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Venerdì
22 aprile 2005, Libreria delle Donne - Circolo della Rosa
Rosella Prezzo, docente
di Estetica al Politecnico di Milano e redattrice della rivista filosofica
Aut Aut, presenta Una filosofa innamorata. Maria Zambrano e i suoi
insegnamenti (Bruno Mondadori 2004) di Annarosa Buttarelli.
Una filosofa
innamorata
a
cura di Claudio Zucchi
Intervento
di Rosella Prezzo
Maria Zambrano.
Un pensiero che ha l'ironia al punto giusto. E anche la pietà.
Dove si gioca esattamente quella modalità relazionale (di cui parla
anche Annarosa Buttarelli) non per un dettato esterno ma perché
la vita umana inizia con l'ironia. C'è l'abbinamento, l'essere
e il non essere, dove l'essere non è una umiltà, un'idea,
ma una modalità di continua fuoriuscita da una oscurità
per l'essere umano. E la pietà - lo dice bene Maria Zambrano (MZ)
- ha a che fare con la vita. È qualcosa di pratico, in cui però
non c'è una indicazione che bisogna essere buoni con gli altri.
Così come il discorso sull'amore, non è una indicazione
pedagogica nel senso che bisogna aprirsi agli altri, bisogna essere buoni,
misericordiosi: ma è che dell'altro c'è necessità.
Quindi l'altro.
Quando MZ dice altro non lo scrive mai con la A maiuscola. E questo è
significativo. Non pensa subito all'altro in ascesa, ma agli altri: le
varie modalità della vita, le realtà molteplici. È
questo altro, questo bisogno di altro di cui sente la mancanza, non è
la filosofia, non è il sapere filosofico così come veniva
presentato, ma è un qualcosa che sta all'origine. In qualche modo
è l'origine a cui MZ torna. Vuole tornare a quello che chiama sentiero
originario: ognuno è già l'altro, è già entrato
nell'origine propria.
Spesso i filosofi hanno dato questo ritorno all'origine come una indicazione.
Ma che cosa indica a MZ questo tornare a sentire originario? È
anche un tornare al senso e al significato umano della nascita. A un riscattare
la nascita. La filosofia ha molto assunto la morte, la morte in sé,
l'anticipazione della morte. In fondo già Platone è questo
prepararsi alla morte, questo distacco. MZ invece si volge verso quell'altro
elemento che la filosofia non ha molto considerato, anzi, quasi per niente.
In questo modo lei si avvicina per un tratto, poi prende un'altra direzione,
perché in fondo il movimento è un movimento dall'interno,
questo pensiero si va facendo dall'interno. Vedere dall'interno, sguardo
che Hannah Arendt invece non ha, e la tiene abbastanza fuori. E allora
cosa vuol dire riscattare la nascita. Non vuol dire riscattarsi, né
riscattarsi dalla nascita, quindi staccarsene, ma riscattare la nascita
nel il significato che ha per l'essere umano.
Vediamo di spiegarlo attraverso l'immagine di Edipo il re, perché
contemporaneamente c'è anche una riscrittura di alcuni luoghi della
psicanalisi e della tragedia. Più che sulla psicanalisi in sé,
su cui non si pronuncia, non entra molto, MZ torna spesso sulla figura
di Edipo. Per lei la figura di Edipo è quella in cui, dice, il
filosofo potrebbe specchiarsi. L'errore del filosofo è stato un
errore edipico. Detto così noi immediatamente pensiamo al complesso
di Edipo. MZ in realtà torna a Edipo per riprenderne la figura
tragica, oltre e aldilà di quel complesso edipico che noi automaticamente
ributtiamo ogni volta su questa figura. In fondo noi armai abbiamo perso
di vista la tragedia. E in quella tragedia lì non riusciamo a vederci
altro che quanto la psicanalisi in qualche modo ha imposto come lettura:
per cui in Edipo leggiamo solo il complesso. MZ proprio attraverso quella
modalità (di cui scrive bene Annarosa Buttarelli) questo tornare,
superare, correggere, torna all'interrogativo: qual è l'errore
di Edipo? Cos'è che lo manda in miseria, lo affonda, lo rende cieco?
L'errore di Edipo sta nella sua esatta risposta. Edipo risponde giusto
all'enigma della Sfinge.
Ma lì che sta anche la sua tragedia.
Perché in realtà prende l'enigma come un problema da risolvere,
come un indovinello da sciogliere, che non lo riguarda. In qualche modo
dedica il suo intelletto a risolvere l'enigma, lui solutore di enigmi.
Ed è molto fiero Edipo: parlando della Sfinge dice le ho tappato
la bocca.
Quello che non capisce è che quell'enigma (e gli enigmi - dice
MZ - sono rompicapo in cui la domanda gioca a rimpiattino con la risposta).
Quello che non capisce Edipo è che quello che deve andare cercando,
non è una soluzione tutta intellettuale, ma deve rispondere di
persona con tutta la sua persona perché l'enigma è primariamente
lui stesso.
E qui MZ dice qualcosa di assai interessante.
Dice che infondo Edipo ha troppa voglia, è troppo svelto, ha troppa
fretta di sentire. In realtà non sente che è lui quel mendicante
di luce. È lui quell'essere: mentre invece lui risponde con l'uomo.
La sua risposta è l'uomo in generale. È tutto preso a incoronare
il suo io, a diventare tiranno di Tebe, a diventare re, e non capisce
che l'enigma, non da sciogliere una volta per tutte ma da cui partire
per mettersi sulla strada per rivelare anche a se stesso, chi davvero
è.
Infondo - dice MZ - Edipo rimane attaccato alla placenta d'ombra. Cosa
questa, aggiunge, che Soflocle indica con il fatto che sposa sua madre.
Non si stacca. Ma cosa vuol dire questo staccarsi dall'origine? Per MZ
non vuol dire eliminarla, nasconderla, dimenticarla: ma assumerla, riscattarla.
È la provenienza. È quella oscurità da cui ciascuno
emerge nella nascita. La nascita infondo è questa verità
ironica.
Si dice che noi siamo esteri, siamo dati alla luce. Quindi in una forma
passiva, il tema della passività che Annarosa Buttarelli con una
formula molto felice chiama della passività efficace. Siamo dati
alla luce: in qualche modo come sacrificati alla luce. Siamo esposti.
Entriamo ciechi nella vita. Siamo esposti agli altri, allo sguardo degli
altri.
E nello stesso tempo si dice venire alla luce, forma attiva. In questa
passività attiva c'è quel venire alla luce di cui ogni essere
umano ha bisogno per essere accolto, per riconoscersi. Per tracciare la
propria strada, la propria necessaria libertà - dice MZ. E allora
questo elemento di passività attiva è in qualche modo la
cifra dell'essere umano, che per MZ è anche la cifra del pulsare,
del pensare che non si stacchi, nel senso di staccarsi, di nascondersi
a, di emanciparsi da, ma come la luce dell'alba che sempre torna. La luce
dell'alba e la nascita per MZ coincidono, si sovrappongono.
Quella luce che torna ogni volta a vegliarci, in cui ci risvegliamo a
noi stessi: per entrare, per uscire, fuori. Don Chisciotte è corretto
in qualche modo da MZ. La lettura che ne fa è tutta puntata su
quel momento dell'alba in cui don Chisciotte esce. Era là nell'alba,
dice il testo spagnolo: MZ dice nella indecisione, che si sente anche
formulata dalla lingua: poteva essere l'alba . È quell'ora indecisa
dell'alba in cui don Chisciotte esce all'incontro. La nascita è
questo uscire all'incontro, non sappiamo con chi. Ma è un uscire
che non chiude la porta: in qualche modo, è una apertura, è
un andare verso altro.
Allora tornare alla origini è tornare a questo elemento della nascita
umana che ha questa duplicità, questa esposizione che non possiamo
dimenticare. E quella luce che la filosofia ha dimenticato: le ha preferito,
si è identificata come coscienza, come luce già in sé.
Ha dimenticato appunto la luce vivente, la luce nascente. Dell'inizio
nascente. Il tornare all'origine, questo tornare all'inizio nascente,
ma non come qualcosa di passato nel tempo, ma come infinità che
è sempre presente, dove il sentire, il sentiero originario non
vuol dire sentire l'origine nel senso della notte dei tempi, ma sentire
di sentire, senza ancora un oggetto particolare: non sentire questo o
quello, ma un sentire si sentire. La presenza sconosciuta che ciascuno
è.
Ed è proprio questo che in qualche modo ha bisogno di luce. È
quanto in qualche modo è alluso e attempa in ogni pensiero: ma
che il pensiero ha buttato fuori, ha lasciato in esilio. La vita in esilio:
è la cifra della nascita umana, è il suo patire la propria
trascendenza (altra espressione zambraniana). È quel sapere tragico
che la filosofia crede di aver superato. È il conoscere attento.
Solo il conoscere attento può tenere assieme, può dare senso
all'esistenza: questa fuori uscita in cui si è esposti, agli altri,
e dove poter conoscersi è solo andando incontro ad altri.
Intervento
di Annarosa Buttarelli
La parola
correzione è parola chiave che ho trovato per definire una
cosa che mi ha sempre molto affascinato di MZ: il fatto che lei si sia
trovata di fronte, come ha ricordato Rosella Prezzo, a un mondo politico
che capiva pochino, e al mondo filosofico che la affascinava anche se
non lo capiva per niente. Nel momento in cui lei studiava, il mondo filosofico
(maschile) aveva un modo di imporsi così grave da impedire ogni
mediazione possibile per una donna che volesse studiare filosofia, restando
fedele al fatto di essere donna. Di questo se ne è fatta un impegno
e ha fondato lì tutto il lavoro di un'intera vita, non solamente
in campo filosofico ma anche relazionale e politico. La sua esistenza
minuta, quotidiana ha qualcosa di veramente grande da questo punto di
vista. Quindi in assenza di mediazioni, per poter fare quello che voleva
(studiare filosofia e pensare e tentare di restare fedele al suo essere
donna) ha trovato appunto questa modalità. Cioè quella di
seguire i grandi pensatori o almeno quelli che lei amava, fino al punto
in cui la loro descrizione dell'esperienza diventata teoria, pretendeva
di diventare descrizione dell'esperienza universale.
Questo il primo punto: lei intende tutta la grande filosofia come pensiero
della esperienza. Non che Cartesio, Hegel, Platone o Heidegger fossero
spettatori astratti: lei era convinta fossero pensatori che partivano
certamente dalla propria esperienza.
Ma che quel pensiero conserva fino a un certo punto la capacità
di parlare anche a lei donna che voleva fare filosofia restando donna.
Fino al punto in cui lei donna, prende la storia in mano e riscrive differentemente
gli esiti e le conseguenze di una certa proposta filosofica, in modo da
aprire il mondo anche alla sua necessità di pensiero.
Questa magari può essere considerata una modalità discutibile.
Si può magari anche ritenere inutile quello che ha fatto: riscrivere
la tragedia di Sofocle dalla sua fine, o il metodo trovato da Cartesio,
dalle sue basi, o ancora l'epochè di Husserl intesa in tutt'altra
maniera. Tante parole che hanno fatto la storia filosofia così
come la conosciamo, da lei riscritte liberamente e in una maniera radicalmente
differente. Certo, si può dissentire da questa operazione. Tuttavia
ha dato esiti molto interessanti e io la ripropongo in questa luce: l'invenzione
di una donna che tenta di aprire il mondo (e ce la fa) in passaggi teorici
significativi. Ce la fa perché ferma quelle costruzioni a un certo
punto diventate deliri teorici: li ferma e li riapre al due. Li riapre
alla doppia possibilità di dare esiti differenti a percorsi magari
iniziati in comune.
Aggiungo che c'è un malinteso nei confronti di MZ che mi preme
contrastare: viene anche dai suoi stessi amici, dagli stessi compagni
di strada. Quello di ritenerla come una filosofa, pura rivoluzionaria
per certi aspetti, ma di pensarla perfettamente in continuità con
la tradizione filosofica europea occidentale. Questo è veramente
un errore: c'è in lei una radicale divergenza, una eccentricità
proprio rispetto alla tradizione filosofica. Il fatto che abbia conservato
amore e riconoscenza verso i suoi maestri, e fedeltà ad alcune
loro indicazioni, non significa che possa essere scambiata come una filosofa
rimasta all'interno di una sequela di pensiero maschile. Questo bisognava
riscoprirlo per affermarlo. Nel mio lavoro ho appunto inteso riscoprire
questa su radicalità.
Certo poi le ha giocato contro il fatto di scrivere al neutro, il suo
parlare al maschile, lo scrivere al maschile o neutro: anche questo ha
contribuito a ritenerla in contiguità. Io credo invece che lei
si rivolgesse davvero agli uomini, in molte parti del suo lavoro e in
molte parti delle sue proposte.
Ma quando dice uomo vuol dire maschio. Lei parla del sesso della storia
maschile: storia politica, storia culturale, storia filosofica. E fa un
grande sforzo per poter parlare proprio agli uomini, perché li
ritiene davvero pericolosi. Una delle ragioni meno viste ma credo fondamentali
del suo parlare è che considerava assolutamente disastroso per
le sorti dell'umanità e per l'Europa in particolare il percorso
maschile: e lo diceva proprio nel cuore del secolo in cui sono accadute
le cose che sappiamo.
Quindi si è impegnata grandemente per poter parlare a loro anche
perché riteneva le donne in un certo senso tenute al riparo dal
loro realismo, dal loro vivere concretamente in fedeltà all'esperienza,
con amore per il sentire che significa anche vivere integralmente la vita.
Domande
Rapporto
di MZ con la poesia.
La scrittura di MZ è esattamente anche il modo che aveva di pensare:
è sicuro che parlava così. I suoi amici dicono che così
come scriveva, parlava. Sono famosi i suoi monologhi: entrava in una specie
di meditazione e lì parlava come stesse leggendo. Il suo modo di
parlare era molto spesso quello, soprattutto quando voleva fare la maestra
agli uomini. Perché aveva quasi orrore (lo si capisce leggendo
i suoi testi) del fatto che lei riteneva ci fosse una specie di coazione
a ripetere. Di fronte alle cose c'è un voler assolutamente capire
subito tutto, c'è una volontà di tradurre tutto ciò
che in qualche modo ci tocca, quanto non possiamo evitare nell'esperienza
quotidiana, nelle sue mille sfaccettatura di ogni giorno.
MZ aveva la convinzione che il problema grave fosse quello di voler esaurire
subito il mistero (spessore anche incomprensibile dell'esperienza) attraverso
la comprensione razionale. Quindi il passaggio, la traduzione veloce di
ciò che esperiamo in varie forme, sensoriali o intuitive o relazionali,
in una forma logica che segue sostanzialmente il principio di non contraddizione.
Mentre l'esperienza, la vita, il sentire, tutto ciò che nasce nell'immediatezza
ha come segnale la contraddizione. I segnali dell'immediatezza sono contradditori,
quando ci fermiamo in qualche modo ad ascoltare.
È interessante vedere come lei attraverso questo suo strano linguaggio,
attraverso questa sua strana scrittura, provasse a modificare la forma
del pensiero, perché è questa la sua scommessa: provare
a cambiare il modo in cui noi mettiamo in forma i pensieri. Certamente
non buttando via il principio di non contraddizione, che è necessario
per poterci comprendere l'un l'altro, ma considerandolo invece come uno
degli elementi che possono sorreggere il nostro pensiero ad un certo livello.
E l'invito allora è quello di articolare i livelli in cui possiamo
pensare.
L'intuizione infatti è una modalità di pensiero misconosciuta,
non considerata nell'ambito filosofico come luogo sorgivo di pensiero.
Invece è una modalità di pensiero, quella relazionale per
eccellenza, perché attraverso l'intuizione entriamo in contatto
con l'alterità: è quella uno dei primi forse il primissimo
livello in cui noi (se siamo capaci, se ci è dato) siamo in grado
di sentire quanto meno l'alterità e cominciare da lì una
relazione con l'alterità.
Poi c'è forse un malinteso sulla questione del linguaggio poetico,
una delle tante che circondano la vita e le opere di MZ. Non è
che lei proponga di leggere solo poesia o di pensare poeticamente o di
fare quello che proponeva Heidegger o a suo modo Leopardi, di cui lei
era una attenta lettrice e ammiratrice: Semmai la proposta è quella
di recuperare l'atteggiamento poetico cioè la disposizione poetica
che è quella che si può raccogliere nella formula della
passività attenta della passività piena di attenzione, della
passivitù che si trasforma in momento che da inizio al pensiero
dell'esperienza. La passività è la cifra dell'atteggiamento
poetico.
Quindi la proposta è questa non è tanto quella di fare un
passaggio all'interno del linguaggio poetico tout-court: dalla poesia
si possono prendere, ed è certo un invito importante che lei da,
vocabolari, figure e indicazioni che servono a cambiare la forma del pensiero.
Ma la questione riguarda piuttosto l'atteggiamento poetico dimenticato
da una vita raggrumata solo nell'attività.
Sulla
trascendenza, accostamento fra Maria Zambrano e Simone Weil.
Le analogie di percorso e le risonanze in MZ di Simone Weil sono numerosissime
e in parte ancora inesplorate.
Lei è una lettrice di Simone Weil, che le era stata proposta come
maestra da Cristina Campo e quindi la consonanza da parte di MZ, esiste
La questione della trascendenza, parola molto usata sia dall'una che dall'altra,
e molto indagata. È stata per me interessante da riprendere perché
entrambe a loro modo avvertono un problema e un pericolo, nel momento
in cui vivevano (e che non è stato superato): è quello di
una strana vittoria di un falso amore della realtà, costituto dal
positivismo. Cioè l'atteggiamento positivo, la deviazione della
trascendenza, che per MZ si traduce nel parlare e nel proporre il mistero
come tesoro da custodire per il pensiero. Mistero che si accosta alle
cose più importanti, anche le cose che riguardano le relazioni
tra gli esseri umani, oltre che l'interiorità. O anche i fatti
della storia, perché anche su questo punto il suggerimento di MZ
è profetico.
L'interesse di entrambe era quello di offrire mediazioni perché
venisse salvata la possibilità di non ridurre la vita umana alla
orizzontalità. A una realtà intesa come esclusivo orizzonte
dell'apparenza, senza profondità: questo per me era interessante.
Poi, differiscono molto fra loro per le pratiche da seguire anche se entrambe
indicano come fondamentale per poter pensare di nuovo e radicalmente,
quella dell'attenzione. La pratica dell'attenzione è molto più
sviluppata a mio parere in MZ che non in Simone Weil che la gioca forse
in maniera troppo algida in modo troppo distante. Mentre invece MZ la
traduce in una serie di esperienze fra cui appunto quella di riguadagnare
l'atteggiamento poetico e la passività efficace.
La mistica.
Da questo si capisce non è che MZ ne sapesse molto, perlomeno della
mistica europea. Sapeva qualcosa di San Giovanni della Croce , di Teresa
d'Avila , ma non molto di più. Sapeva molto della mistica sufi
, sia perché essendo nata in Andalusia, il contesto culturale di
nascita le suggeriva di rivolgere lo sguardo a quel mondo. Ma poi anche
ripresa e ristudiata probabilmente attraverso l'amore per Dante e i poeti
del XII e XIV secolo, per tutta l'area di poesia che è debitrice
della letteratura e della poesia di area medio-orientale e araba. Ma a
parte il saggio molto bello e fondamentale, che scrive su San Giovanni
della Croce, non c'è molto altro. Però nella mistica sicuramente
lei vedeva il luogo di esperienza in cui si può imparare la pratica
d'amore che per lei è la pratica della relazione di alterità.
E poi perché seguendo le indicazioni che i mistici sembrano dare,
si genera un altro modo di pensare: c'è anche qui l'idea che si
può prendere dalla mistica una modalità diversa di formare
i pensieri.
Altri
poeti frequentati (oltre Leopardi).
Certo: Machado , Unamuno , Lorca , tre grandi.
Possiamo dire anche così, circa la sensazione di leggere come poesia,
lo scritto di MZ. No, MZ non è una poeta. La sua sfida è
proprio quella di rimanere nella filosofia, ma suonandola diversamente.
Per capirci il pensiero filosofico con cui MZ ha un continuo e serratissimo
confronto. È vero che non ci sono citazioni nei testi di MZ, ma
anche per Nietzsche non ci sono citazioni, anche per Heidegger: ma c'è
un continuo rimando e un continuo ribaltamento
L'architettura
della filosofia di MZ.
Il modello è quello architettonico cioè quello che fondamenta,
delimita gli spazi dentro e fuori, costruisce. Tant'è vero che
in questa fase architettonica della filosofia, uno come Derrida per smontare
parla di de-costruzione. Questo è il modello classico dell'immagine
del pensiero.
Proviamo invece a pensare un pensiero che non rimanda all'architettura
ma alla musica, all'arte: alla pittura. In queste due altre forme c'è
il tempo (la musica è l'arte del tempo) e la luce (la pittura è
la luce). MZ scrive testi sulla pittura ma con l'occhio attento a questa
altra luce. Tant'è vero che - dice - in una società come
quella spagnola così povera di filosofia, ma così ricca
di pittura, quello che rimane e da il senso della sua cultura è
proprio la pittura, in cui rivela un'altra luce. E non è un caso
che la grande filosofia greca così grande per quella luce del pensiero,
sia così povera di pittura.
Quindi la musica (il tempo) e la luce. Infondo tempo luce sono i due fuochi,
non così immediatamente visibili, ma attorno a cui MZ ruota, per
tracciare la sua orbita. Tempo-luce. Dove il tempo non è più
messo in connessione con lo spazio, come siamo abituati a fare (tempo-spazio)
ma con la luce: tempo-luce. Ancora un volta qui: la nascita, l'alba, l'entrare
in luce, l'oscurità e la luce, il fatto che la nascita appunto
è un entrare ciechi nella visibilità e insieme un entrare
nel respiro del tempo. Allora cambiando i nostri temi e i nostri orizzonti
vediamo che il pensiero ruota attorno a queste due modalità, la
luce e il tempo (come tempo musicale). In fondo il tempo prima di essere
una elaborazione artistica, è il tempo proprio dell'essere umano:
il cuore è il primo strumento che abbiamo in noi per misurare il
tempo, fatto di sospensioni, interruzioni. E la luce è quella luce
lì, la luce vivente, nascente. Il pensiero di MZ vira attraverso
queste modalità. Allora non è poesia o mistica. Se vogliamo
parlare di mistica forse dobbiamo andare a Wittgenstein , soltanto che
dove Wittgenstein finisce di filosofare MZ inizia.
È lì la sua scommessa: inizia non con un dire poetico ineffabile,
ma la scommessa è lì, il poter dire. Ciò che non
si può dire di deve scrivere - dice MZ (è qui che cita fugacemente
Wittgenstein). Allora il pensiero vira su questi due aspetti: la luce
(che la pittura ha così ben portato) e il tempo (la musica, il
cuore): questi sono i due cuori centri. Allora vista così usciamo
anche da questi schemi, poesia mistica: è un altro modo del pensiero
Filosofia
senza rinunciare a essere donna.
È una affermazione di MZ. In un scritto, verso la fine della sua
vita - Quasi un'auto biografia - dice dopo aver spiegato quali siano stati
i momenti di impossibilità che ha incontrato (a partire da esperienze
della sua infanzia) a considerare il mondo aperto ad una donna. Ha fatto
varie esperienze in cui ha visto che le cose che più le più
le piacevano, che più la affascinavano, non prevedevano che un
donna vi entrasse. Allora dopo questa serie di impossibilità, anche
la filosofia le si è presentata impossibile da percorrere, così
com'era, per una donna, e fa questa dichiarazione: e pure io volevo continuare
a pensare però non volevo rinunziare a essere donna.
Il linguaggio
neutro maschile di MZ sembra essere il suo rivolgersi agli uomini. Se
così fosse sarebbe risolto un po' stranamente e curiosamente il
tema de linguaggio neutro maschile usato da altre filosofe, come Simone
Weil, Iris Murdoch, Hannah Arednt, che non negano di essere donne ma lo
affermano fuori dal contesto filosofico.
La questione del linguaggio neutro è una bella gatta da pelare.
Nel senso che non è che nel momento in cui io donna parlo, questo
linguaggio vada avanti e io lo riempie di neutro, né la modalità
con cui MZ si esprime. C'è un segno preciso in quello MZ che scrive
e dice che è riferito alla sua esperienza, al suo stare al mondo.
Viene fuori in moltissimo modi. Non solo quando parla di Antigone piuttosto
che di Eloisa ma a volte anche nelle premesse che mette sui testi. Piccole
indicazioni. Come quando, rispetto al suo approccio alla filosofia, in
una prefazione in cui dice: ecco quello è stato il mio sofferto
inizio - nessun filosofo si sognerebbe di vivere - era tutto così
chiaro e io non capivo niente.
Questo da il segno di una vita che in qualche modo ha preso la propria
esperienza come riflessione filosofica. Il fatto non è che si superi
il discorso neutro parlando in funzione del discorso di genere. Il problema
è il segno, la traccia di una esistenza parlante, vissuta dentro
il pensiero. Non mi pongo il problema del linguaggio neutro, nel senso
che lavorando con la tradizione filosofica, il corpo filosofico, devi
passare anche di lì, non puoi non passare di lì, che altrimenti
fai altro. Ma se passi di lì devi assumere questo linguaggio neutro,
e in qualche modo riportarlo, non tanto alla donna che interroga l'uomo
o lo istruisce, ma in qualche modo a non prendere sul serio (e qui l'ironia
di MZ) quello che la filosofia si spaccia di essere, cioè un pensiero,
un concetto senza concepimento, un concepimento da una onestà di
vivere, da una forma di vivere, da una necessità di vivere. Qual'è
la necessità si chiede MZ, di Cartesio? qual'è la necessità
di Edipo? qual'è la necessità vivente? Questo è uno
sguardo, una modalità neutrale che spiazza, ed è molto più
interessante che se lei assumesse un discorso femminile. È una
forma di modalità in cui entra, lo assume, ma non è solo
questo, come quando scrive Delirio e destino è una sorta di autobiografia
in terza persona, che torna in prima.
Io andrei un po' oltre il neutro sì o neutro no. L'operazione più
interessante è il segno di un percorso molto originale dentro e
fuori la tradizione.
L'intuizione.
Che sia altamente relazionale, lascia perplessità. Sembra che la
razionalità sia in parte una morte, una perdita di pensiero: è
resa possibile perché la lingua permette poi di ritrovare nuovi
significati. La forma relazionale sembra non essere la felicità
della intuizione ma piuttosto la perdita del pensiero: c'è altro
pensante che uno non afferra.
L'intuizione è re-imparata attraverso Edith Stein : è da
lì prendo l'idea che l'intuizione sia la prima forma di pensiero
relazionale, il lavoro sull'empatia. Nel momento in cui si ha questo attimo
di intuizione (dei vissuti dell'altro) inizia la relazione, l'intuizione
quindi che è davvero vista come l'inizio del pensiero.
Modalità
della relazione ad altro.
Il problema non è solo quello di mettere in relazioni delle differenze
o delle diversità che ci sono, ma c'è un rivelarsi di ciò
che nelle singola esperienza ritorna come altro, questo sentire altro.
Ad esempio, i testi sul sogno di MZ sono straordinari. L'esperienza dell'individuo
come abbandonato, esiliato. L'esperienza dell'esilio è l'esperienza
dell'abbandonato in vita. È qui che questo abbandonato in vita,
questo esiliato sente il proprio esserci la propria nuda vita. E qui anche
la differenza con Simone Weil: il problema della creatura. Dice MZ - è
quella la situazione in cui l'essere umano non ci può stare, non
può essere solo creatura. L'essere creatura vuol dire vuol dire
aderire al fatto di essere vivi ed è troppo e troppo poco per l'essere
umano L'esserci, altra indicazione che va verso Heidegger. Quando tu senti
- come dice MZ del sentire originario - senti il puro esser lì,
è la cosa più terribile del mondo: essere soli con il tempo
- dice ancora MZ: sentire il tempo goccia a goccia, che non passa e li
fermo sul posto. Questo esserci è la pura creaturalità,
è qualcosa di impossibile. Impossibile è il fatto che lì
non ci può stare.
Questo sentire torna come alterazione, come ciò che è più
proprio. L'essere qui, ora, l'esserci, ritorna come qualcosa di estraneo:
il più familiare ritorna come il più estraneo. Esser qui,
esserci. Allora questa impossibilità di esserci è il sentire
originario: è questo tornare ad essere pura e semplice creatura,
abbandonata tradita e morta, che deve esser lì. È questa
impossibilità di essere solo creatura, che per MZ è il patire
la propria trascendenza. Non ci si può stare, lì.
Allora in qualche modo l'idea del sentire, che è come forma a priori,
è quella che muove dall'interno che fa fuoriuscire. Ma questo fuoriuscire
non può essere assoluto, sradicandosi dal sentire originario, perché
sennò è l'accecamento di Edipo, sennò è il
dimenticare questo sentire. Per MZ è in qualche modo la memoria
passionis il patire originario, che riporta il suo pensiero a categoria
filosofica centrale: più che intuizione è un sentire.
È una visione che muove, parla nel bellissimo testo sul perplesso
E chi è il perplesso: non chi non sa bene che pesci pigliare, non
sa decidere fra una cosa e un'altra, non chi non pensa ma chi non vede
- dice MZ. Cha magari ha chiaro le varie scelte di opinioni e scelte di
situazioni, ma non ci vede proprio. Per uscire dalla perplessità
non ha bisogno di un discorso che lo convinca, quando è ancora
zavorrato a se stesso, dove quell'esser lì gli è di impedimento.
Ma ha bisogno di una visione che lo innamori che lo commuova che lo faccia
muovere dall'interno. Il problema del perplesso è decidersi a muovere.
Ciò che lo può schiodare è un qualcosa che viene
da dentro. Questo com-muovere.
Come la visione che la fa decidere per la filosofia. All'inizio dice no,
abbandono la filosofia, la filosofia non ha vita. Ma qui succede qualcosa,
ma non qualcosa di straordinario come sulla via di Damasco, né
un discorso che la convinca. Ma un piccolo contrattempo, una piccola visione.
Sta lì a sentire il suo maestro che parla delle categorie di Aristotele,
e vede un raggio di luce che passa attraverso una tenda nera. Le tende
nere sono caratteristiche dei seriosissimi edifici dell'Università
di Madrid. La penombra toccata di allegria: la chiama così. Quella
luce che sogna nell'ombra, quella luce che veglia e sveglia la nostra,
senza sradicarla. E allora - dice - non ho più bisogno di abbandonare
la filosofia: forse posso, forse quella luce lì
Ecco una visione. Non un grande discorso, non è una opposizione,
non è nemmeno una intuizione. È una visione che commuove
perché risuona in qualcosa di intimo in lei. Ma quella luce non
è la luce del sapere ma è la luce quotidiana, quella che
torna ogni giorno ma che però abbiamo dimenticato. Quella luce
vivente. Allora forse si può pensare in quest'altra luce: è
questo che comincia a fare e farà.
È uno svelamento?
No, in realtà non è una verità che si rivela.
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