o cattiva mediazione, quale guerra (dichiarata semmai dagli uomini dei partiti, p. 92) è stata combattuta.
Ecco, queste molte questioni il libro ci propone, su cui pensare adesso insieme.

Alberto Leiss
L'elemento che viene fuori è quello del rapporto tra storie personali e storie politiche. Nella discussione che mi è capitato di seguire recentemente a Parma, Luisa Muraro faceva una notazione secondo me molto giusta, invitando me e alcuni altri che avevano parlato di questo a non attardarsi a dire che c'è il problema che il pubblico non riflette il privato: faceva invece notare che, se guardiamo le storie che si articolano attorno alla personalità di Bush, che è l'uomo piu' potente del mondo, vediamo che il suo privato è diventato immediatamente pubblico.
Questo libro parla anche di questo, sia per quanto riguarda la storia personale di alcuni dei protagonisti (ad es. Anna Maria Carloni, che ha un rapporto con Bassolino) il cui privato, in quella situazione, viene messo in pubblico, sia - e ancora di più - perché mentre molti uomini, se non tutti, e anche molte donne nei partiti hanno reagito molto conflittualmente contro questa esperienza, ci sono stati altri uomini - magari interessati alla politica, ma non così direttamente coinvolti nella politica dei partiti - che hanno simpatizzato, così come - e soprattutto - hanno simpatizzato gli uomini che erano in relazione con queste donne.
Faccio questo esempio perché scrivendo un articolo ho citato una frase che un po' casualmente mi aveva colpito, leggendola in un testo di Kant che raccoglieva delle sue annotazioni: il filofoso diceva "viviamo in un'epoca in cui le donne possono fare a meno degli uomini, e questo non va bene, è una cosa che rovina tutto". Come reagire? Ho interpretato questa frase come segno che già allora esisteva la percezione di un mondo femminile che poteva organizzarsi per conto suo. Queste donne fanno un gesto che le vede da sole: gli uomini come reagiscono? O configgendo, rifiutando questo fatto, impaurendosi, vedendo dei fantasmi di varia natura (in relazione al voto, ma anche oltre, riguardo all'andarsene, all'autonomizzarsi), o aiutandole, seguendole, 'facendo i cavalieri'… Qui si racconta che molti uomini hanno avuto questa reazione, e mi sembra una cosa interessante.
Si parla di procedure di rappresentanza, di procedure della democrazia. Una democrazia che funziona molto male, che ha avuto dei bassi e degli alti, e che adesso non mi sembra in un momento felice: uno degli aspetti di questa infelicità, dal mio punto di vista, è rappresentato da questa assenza, del vuoto di cui parla a un certo punto Letizia, un vuoto rappresentato dal fatto che non ci sono donne, o ce ne sono poche e, se ci sono, sono in condizioni di subalternità, di marginalità.
Questa democrazia ha chiaramente una matrice maschile: era così già in Grecia, e quando è stata reinventata in Europa quelli che hanno dato questa forma alla politica e che avevano degli interessi da difendere erano tutti maschi. Però penso che con l'affermazione del suffragio universale qualcosa è cambiato, almeno nelle potenzialità. Pur esprimendo le critiche piu' radicali a queste forme della politica, sono sempre stato dell'idea che sia avvenuto qualcosa che forse - non so in che misura - parla alle donne (che si dividono tra quelle che hanno desiderio, o meno, di partecipare a questa cosa), e che parla agli uomini.
Io continuo ad avere una partecipazione un po' ambigua alla politica: non sono più in un partito, ma mi occupo di cose che hanno a che fare con la politica, e sento questa assenza di presenza femminile nella politica della rappresentanza come una mancanza, un vuoto, qualcosa che mi fa problema, sia per quanto riguarda la rappresentanza, sia per la politica in generale. Credo di non essere il solo…
Finisco con una provocazione. Lilli ricordava il libro di Toni Negri, che dice una cosa molto impegnativa, perché assume la differenza, una matrice precisa del pensiero femminile italiano, come una leva per cambiare la politica, per riprendere a fare qualcosa. Stavo leggendo in queste ore una cosa di tutt'altro segno, assolutamente stravagante, ma forse anch'essa significativa di qualcosa: il signor Bondi, attuale coordinatore di Forza Italia, scrive un librino intitolato La civiltà dell'amore, che è uno strano pasticcio, e che però cita tutta una genealogia di donne (dalla Arendt alla Weill, a Luisa Muraro etc.) dicendo che la politica deve rigenerarsi attingendo a queste fonti… Colpisce il fatto che questo signore, che vediamo in televisione fare delle dichiarazioni abbastanza incredibili, ponga questa questione.
Mi viene da porre una domanda, a me stesso e agli altri uomini che fanno politica, o che comunque hanno un ruolo… Penso a un meccanismo di revanche maschilista per cui, ad esempio, nel giornale principale di in una città come Genova, le donne che vi scrivevano, che avevano un ruolo, vengono fatte fuori: è un fatto pubblico rispetto al quale personalmente provo imbarazzo… Bisognerebbe reagire, non accettare che ci siano queste forme di discriminazione, che succedano cose come queste, che parlano della paura e si esprimono, appunto, come revanche nei confronti delle donne…

Lia Cigarini
Il libro mi sembra ben scritto, e mi colpisce la vicenda di queste 45 donne che si sono candidate per le elezioni provinciali, il loro entusiasmo… Luisa Muraro mi ha ricordato che già a Trento c'era una lista di sole donne per il consiglio comunale, e hanno eletto una consigliera. Penso che il problema sia vedere come va avanti l'esperienza di queste 45 donne un po' fuori dai partiti. Nel fare la campagna elettorale c'è stato un grande fervore, come sempre quando si fa una cosa… Da quel che ne so io, poi a Trento la cosa è morta lì.
Il racconto che fa Letizia di queste protagoniste della campagna elettorale mi è piaciuto, ma altra cosa è Emily come associazione che si è formata per preparare, dare strumenti alle donne per stare sulla scena pubblica della politica ufficiale. Preparare le donne per l'inclusione in questa politica non è una cosa che a me interessa, anzi direi che sono decisamente contraria, perché l'inclusione nella politica degli uomini credo sia qualcosa che non ha a che fare con quel che io penso sia il movimento delle donne, cioè una modificazione radicale sia delle concezione che della pratica politica.
Vorrei porre qui due questioni a Letizia, su cui vorrei chiarimenti, perché non mi è chiara la sua posizione: ci sono le 45 candidate, c'è Emily che prepara le donne perché siano efficaci nella campagna elettorale e nella presenza in questa politica, e però poi c'è la posizione di Letizia.
Il primo punto che vorrei chiarisse riguarda la rappresentanza, su cui mi sembra abbia una posizione oscillante: da una parte (non so se parli lei o se stia parlando Emliy) è una rappresentanza sghemba, perché non ci sono le donne (che hanno percentuali bassissime nel parlamento, nei consigli provinciali e in quelli comunali). A me va bene se quelle che in questi luoghi ci vogliono stare dicono 'io voglio essere lì'. Però io non ritengo che possano essere lì in rappresentanza delle donne, perché le donne non sono rappresentabili: non solo per quello che è stato detto ('il sesso femminile non è rappresentabile negli istituti della democrazia rappresentativa'), non solo per quello che anche Letizia ricorda, cioè che non sono un gruppo sociale omogeneo, ma anche perché credo che la convinzione che il sesso femminile non sia rappresentabile negli organismi della democrazia rappresentativa sia molto forte, nelle donne. Quello che viene denunciato come un disinteresse delle donne (che sono, ricordo, la maggioranza degli elettori) non è mai stata una battaglia delle donne, ma solo una richiesta di quelle che vogliono essere lì.
C'è molta parte del libro di Letizia che parla della rappresentanza sghemba, del fatto che Emily cerca una misura diversa per sostenere il desiderio femminile, la sua voglia di protagonismo, che dice che questa misura è il voto: lì parla Letizia o sta parlando Emily?
I partiti, si dice, selezionano il personale per la rappresentanza e certo è così, perché si sono creati quando si è creata la democrazia rappresentativa. Anche nei Paesi dove i partiti non sono come noi li abbiamo conosciuti un tempo in Italia, esistono per poter selezionare la rappresentanza. Allora, da una parte mi sembra di capire che questa sia una protesta, da parte di alcune donne che vogliono stare in questa politica, per l'eccessivo espandersi degli uomini - che vogliono stare in tutti i posti -. Probabilmente a Napoli, come mi ricordava Luisa, c'è una misoginia forte nella cultura (come denunciano Anna Maria Ortese, la Ferrante etc…) e quindi qui c'è un conflitto che si è aperto per un eccesso… Ma è rappresentabile il sesso femminile? Secondo me, no. Prendiamo in considerazione che alcune donne hanno il desiderio di essere lì e vogliono passare alla misura del voto.
Un altro punto che vorrei chiarire è questo: a pagina 100 è detto (e penso si riferisca sia alle donne della lista, sia - e soprattutto - a quelle di Emily, che sono delle politiche a tutti gli effetti, come Anna Maria Carloni, Franca Chiaromonte, alcune della Margherita…) che "l'elaborazione della Libreria delle donne andrebbe comunque tenuta presente da chi vuole fare politica in contesti dove gli uomini hanno relazioni di potere che sono in parte basate su meccanismi simili a quelli ipotizzati per rendere forte e libera una società femminile". Poi dice: "Il mio giudizio è che la lista rosa non sia estranea al femminismo, ma che dal femminismo si sia spostata. Ha scommesso su un diverso percorso. Anzi, sul crocevia delle relazioni di scambio nelle quali le donne si muovono autorevolmente"; anche questo punto mi è un po' oscuro. Non parlerei in questo momento dell'elaborazione della Libreria, ma di quello che penso io. Non so se qui Letizia ha visto che per sostenere il desiderio femminile ci sarebbe stata un'elaborazione molto vicina alla relazione che gli uomini hanno per prendere posizioni di potere. Io non penso che, se agisco in un contesto fortemente segnato dal simbolico e dalla pratica degli uomini, procedo con relazioni duali a partire da me, attraverso una contrattazione tra me e me, tra me e l'altra, tra me e l'altro: quindi vorrei capire cosa dice Letizia.
Ho avuto il compito di sostenere qualche critica, e radicale su Emily, perché il rafforzare l'inclusione - oltretutto con dei corsi - a me sembra un po'…

Letizia Paolozzi
Cerco di rispondere alle obiezioni di Lia, e tuttavia mi pare che già Lilli - nel suo aprire a nuove domande - un po' rispondesse, ponendosi su un piano diverso.
Ho provato a fare una cosa che è stata molto messa in rilievo, ma che non può essere separata, come mi pare stia facendo Lia quando dice "però l'esperienza di Emily mi trova avversaria". Ho fatto un libro provando a dare gambe a uno stile che fosse insieme letterario e giornalistico, e quello mi sembra il centro. Sono abbastanza convinta che il linguaggio possa essere tutto, e non vorrei che di nuovo il discorso fosse "c'è il linguaggio, c'è una buona scrittura, uno stile che funziona, però poi ci sono questi punti che non vanno", perché per me le cose vanno insieme. Ho fatto uno sforzo di scrittura proprio perché non volevo si arrivasse a dare dei voti ai contenuti: penso che l'esperienza di Emily sia interessante, come altre che fanno le donne, ma non sono una di Emily, iscritta a Emily, e non sono interessata personalmente alla rappresentanza.
E tuttavia, se posso rispondere alla questione della rappresentanza sghemba che poneva Lia, dirò -forse in un modo stupido, ingenuo - che ogni volta che accendo la tv e vedo l'Unione Europea, i dirigenti dei partiti, che penso che adesso avremo le primarie con una lista maschile lunghissima, che se si fa il partito unico saranno solo degli uomini, questo mi infastidisce. Sono arrivata a un'età in cui non lo sopporto più… Non è un mio problema, non è il fatto di andare io in rappresentanza delle donne, però penso che sarei contenta se ci fossero anche delle signore. Ogni volta che io (ma credo anche Lia) leggo i giornali, l'occhio cade sempre sulle pagine che raccontano di vicende femminili, di storie di donne: deluse, illuse, vittoriose, sconfitte… Mi interessa vedere come viene raccontato questo mondo.
Quindi il problema delle donne che non sono rappresentabili nella democrazia rappresentativa a me pare curioso: sembrerebbe che solo gli uomini siano rappresentabili… che non ci sia un altro sesso. Perché gli uomini rappresentano anche le donne, e le donne non ci devono essere? Credo che ormai (e mi auguro sia solo questione di tempo, di cinque, dieci anni) questa cosa ci sarà. Queste 45 donne di Napoli volevano vincere, avevano una gran voglia di essere lì, per tanti motivi diversi. La circolazione dei desideri vuol dire che c'è una possibilità generosa di riconoscere che ci sono quelle che vogliono fare un altro tragitto. Non saprei spiegarlo in modo diverso. Ho detto di tutte le contraddizioni…
Quando ho parlato della Libreria delle donne l'ho fatto pensando che una pratica di relazioni c'è, tra gli uomini che fanno politica istituzionale: una pratica molto intensa, e omosessuale, cioè di omosessualità politica, che esclude le donne. Questa pratica di relazioni, nel caso delle donne di Emily sicuramente non è stata strumentale; quelle donne l'hanno affrontata avendo un'innocenza rispetto all'essere nei partiti (perché erano tutte donne che non erano mai state iscritte ai partiti e probabilmente non si iscriveranno più/mai, dopo aver fatto quell'esperienza lì). Dicevano "c'è una società civile, a Napoli e in Campania, che si muove, fa delle associazioni, delle cooperative, cerca di dare una mano in situazioni disastrose, che vuole arrivare a un certo obiettivo attraverso delle relazioni politiche"… Ho citato la Libreria perché mi pare che la pratica politica della Libreria sia quella delle relazioni. Non mi sembra che il fatto che una donna sia eletta escluda la possibilità di un rapporto con la storia, la teoria, e anche la diffidenza della Libreria rispetto alla politica istituzionale: diffidenza secondo me sana, che invece queste donne di Napoli probabilmente non hanno tenuto per niente in considerazione; sono andate… non so se allo sbaraglio, comunque con un loro scarso portato teorico.
Ho anche riportato la discussione di alcune donne che si considerano femministe, che hanno sostenuto la lista e che pensano che il femminismo da cui vengono non sia oggi sufficiente (Graziella Deianni parla di "alleggerimento del femminismo", per stare oggi nelle istituzioni). Non so se questa cosa sia giusta o sbagliata, bisognerebbe riflettere su che cosa la parola femminismo suscita ancora, alle orecchie non di noi che siamo qua, ma fuori di qua: in molti suscita terrore, altri la vedono come esperienza finita, conclusa, c'è chi si chiede cosa succederà dopo il referendum, chi si dirà ancora femminista, etc… Però anche lì c'è - come diceva prima Lilli - un cambiamento, uno spostamento che io ho voluto raccontare con grande passione e partecipazione, anche se non mi ci identifico, perché non è la mia storia. Vorrei che il modo in cui l'ho raccontato fosse più potente delle contraddizioni che sicuramente ci sono state nella lista, e oggi ci sono forse ancora di più.

Elena Urgnani
Sono una di quelle donne che aveva chiesto ad Emily di essere rappresentata, e ti sono molto grata di aver scritto questo libro, anche se ho letto solo il primo capitolo. È da un po' di anni che provo un certo disagio nei confronti di questi rifiuti verso la politica istituzionale, che poi ci portano a vedere queste liste tutte di uomini. Mi sono ritrovata molto nel discorso di Liliana Rampello, quando dice "dobbiamo rianalizzare, rileggere le cose, il presente, e non rimanere ossificate". Un po' di anni fa ho fatto la tessera di Emily, ed ero andata a due-tre riunioni, che si tenevano in Via Pergolesi, presso una sede dei DS, e poi non mi sono più arrivate le mail, ho avuto altro da fare… Io non sono una di quelle donne che vuole esserci, però apprezzo moltissimo che ci siano donne che desiderano esserci e rappresentarmi, perché se non lo fanno loro qualcun altro lo farà… Forse è un po' semplicistica, come idea, però è quello che voglio dire.

Daniela Pellegrini
Confesso che il libro non l'ho letto… lo leggerò. La mia posizione si avvicina molto a quella espressa da Lia, perché penso che le donne nelle istituzioni non dovrebbero esserci. Sono una radicale in senso estremo, e la mia esperienza, rispetto alla questione della partecipazione a questo tipo di politica, l'ho avuta dentro alla relazione con Anna Maria Rodari, che come ricorderete era di Rifondazione. All'epoca si discuteva molto, nei gruppi di donne che amavano la politica tradizionale. Questa questione della rappresentanza era messa molto in discussione, per cui il gruppo di donne di Rifondazione non voleva mettersi nelle liste, perché erano contrarie a esserci come rappresentanti delle donne. Anna Maria Rodari aveva pensato di chiedere a me, come 'femminista radicale a oltranza' (io non vado mai a votare), di presentarmi come indipendente nelle liste di Rifondazione. Era la chiamata di una donna con cui avevo una relazione politica nel femminismo (era redattrice di "Fluttuaria"), e questo mi ha chiamata alla sua contraddizione… Ho accettato perché ho voluto assumermi questa contraddizione, ma chiamata come esterna alla situazione, al partito. Nella mia campagna elettorale mi sono presentata come 'la donna che non vota'… Amo mettere delle contraddizioni e delle provocazioni nelle cose che faccio, e in quel caso ho fatto questa operazione che nessuno ha capito. Volevo esprimere la relazione con le donne dentro al partito attraverso la loro contraddizione, da cui io mi separavo: era cioè una relazione nella separazione. Mi piaceva moltissimo quest'idea, e il parlare dal luogo in cui io ero mi sembrava fondamentale non solo per me, ma per tutte le donne. Nessuno mi ha capito: da una parte mi hanno accusato di tradire il femminismo, dall'altra mi dicevano 'ma cosa pretendi tu, che non sai niente della politica tradizionale'… Non ne ho tratto un ragno dal buco, perché la contraddizione è rimasta tale e quale. Però penso che nella relazione tra donne si possano anche usare strumentalmente delle cose per dire altro. Non avendo letto il libro, non vorrei addentrarmi nel dire o capire che cosa di diverso avete o non avete detto: lo leggerò per cercare di capirlo, anche se la mia diffidenza nei confronti dei partiti rimane tale.
La trasversalità della donna invece mi piace (si diceva che erano donne di diversi partiti). Penso che se vogliamo chiarire questa contraddizione dobbiamo metterci nel luogo in cui siamo noi, che se si vuole entrare bisogna dire da dove entriamo. Io non ci voglio entrare, personalmente. Ci tenevo a dire questa mia esperienza perché mi sembra un 'terzo viaggio'. Nella campagna elettorale avevo chiesto, tra l'altro, di avere solo pubblico femminile: i maschi non li volevo…

Stefania Giannotti
Io non ho niente in contrario al fatto che ci siano persone amiche, stimate, che percorrono questo percorso. In un altro percorso, ho visto che è successo qualcosa: nella separazione politica (non nel separatismo) qualche cosa è avvenuto, e qualche comunicazione è stata data, al punto che perfino Toni Negri ha capito che lì c'era una creatività.
Non ho niente in contrario: chiedo che arrivi un segno. Parafraso Luisa Muraro, quando dice "se c'è un Dio, venga a me". Lasciamo lavorare queste donne, care, affezionate, sicuramente sincere, meritevoli. Però il segno non è venuto. Leggerò attentamente il libro, ma non mi basta una relazione giornalistica, non mi basta il parlare per parlare. Emily è nata alcuni anni fa, e a me il segno di libertà, di comunicazione, non è arrivato. La mia non è una critica, ma un'aspettativa. Se c'è, bene; se no, stanno facendo la solita cosa, che non è relazionata con quello che sto facendo io.

Vita Cosentino
Seguo un po' quello che ha detto Stefania. Io pure sono una che non ha mai voluto entrarci: una ventina di anni fa a Sesto mi avevano offerto di candidarmi come indipendente del PCI, e a me l'idea di passare le serate ai consigli comunali a discutere della tassa della spazzatura… mi faceva morire. Io sono così. Però per esempio ho conosciuto, a Palermo, l'assessora all'istruzione, che era una forza della natura, e ho stima di Rosi Bindi… Ho stima di quelle donne che stanno in quei posti ma con una loro signoria e con un loro desiderio di fare qualche cosa loro. Questo a me può attirare in una donna che fa qualcosa che io non farei, ma che posso stimare. Un essere anche volitive, non 'lagnose' (forse non è la parola giusta, ma dice di questa fatica): se una ci vuole stare, lì dentro, chiedo che ci stia bene, perché allora mi ci posso mettere in rapporto, così come mi posso mettere in rapporto con le maestre di Milano che non ci vogliono stare, ma chiamano tutti i partiti a dire "voi cosa ne pensate della riforma? Prendete posizione per abolirla?". C'è tutta una varietà di posizioni su come stare nel contesto più largo, con la forza e la dignità di chi lo vuole fare.
Un'altra questione su cui vorrei fare una leggera polemica con Alberto è rispetto a quando lui dice: "La democrazia è la cosa migliore che abbiamo, ci mancano le donne, è una cosa a cui tengo molto…". Io penso che anche qui ci vuole, invece, un'invenzione. Anche questo (io che prendo il microfono e parlo) è democrazia, una forma squisita di democrazia che tra le donne abbiamo usato molto. Allora, dico che chi ci tiene faccia un'invenzione, anche prendendo dalle donne (non solo Bondi o Toni Negri…). Ho letto ad esempio che Nelson Mandela esplicita dichiaratamente che nella sua concezione del potere ha preso moltissimo dal cerchio che usano in Africa, che è una forma di democrazia diretta che lì hanno da sempre, perché è una civiltà orale. Quando ha proposto la riconciliazione facendo parlare sia le vittime che i carnefici ha preso da lì… Ne ha fatto qualche cosa di nuovo e straordinario, che mi attira.
È invece la riproposizione piatta dei meccanismi della rappresentanza così come li abbiamo conosciuti (e che non funzionano), in un momento storico poi che è molto diverso, cambiato, in cui molte e molti fanno altre cose, che non permette quel ponte a cui anch'io sono interessata, perché a nessuno di noi va bene di stare nel chiuso del proprio contesto, di non avere rapporto…

Chantal Podio
Volevo riprendere il discorso sulla rappresentanza, perché il fatto che le donne possano essere più o meno rappresentate sia un po' pretestuoso: dipende da cosa intendiamo per rappresentanza. Se non mi può rappresentare una donna, tanto meno mi rappresenta un uomo. Chi è lì a rappresentarmi, poi, comunque è chiamato a prendere delle decisioni che condizionano in modo più o meno significativo la mia esistenza concreta, e io desidero poter scegliere - anche tra uomini e donne - chi può rappresentarmi. Magari poi potrò anche scegliere un uomo, se è più vicino alla mia posizione… In questo senso io sento molto, in negativo, il voler essere tutto pienamente e ovunque delle donne, tanto che, se io non sono pienamente nella persona che mi rappresenta, allora è meglio che io non ci sia: beh, andiamoci piano, perché ad esempio io sul posto di lavoro non porto pienamente me stessa… non mi porto pienamente ovunque e comunque, e credo che questo sia esperienza di ognuna (non essere pienamente se stessa in tutte le sfumature e in ogni contesto). Credo che il voler essere totalmente rappresentata sia un limite forte delle donne.
Alcune poi dicevano "lasciamo che le donne che vogliono entrare in politica lo facciano, io però mi occupo d'altro": questo però mi sembra in forte contraddizione rispetto alla politica della relazione, perché - per quel che conosco - mi pare che questa politica si basi sul fatto che la relazione tra donne ti da la forza di poter portare la tua posizione nel luogo in cui sei. Allora, mi sembra che una cosa sia dire "non mi interessa essere nelle istituzioni in prima persona", un'altra è capire se ho intenzione di creare una rete con donne che sono in politica, o no, se le lascio lì sbranate dai lupi, con un vuoto di relazioni dietro che le condannerà inevitabilmente al fallimento.
L'ultima cosa che volevo dire, rispetto al discorso del simbolico maschile, è che forse quando ci si muove all'interno delle istituzioni non si può viaggiare solo sulle pratiche di relazione. Questo vale anche al di là della politica: io lavoro in un carcere, sono in un'istituzione dove il simbolico maschile è fortissimo, e viaggio sì sulla mia esperienza, sulle pratiche di relazione, ma non posso non conoscere qual è la logica del simbolico maschile, del potere, perché se no le pago e le subisco. Si tratta di conoscere gli strumenti del "nemico", per potersi muovere non ingenuamente all'interno di un sistema, se no rimangono due mondi sempre paralleli e poco comunicanti.

Luisa Muraro
Per prima cosa vorrei dire, Chantal, che so che è difficile, ma dovremmo fare uno sforzo per mettere a fuoco le posizioni espresse da qualcuna e interloquire con quello, non con quello che abbiamo creduto di capire che l'altra volesse dire. Qui nessuna ha chiesto o la perfetta rappresentanza di sesso o niente... Hai detto cose con le quali magari si può essere d'accordo, ma attribuendo a qualcuna cose che qui nessuna aveva detto…
Riprendendo un punto di Letizia, quando diceva "quando vedo gli uomini in tv, nelle foto, in quelle carrellate, tutta questa umanità maschile in tutti gli organismi… io non ne posso più", vorrei dire che mi chiedo cosa vuol dire questo sentimento che ho sentito espresso tante volte, e che condivido anch'io: questa insofferenza, questo fastidio. In verità, questo non ha nulla a che fare con ciò che le donne devono fare o non fare. Sono cose che ci mostrano quanto gli uomini ci tengano ad essere in quei posti lì. Lo vediamo in quelle immagini e ci viene un che di distacco, di scollamento riguardo alla cosa pubblica e verso l'altro sesso, perché lo vediamo così assatanato di visibilità nella cosa pubblica, e così poco vergognoso di questa omosessualità che poi magari molti di loro in passato hanno anche condannato. Il tuo fastidio è anche il mio, è il dire "ma che razza di umanità è, che vuole comandare in queste cose?", ma non è il cercare di sostituirli, di aiutarli a metterci anche delle donne… Donne che si sono candidate, che si propongono, che si fanno avanti ci sono: se questi uomini non hanno il decoro, ma anche il gusto, di dire "mi vergogno di vedere tutti questi uomini, sempre uomini… mi vergogno con le mie figlie, con mia moglie, con le mie amanti, con mia mamma", peggio per loro!
Sarà una commedia che devono fare per la loro virilità, ma non è questa una cosa che possa motivare a un impegno accresciuto di donne per tentare di rompere questo loro narcisismo, la carriera nella cosa pubblica. Il discorso da fare è quello del ridicolo e della povertà, della paura, della meschineria a cui si sta riducendo la cosa pubblica, nel momento in cui vediamo lì anche qualità e presenza di donne, non più escluse come prima (perché prima sappiamo quanto le tenevano fuori). Quelle poverette che ci vanno in mezzo - perché ogni tanto ce n'è qualcuna, là, ogni tanto, con suo bravo tailleurino di ordinanza, con la sua manicure, il suo taglio di capelli, tutte le sue cosine a posto - fanno tristezza anche loro. C'è qualcosa che non va! Che la democrazia sia una cosa umile lo so, so che è una cosa per gente che non ha tanto senso estetico, che non ha intelligenza trasgressiva, che ha conformismi, che sopporta le ipocrisie, le foto d'ordinanza… Lo so, e capisco che anche le donne che vogliono fare queste cose entrano in questo ordine di cose. La democrazia non è una grande avventura dello spirito, è una cosa umile e bisogna avere questo spirito, ma che le donne non possano insegnare un po' di democrazia agli uomini, vivaddio!… Ma loro non la vogliono imparare, e quindi prendiamo atto, registriamo… Io non vedo che si possa fare altro discorso che dire: "Quelle che si candidano ci sono, ma non le vogliono, le rigettano".
Altro discorso poi è la lista rosa. Tra le donne di Rovereto c'era una grande ingenuità - spero che le napoletane fossero meno ingenue… -: la macchina elettorale dà protagonismo gratis, per quel momento lì, e allora pareva che queste donne avessero scoperto la bellezza dei rapporti tra loro, e con grande ingenuità si scoprivano anche protagoniste della scena sociale… Se lo facevano per puro divertimento e provocazione non ho niente da dire, ma lo facevano con ingenuità, credevano di avere chissà quali consensi elettorali, non sapendo cos'è quella macchina, come funziona, che cosa produce. Non so se le napoletane avessero tutta questa ingenuità, temo di sì, e non è che mi entusiasmi vedere donne che si buttano, che si mettono in mostra in queste forme, con dei marpioni o marpioncelli intorno… Io le rispetto, per carità, ma se non lo hanno fatto con spirito di ironia, di sbeffeggio, se lo hanno fatto credendo di poter fare davvero qualcosa, un po' mi dispiace, per l'intelligenza che hanno le donne, anche se certo capisco che quando ci si avventura nei terreni poco frequentati dalla cultura femminile si fanno anche delle ingenuità. A me sembra che il tuo racconto, il tuo spirito nel raccontare va bene, Letizia, però: che ci sia un tuo pensiero preciso, anche se non lo fai irrompere là! Si può descrivere con amore, onestà, vivezza una realtà di cui si vede che è uno sbaraglio, una sconfitta.

Antonella Nappi
Volevo solo fare una precisazione su Toni Negri, perché la verità è sempre interessante e utile. Ero in Potere Operaio, nel '69, e proprio Toni Negri diceva: "Vedetevi tra donne, guardate le femministe americane, le donne non fanno politica e bisogna che si attivino". Ci tenevo a dirlo perché penso che abbia qualche importanza…

Maria Benvenuti
A me pare che occorra che ci siano delle donne, la cosiddetta massa critica su cui Luisa mi prende un po' in giro, e che è stata teorizzata da una donna scandinava alla fine degli anni '80. Non tanto perché mi diano fastidio le immagini televisive degli uomini di cui si parlava, ma soprattutto perché secondo me certe scelte, a livello politico, è più facile che vengano fatte da donne che dagli uomini: per esempio la legge sui condoni parentali, portata avanti da Livia Turco, ma anche - a livello locale - decisioni che riguardano i disservizi che siamo noi donne a sperimentare sulla nostra pelle (la maestra che non c'è, i due figli in due asili diversi…). Mi pare che la Maiolo (forse l'unica donna nel consiglio comunale di Milano), di fronte a una ricerca dell'anno scorso che diceva che in Lombardia erano cresciute le donne che dopo il primo figlio abbandonavano il lavoro, disse: "Non capisco, sono donne che evidentemente avevano già preso questa decisione, perché ormai le forme di flessibilità ci sono", non capendo che la flessibilità può essere intesa in due sensi, a favore dell'impresa o del lavoratore… Per me è una questione di scelte politiche, per cui ad esempio io sono anche a favore delle quote. Bisogna poi vedere il risultato concreto… Nelle elezioni europee, con la riserva del 'terzo' alle candidate donne, è stato raddoppiato il numero delle parlamentari. Mi interessava capire anche da Letizia Paolozzi come vede la questione delle quote.

Liliana Rampello
Volevo solo dire un'altra cosa, perché la discussione ti chiarisce quello che ti succede dentro quando leggi un libro. Forse ho anche letto un libro un po' diverso da quello che ha letto Lia…
Rispondendo a Maria, io non sono d'accordo con la massa critica, non penso che se ci fossero più donne in parlamento le cose funzionerebbero meglio. Lì secondo me ha ragione Stefania quando dice "che segno mi dà questa donna che vuole esser lì?" Quello è un punto a cui io posso stare attenta, posso vedere se mi interessa la relazione con lei, se lei che vuole stare lì corrisponde a qualcosa che a me può far funzionare meglio quello che penso, che voglio fare.
Non sono d'accordo su una parte dell'intervento di Elena, perché non penso che Emily mi rappresenti: se Emily si presentasse a Milano, non necessariamente, automaticamente mi rappresenterebbe. Però è anche vero che io, a differenza di Daniela, sono una che vota, che sceglie l'uomo o la donna che intende votare (oppure decido anche di non dare preferenza: comunque faccio una scelta, in quella cosa ci sono). D'ora in avanti mi muovo meglio, più liberamente di quando ero iscritta a un partito, però tendenzialmente voto, quindi questa cosa mi interessa, perché ci può essere un filo che mi collega.
La questione principale la vorrei discutere con Lia, perché lei ha detto: "Emily lavora per l'inclusione delle donne nella politica degli uomini".

Lia Cigarini
Ho detto: "Diciamo qualcosa di preciso sulla questione della rappresentanza".

Liliana Rampello
Vorrei rispondere così, dicendo per me (né per Emily, né per Letizia): la questione dell'inclusione nel mondo degli uomini non esiste, non esiste dove lavoro, nella mia vita privata, né credo debba esistere in questa specie di totem che è il parlamento, per cui se mi avvicino lì improvvisamente l'inclusione è un fantasma tremendo, e sicuramente sarò inclusa… Io non ci voglio andare, però non decido a priori che se qualcuna ci va sicuramente sarà inclusa: questo era forse vero per moltissimi ambiti, nella vita delle donne, e non è più vero, quindi forse può non essere vero anche lì. Perché il parlamento e la rappresentanza, nel momento in cui li tocchi, devono mangiarti?

Lia Cigarini
Alberto ha toccato il punto della democrazia rappresentativa, che per lui è quello centrale. Per te lo è? Per me no, perché penso che la democrazia rappresentativa si basi sui partiti, non possa che basarsi sui partiti. Anche in un paese come gli Stati Uniti, dove i partiti non esistono, al momento delle elezioni c'è il partito democratico e quello repubblicano. La democrazia rappresentativa ha bisogno dei partiti, se tu non lavori per i partiti non puoi essere così tranquillamente sicura che la democrazia rappresentativa - come dice Alberto - sia il meno peggio, oppure il meglio, a cui siamo arrivati. Se tu fai una pratica politica differente, anzi tentando di sottrarre ai partiti una serie di cose, non puoi essere così…
Letizia, tu hai scritto sicuramente un libro scritto bene, però a me in questa serata - forse perché ho una tendenza teorica - piacerebbe arrivare a dei punti sulla questione della democrazia rappresentativa. Diciamo qualcosa su questo punto! Non mi puoi dire "io scrivo…": parli molto della democrazia rappresentativa, della rappresentanza, e poi dici "mi trascini nei contenuti"… Qui è tutta una storia di rappresentanza: la lista di sole donne, le DS, le Margherite, il consiglio provinciale… quindi vorrei andare a fondo su questo, che è un punto nodale, in discussione non solo con gli uomini genericamente intesi, ma anche con Alberto Leiss qui presente, o con altri. Per loro è il meglio che ci sia. Per me non lo è, la mia pratica politica nulla ha a che fare con questa storia. Se parli della rappresentanza discutiamo di questo, dopo aver detto che è un racconto fatto bene, e che la storia delle 45 donne è una storia di allegria finché hanno fatto la campagna elettorale. Vediamo dopo, come dice Stefania, che segni manda, ma per chi ha passione teorica, oltre che pratica, è interessante discutere su questo punto della rappresentanza.

Letizia Paolozzi
Sono per discutere, per continuare a discutere. Sono una che pensa che la rappresentanza faccia acqua da tutte le parti, ma che delle donne vogliano misurarsi con la politica istituzionale non mi fa nessuno scandalo...
[rispondendo a un'obiezione di Lia Cigarini] Certo, nessuno glielo impedisce, però c'è un modo per separarsi da un'esperienza che non è solo di allegria, o di ribellione, ma è di non stare alla collocazione che gli era stata attribuita. Sono donne che non hanno chiesto il voto solo alle donne, hanno chiesto il voto di tutti: era una lista di sole donne, ma non in rappresentanza delle donne. Non erano mai state iscritte ai partiti. Il gruppo dirigente che ha 'tirato' questa esperienza era un gruppo con delle dirigenti del centro-sinistra. Penso di aver detto che è un'esperienza a cui sono affezionata, perché l'ho vista nel suo svolgimento; mi ha appassionato, l'ho seguita, l'ho sostenuta, ci ho fatto una fatica sopra scrivendone proprio perché mi ha fatto molta simpatia, e più che simpatia… Sulla rappresentanza, a me va bene porre il problema, ma poi vorrei che non fosse esclusa dall'orizzonte delle donne, perché io stessa penso che se ci vanno delle donne, nei luoghi delle istituzioni, mi fa piacere.
Voglio ricordare però un'ultima questione, che richiede un'altra 'seduta': in Italia i partiti, secondo me, non ci sono più. Stiamo parlando come se ci fosse una storia di PCI, DC, PSI, che invece sono scomparsi. L'agonia che hanno avuto da tangentopoli ad oggi è finita, e lo dimostra quello che è successo nel voto di Catania, dove quattro liste di un signore uscito dall'UDC (che ha preso in Sicilia il 6%) hanno preso il 18%. Tuttalpiù ci sono dei 'signori dei consensi', dei talebani della politica, ma non sono i partiti.

Alberto Leiss
Vita mi ha chiesto della democrazia, e anche Lia, in una precedente discussione a Verona, aveva detto: "Forse questo è un terreno di interlocuzione". Anche a me interessa capire quale può essere questa interlocuzione. Io penso che democrazia vuol dire tanto e poco: quella del maggioritario ad esempio è diversa da quella col proporzionale. C'è una democrazia strutturata in modo che vincano necessariamente le oligarchie del denaro, come in America, o ci possono essere - e ci sono state, per certi periodi - altri tipi di democrazia. In Italia, dopo il fascismo, ha vinto una democrazia che ha detto che la guerra va ripudiata, mentre adesso tanta gente comincia a dire che la guerra si può fare, perché è una cosa umanitaria (incluse persone di sinistra, motivo per cui non mi sono più iscritto ai DS).
Ho parlato di democrazia col suffragio universale, di una democrazia che secondo me ha fatto un salto che nei secoli precedenti non aveva fatto. Questa cosa, vi chiedo francamente, vi interessa o non vi interessa? Tu hai detto "lasciamo che cada", e invece io non lascio che cada, perché la storia ci dimostra che quando cade è peggio. Stefania è andata via dicendo "deve venire un segno", ma da chi deve venire? Dalle donne che si sbattono per andare, scioccamente forse, nelle rappresentanze? Dei segni sono venuti, dagli uomini, lo diceva Luisa: Bush deve mettere in scena un suo 'personale', per governare questa democrazia che forse non è più una democrazia, ma un impero… Ci interessa o no?
[rispondendo a un'obiezione che non si capisce] Sarebbe stato meglio se fosse stato eletto da una maggioranza, almeno si salvava un minimo di legalità…
Che ci sia o non ci sia l'habeas corpus, è meglio o peggio?
Tornando al segno che viene da questi uomini: a parte Bondi o Toni Negri, che ci possono anche far sorridere, ma fino a un certo punto, in Europa esiste un paese in cui c'è il signor Zapatero che alcune cose le ha fatte. Ha smesso di fare la guerra, ha messo metà donne nel suo governo, e fa una politica che riconosce certe differenze. Secondo me fa bene, io preferisco quella cosa lì, e vi chiedo: voi preferite così o colà? E di questo che cosa dite? Perché se no non capisco neanch'io se c'è un'interlocuzione, Lia… Parliamo del bene maggiore: non so che cos'è, ma sento che potrebbe essere meglio di com'è (lo è stato e da qualche parte lo può essere). Nessuno tra noi, qui, pensa che le donne rappresentano le donne…

Lia Cigarini
Ma se fai una lista di sole donne che cosa rappresenti, se non le donne?

Alberto Leiss
Va bene, io lo considero un gesto strano, e forse sbagliato; ma che nell'immagine della politica per come è detta dalla democrazia rappresentativa (che non è il solo luogo della politica, ma è un luogo della politica) ci siano queste donne, va bene o no? Voi avete detto "la politica delle donne è la politica": adesso ci sono degli uomini che dicono questo, e non sono proprio gli ultimi venuti… Per me, dico che mi sta bene, e forse anche voi dovete dire qualche cosa.

Daniela Pellegrini
Vorrei intervenire su una questione che mi sta molto a cuore, perché mi sembra che tutta questa discussione rispetto all'esserci o non esserci, dentro nelle istituzioni, sia supportata da un desiderio di partecipare a un "potere", che si è simbolicamente manifestato in una lunga e travagliata storia di uomini fino ad approdare a quella che voi chiamate democrazia. Io nella democrazia creata da questa cultura non ho nessuna fiducia, anche perché si basa su un simbolico che (anche se alcune hanno detto che il patriarcato è morto, cosa di cui non sono assolutamente convinta) ha generato questo tipo di potere. Allora, penso che lo scenario su cui dobbiamo dire e agire in modo diverso è uno scenario simbolico, non certo uno scenario di potere democratico. Di questo io sono convinta, e allora se noi sosteniamo le istituzioni, e vogliamo entrarci, vuol dire che sosteniamo quel tipo di simbolizzazione del potere, cosa che gli uomini fanno con molta dovizia… e usano il cambiamento simbolico messo in atto dal movimento delle donne in tutti i modi e le maniere. Adesso - fatto che anche Alberto ha citato - esistono anche le guerre umanitarie: è un ossimoro in cui il maschile e il femminile si tengono di nuovo a braccetto, e su questa cosa gli uomini, democratici o no, ci giocano alla grande. Infatti, se Zapatero fa il liberale è grazie alle donne che ci sono state e continuano ad esserci… solo che il potere gli si ribalta di nuovo in un'aureola stupenda, di simbolizzazione al maschile, che gli uomini non possono che continuare a inneggiare, senza ricordarsi che se il simbolico cambia è grazie alle donne, non agli uomini. Anche le donne dovrebbero riconoscere questo fatto, invece vanno a cercare i luoghi di potere, dove esprimere simbolicamente un potere che è uguale, o molto simile, a quello degli uomini. Ricordo che secoli fa, in una riunione, Lia Cigarini diceva che dovevamo abbandonare il fallo a se stesso. Invece, se vogliamo il potere, legislativo, istituzionale, etc…, invece di abbandonarlo lo sosteniamo, come donne e in quanto donne; anzi, lo accresciamo, dandogli la possibilità di dire "io sono bravo" tenendo continuamente fuori, comunque, le donne che invece desiderano entrarci. Quelle che non desiderano entrarci è perché fanno resistenza, e la resistenza, secondo me, è una delle cose su cui basare anche oggi la politica: quella prima, quella delle donne.

Luisa Muraro
Volevo solo rispondere ad Alberto sulla domanda che fa. A nessun titolo io sono chiamata, da nessun contesto significativo e determinante, a dire se voglio tenere su un minimo di democrazia oppure no: non è affare mio. Dove sono io, per quella che sono io, non c'è niente di significativo che possa capitare, da questo punto di vista. Nella posizione in cui mi trovo io, e altre come me, qui, quello che posso significare è la gestazione dell'uovo: cioè che qualcosa di positivo, di valido, di favorevole alla libertà delle donne, che vuol dire di favorevole alla civiltà umana nel suo insieme, possa in qualche modo venire alla luce, prodursi. Io devo lavorare a questo. A me non tocca di sostenere la larva di democrazia che c'è: come ricordavamo, sappiamo con quanti voti Bush è stato rieletto… la prima volta è stato eletto senza neanche avere la maggioranza legale, quindi lo è stato con un inganno… e però si chiama democrazia! Prima che questa larva di democrazia precipiti del tutto, è meglio che noi lavoriamo perché altro e nuovo, di favorevole alla libertà degli esseri umani, cioè in primis delle donne (o meglio: alla libertà delle donne, ché è sufficiente dire questo…) possa prodursi. Quindi, non è che quando io non sono favorevole alla presenza di donne nelle istituzioni sono contro questo: è che sto cercando positivamente di significare possibilità e nuove strade di convivenza civile nella libertà e nella più grande giustizia possibile.
È tutta lì la mia risposta, ed è proprio la cosa che incombe. Se io sto dietro a dire le cose che tu quasi vorresti che mi adoperassi a dire, non solo perderei tempo e forze, ma perderei di significanza. A me tocca quel compito lì, perché lì sì che sono significativa. Dopo di che, non ho fatto nessun male alla larva di democrazia: ho solo preparato che qualcosa si affacci, sia già in essere, quando sarà caduta.
Aggiungo che la lista rosa non voleva essere rappresentanza delle donne (ed è giusto che Letizia lo ripeta), ma voleva dare al fatto dell'essere donna un significato di possibili rappresentanti: cioè, l'essere donna può giocare a fare il gioco della rappresentanza politica. Questa cosa si può far passare come un gioco, uno scherzo, una rabbia, una provocazione, ma naturalmente ha una grande ambiguità: dà un significato alla differenza sessuale che io non condivido, perché per me la significanza della differenza sessuale è nell'espressione di autorità femminile, di relazioni tra donne, di relazioni donna-uomo in cui ci sia autorità femminile. Ma questa non è una condanna della lista rosa, che quelle donne hanno deciso di fare. Adesso bisogna però vedere che cosa vanno avanti a fare, di questo loro gioco, scherzo, di questa loro provocazione, di questa loro rabbia probabilmente... Perché o hanno fatto teatro sul teatro degli uomini, o hanno fatto un teatro di donne (e sembra che abbiano voluto far questo) e io - come giustamente diceva Stefania - voglio che sia giocato a vantaggio mio, visto che hanno usato il mio sesso, per significare qualcosa. Se avessero messo almeno tre uomini in mezzo non sarebbe stato così, ma così hanno proprio usato la differenza femminile per dire qualcosa: che cosa? In questo gioco voglio che mi comprendano, adesso, voglio partecipare anch'io, voglio vedere come se la giocano, e vorrei anche che Letizia, che scrive libri su queste cose, lo tenga in mente, e me lo dica.

Anna Maria Rigoni
Volevo dire una cosa rapida riguardo all'ambiguità. Si parla di uscire dall'ambiguità, ma penso sia molto difficile, nel presente. Penso che l'ambiguità sia un fenomeno del presente, e che sia necessario stare in relazione con l'ambiguità. Quindi è molto difficile chiedere di uscirne in modo chiaro. Non dico che sia bella, ma se vogliamo stare nel presente dobbiamo starci in relazione, cercando una strada per uscirne, ma tenendo presente che ci siamo dentro. È una cosa con cui bisogna fare i conti.

Ida Faré
Non ho letto il libro e lo leggerò. Non so se la lista rosa sia giusta o no, ma penso che le donne siano come gli immigrati, nel senso che invadono: invadono le istituzioni, invadono le segrete stanze del potere. E questa invasione femminile delle segrete stanze è qualche cosa di inarrestabile… Sono abbastanza d'accordo con Letizia Paolozzi, le donne sono dappertutto. Allora non ho capito (io che sono all'università, dove ci sono dei giochetti, delle gerarchie, delle cose gerarchico-patriarcali) perché ci sia questo antico divieto, da parte del movimento delle donne, di mettere il piedino in parlamento. Poi voi giustamente dite "fatelo, se volete, ma, ma, ma…": c'è come un tabù. Anch'io dico "se lo vogliono fare lo facciano", ma lo dico per tutte le istituzioni. Lia fa l'avvocata: accidenti! anche lei avrà il potere gerarchico-patriarcale sopra di lei; anche lei andrà lì a portare la sua differenza, cercherà di scompaginare le regole del gioco. Io non ho fatto il concorso per diventare barone, come non l'hai fatto tu [Luisa Muraro]; ci siamo accontentate di posizioni più modeste, perché corrispondevano di più al nostro cuore, alla nostra anima, e anche alla nostra differenza. Però dentro alle istituzioni delle cose le abbiamo portate, e anche tante… Io dico: c'è questa invasione femminile dentro alle istituzioni, che sia! E che sia col senso della nostra differenza e col senso delle cose che impariamo qui, dai nostri scritti, dai nostri libri, dalla nostra esperienza, dalla nostra riflessione! Questo è il gioco, secondo me, e non puoi rifiutarlo. Non penso che si possa, oggi, rifiutare una forte interferenza delle donne dentro alle istituzioni, e non capisco perché il parlamento, la stanza dei bottoni, debba essere lasciata fuori. Per esempio: due-tre anni fa io ho fatto una campagna elettorale con i DS; sono stata eletta consigliere comunale, ma siccome era stato eletto Albertini, gli eletti sono stati tagliati. Avevo fatto una campagna sul prendersi cura della città, tirando dentro tutte le cose che pensavo appartenessero alla mia cultura. Avevo discusso con le altre donne, e la cosa più bella che mi è capitata, dopo anni, è stata trovare donne sindache che mi hanno detto: "Sai che quella campagna, che tu non hai potuto portare avanti, noi nei nostri piccoli centri, dove siamo state elette, noi l'abbiamo portata avanti, prendendo per buone le cose che avevamo fatto insieme. Non sai quanto ci è servita!". Credo che questo intreccio, questa interferenza possa esistere.

Pat Carra
Volevo dire due cose: la prima è che a me, in senso molto teorico, la cosa che è piaciuta di più sulla natura della democrazia è un romanzo di Saramago che si chiama 'Saggio sulla lucidità', in cui immagina come va a finire, la democrazia. Descrive in modo divertentissimo (anche se poi va a finire male) una cosa che è molto verosimile, come se fosse fantascienza. Per me è stato molto chiarificante, e credo che ci sia un pensare di donne e di uomini, su questa democrazia che sta morendo davanti ai nostri occhi. Sta morendo anche nel suo irrigidimento, nel suo rigor mortis da autoritarismo allo stato puro.
L'altra cosa è che avverto, per quello che tu [Alberto Leiss] dicevi anche un po' disperatamente, chiedendo "ma allora voi Zapatero dove lo buttate?", che noi, vivendo nella realtà, nel presente, siamo immersi non nell'ambiguità, ma nelle contraddizioni. A me Zapatero interessa: ci sono cose, di quelle che fa il governo Zapatero, che trovo molto interessanti, non per il solo fatto che ha messo lì delle donne ma perché il suo destino e la sua voce sono intrecciati al fatto che ascolta donne che sono simili a me. Vedo che ci sono cose che vengono fuori che non sono esattamente forme democratiche, perché non credo proprio che siano voci maggioritarie: sono voci che ascolta lui, che ascoltano altri… Loro hanno preso parola autonomamente, in Spagna, si fanno ascoltare, e c'è un intreccio che per ora ha delle punte interessanti. Certo, è stato votato, ma mi sembra un tipo di cosa contraddittoria, in cui emerge anche altro.

Fiorella Cagnoni
Tornando un po' indietro, volevo dire che dal punto di vista della scrittura questo mi pare l'esito migliore di Letizia, che pure scrive sempre ad alti livelli: però qui vedo una cifra armonica speciale, una leggerezza di racconto che ammiro moltissimo. Dico anche, perché ce l'ho nel cuore, che la definizione di 'solare guerriera' per Franca Chiaromonte mi pare molto azzeccata.
Secondo punto: vedo che dopo 25 anni la questione rappresentanza-istituzioni ci inquieta. Io sono una femminista radicale, che però ogni tanto da 30 anni mi figuro le lobby, altro che la lista rosa… poi dopo mi trattengo e mi uniformo di più a quello che mi pare rispondere davvero al mio sentire. Che cosa può esserci di nuovo? Per esempio c'è che negli ultimi anni le donne nel parlamento italiano, trasversalmente, hanno fatto delle cose; e le hanno fatte in un modo che - come diceva Pat - [finisce la cassetta…]…
L'ultima cosa che ha detto Luisa per me è cruciale, perché tutte le volte che anch'io vedo la televisione e leggo i giornali mi sembra come impossibile che si viva in un mondo così sgangherato; e però mi devo continuamente ricordare che io sono altrove, e da quell'altrove devo partire, perché se no ogni venti minuti sono trascinata in qualche cosa che - certo - può essere interessante, ma che non ha (perdonatemi la parola) quella carica rivoluzionaria che ha una pratica politica che di suo non è tanto difficile… la sua terribile difficoltà è quella di farsi in continuazione senza lasciarsi deviare dal luogo in cui sta...

Marisa Guarneri
Ho letto il libro e l'ho letto con facilità, nel senso che è scritto proprio bene. Mi è piaciuta la creatività, l'entusiasmo, il coinvolgere gli uomini delle loro famiglie, amicizie in un modo che ho sperimentato anch'io: lo stare nella politica in un modo più paritario, relazionale. Mi sono posta due domande. Quello che mi ha colpito è il rapporto tra queste donne e le dirigenti di Emily: come se ci fosse una rappresentanza nella rappresentanza. Che lo scontro con il partito, la politica, le mediazioni, la moderazione con cui la cosa è stata gestita sia stata come una divisione di compiti. In questo io vedo un grosso limite: il non essere fino in fondo protagoniste. Alla fine la valutazione di come si sono sentite in questo percorso, se il risultato che hanno avuto ne è valso la pena, la devono dare loro; però io lì ho visto come un riprodursi della politica anche fra di loro.

Lia Cigarini
Mi è piaciuto, nell'intervento di Fiorella, questa distinzione tra rappresentanza e rappresentazione. Il racconto, che dà una rappresentazione dell'essere donna in situazioni diversissime, non è la rappresentanza, che è una forma precisa. Comunque, mi sembrava che Lilli dicesse: "Io voglio intervenire nella contingenza; ci sono contingenze legate al referendum, a questa improvvisa immersione che abbiamo nelle religioni, e io voglio intervenire". Io ho sempre avuto presente la contingenza, e credo proprio che i partiti, così come sono, e anche - purtroppo - le liste rosa nelle province, nei comuni, nei parlamenti, siano un ostacolo all'intervenire nella contingenza, perché sono frutto di tante mediazioni. Giustamente Marisa ha evidenziato che dal libro viene fuori che lì ci sono due livelli: le 45 candidate, e Anna Maria Carloni, Franca Chiaromonte e le altre che hanno fatto già una mediazione. Poi c'è un'ulteriore mediazione, e poi un'altra… Sembra che noi (io e anche alcune altre, qui) abbiamo un'idea che l'intervento nella contingenza - col racconto, con testi, con prese di posizione - sia molto più facile che nelle situazioni interne alla politica 'ufficiale'. Tra l'altro, io sono contro il fatto che ci sia quella la scena pubblica… Io credo che la separazione della donne ha spaccato la polis, e che noi siamo sulla scena pubblica. Alberto ricordava quanti passaggi ci sono da posizioni di contrapposizione violenta a posizioni che fanno propria la pratica delle donne. Quello è un decentramento molto forte dalla scena pubblica così come tradizionalmente è pensata. Mi irrita un po' dire "le donne nelle istituzioni, nella scena pubblica…", perché ritengo che la polis sia spaccata e che noi qui siamo in una scena pubblica. Ci siamo con pensiero, pratica politica; produciamo cultura e pensiero rispetto a una cosiddetta scena pubblica poverissima che qui è stata sottolineata. Quello che a me interessa non è il separatismo - è una critica che risale a venti anni fa - ma proprio una possibilità di intervento nella contingenza il più agile e sapiente possibile, che invece tutte quelle mediazioni impediscono. Il fatto di avere una consigliera provinciale che, come peraltro viene detto nel libro, è la più scafata alla politica (quella che comunque era una donna politica, non una delle 45), cosa comporta? Una delle 45 che con fervore, allegria, si è fatta la campagna elettorale, se poi viene eletta deve rendere conto a una coalizione. Nella contingenza non si può che intervenire col pensiero, con l'innovazione… c'è come una pre-condizione culturale: su questo sarete d'accordo.

Giordana Masotto
Ho una domanda rispetto a uno specifico che tu [Lia?] attribuisci al contesto della politica in quanto rappresentanza attraverso i partiti e il parlamento. Che cosa ti impedisce, rispetto a quel pezzo di mondo della politica, fatto anche da donne (nel senso che ci sono donne lì, in quel contesto), di interloquire con quelle donne con lo stesso tipo di interesse con cui siete nel lavoro fatto qui? Andate a interloquire con donne presenti nel mondo del lavoro, un mondo che è altrettanto opaco rispetto all'espressione e al segno femminile: è un lavoro che richiede molto amore, molto desiderio, molta attenzione per poterlo fare, per vivere quel contesto come significativo… Nonostante quello che si vede, che è più evidente, è interessante andare a interloquire e tentare di dire delle parole, perché le donne sono lì. Credo che mettersi in dialogo, andare a interloquire dia senso a qualcosa, crei una parola, un fatto. Quando è uscito il libro sul lavoro [Parole che le donne usano per quello che fanno e vivono nel mondo del lavoro oggi, Quaderni di Via Dogana], credo che la cosa più importante sia stata proprio l'azione di interrogazione e di dialogo che ha reso significative cose che non hanno nessuna visibilità, se non nelle personalissime dinamiche interiori delle singole che vivono quella situazione. Allora, perché lì sì, e non là?

Lia Cigarini
Non è che io rifiuti l'interlocuzione. Qui sono venute Marilena Adamo, Emilia De Biase, Arianna Censi. Vengono sotto elezioni. Sotto elezioni c'è un fervore… e io interloquisco, non è che rifiuti di discutere con queste donne. Non se se riesco a farmi capire, quello che voglio dire è che lì ci sono mediazioni precostituite: questa democrazia rappresentativa fa sì che mentre con la manager, con chi viene a parlare del suo lavoro - e lo fa anche in base a una relazione - ho uno scambio (che come dici tu sarà anche opaco, ma poi a forza di parlare l'opacità si chiarisce), là invece no. C'è quella mediazione lì… È dal Sottosopra 'Piu' donne che uomini' che si è interloquito con queste donne, c'è stata anche la 'Carta delle donne', ma ho come la sensazione personale che, mentre in qualsiasi rapporto (anche con un'avvocata com'era la De Dionigi, toga d'oro, miliardaria, sprezzante verso la lamentela femminile) in qualche modo io stabilisco una relazione e delle modificazioni avvengono, in me e nell'altra, là si sente una cosa diversa: queste donne rispondono a qualcosa d'altro, rispondono a chi le ha messe nelle condizioni di essere elette. Nella mia esperienza, non è stata mai possibile una relazione duale dove ci fosse un minimo di modificazione. C'è in alcune un'apertura… Per esempio, c'è stata la discussione alla Camera del Lavoro del 'libretto' sul lavoro; c'erano molte delegate che l'avevano letto (delegate che continuano a lavorare), e alla fine quella che ha la posizione più forte, nel sindacato, ha detto: "Cose interessantissime, che in parte recepiamo, però noi come sindacaliste siamo le rappresentanze… il sindacato ha la rappresentanza". E lì (del libro), cosa sarà? Ne farà in parte uso nella sua lotta nel sindacato, ma… Secondo me è anche sbagliato, perché il sindacato non ha la sua ragione di essere nella rappresentanza, ma nella contrattazione: così è nato, storicamente. Ma lei ha voluto specificare che il sindacato è il rappresentante di tutte le donne. Le delegate ovviamente interloquivano…

Liliana Rampello
Prima di chiudere, volevo dire solo una cosa, su un tema a cui mi ha richiamato Lia. Lo scenario che io ho proposto non era quello di un interventismo qualunque e comunque. Ho semplicemente detto che vedo un tempo pieno di rischi, e vorrei capire insieme ad altre come se ne fa un'opportunità. Per quanto riguarda invece la questione della mediazione che è già prestabilita, sono molto d'accordo con le cose che diceva Giordana: io non dico che esistono mediazioni che assolutamente e per sempre saranno prestabilite. Poi non sono io che ho voglia di incidere su quel punto, ma quel racconto (cioè quell'intervento nella contingenza a cui ti apri dicendo "è solo il racconto, il testo, che ci permette…"), l'operazione che ha fatto Letizia, mi ha restituito la possibilità di una relazione con donne che fanno altro.