Libreria delle donne di Milano
LIBERTA' SENZA EMANCIPAZIONE
introduzione di Vita Cosentino

Ho trovato LIBERTA' SENZA EMANCIPAZIONE un numero che fa apertura, che ha come caratteristica quella di aprire a molte domande. E' sintomatico che molti articoli finiscano con un punto interrogativo. Finisce con una domanda "quale strada è possibile?" l'articolo di apertura di Lia Cigarini, che dà nome al numero, finisce con una domanda l'articolo di chiusura nella quarta di copertina di Stefano Sarfati, e tra questi due poli compaioni sparse per gli articoli decine di domande.
L'interesse che io porto nell'introdurlo - e che percorre il numero stesso - è per la politica qui e ora, a partire dalla consapevolezza del cambiamento che è avvenuto qui in occidente, che è il cambiamento del rapporto dei sessi per l'avvenimento della libertà femminile.
Di questo cambiamento mi interessa mettere in evidenza una conseguenza di fondo, che è un fuoco del numero: il rapporto con l'altro.
Con la libertà femminile è cambiato, sta profondamente cambiando in occidente il modo di concepire il rapporto con l'altro che era, è, in primis la donna, e poi ogni altro tipo di alterità, per esempio essere di un'altra cultura.
Prima l'uno si dava valore inferiorizzando l'altro (l'altra) - e qui chi come me ha più di 30 anni ricorda di persona gli anni non lontani in cui l'essere donna era un'inferiorità- ora questo è caduto. L'altro non è più collocato in uno schema determinato, per cui spesso sta a ingombrare il nostro interno, a ingigantire le nostre paure, con le conseguenze tragiche che vediamo ogni giorno.
Ma la rottura di quello schema, fa anche apertura, pone anche la possibilità di effettive relazioni di alterità, perché l'altro, l'altra ha posto, parla, portando così uno squilibrio che non è né prevedibile né controllabile.
Io sono (siamo) in questo bilico. Io ho inteso il numero come un taglio politico sull'oggi che pone domande su quel bilico che è dentro ciascuna, ciascuno di noi, come nel corpo sociale, come nello scenario globale.
Bilico che ci riporta immediatamente alla crucialità del tema Libertà senza emancipazione. Per es. nel numero ben due volte viene ricordata la guerra in Afghanistan , da Luisa Muraro e da Maria Nadotti, per il tentativo di fare dei diritti delle donne afgane una copertura ideologica e un argomento per la guerra. Maria scrive: "Agli uomini d'occidente non è parso vero di potersi atteggiare a paladini delle donne (nella fattispecie afgane e musulmane) e di andare alla guerra letteralmente e mediaticamente in nome loro e della loro liberazione."
Luisa ci fa anche vedere che su questo terreno c'è stato scontro tra i sessi quando dice: "Le donne afgane se ne sono accorte e hanno preso le distanze, per esempio nella festa dell'Otto Marzo, che hanno organizzato in proprio, disertando quella preparata dall'Onu e dalle forze di occupazione - liberazione."

Detto questo io vorrei portare l'attenzione su tre mosse relazionali che emergono dalla tessitura degli articoli per riproporle, perché secondo me non è la cosa più importante ora discutere di contenuti -per es. competizione sì competizione no, come è successo in una precedente discussione su questo tema - bensì è importante ritornare a sé sulle mosse relazionali che il numero propone e portare cosi avanti l'interrogazione a partire da sé.

prima mossa
Riguardare il luogo da cui veniamo: il femminismo
E' presente almeno in cinque articoli.
Lia Cigarini lo dice come "rinnovare una riflessione sul rapporto tra libertà e liberazione (delle donne) che all'origine del femminismo era stata tanto dirompente da farci dire che la politica dell'emancipazione era un ostacolo alla libertà femminile". E reinterroga - e con la mossa che fa coinvolge chi legge a reinterrogare - la "tensione conflittuale tra libertà e emancipazione che permane nelle donne occidentali".
Luisa Muraro, tende piuttosto a pensare che la relazione con l'altro è la matrice stessa del senso libero della differenza di essere donna /uomo e dice "dunque ci troviamo a un nuovo inizio, qualcosa di inedito per il quale vale che ci ricordiamo degli anni settanta, in quanto memoria storica, ma di più vale quello che è davanti a noi, un qui ora di risposte da cercare, di pratiche da inventare, di cose non ancora accadute, o accadute e non ancora nominate."
Poi ben due articoli, quello di Stefano e il mio, con diversi accenti, muovono dall'ultimo quaderno di Via Dogana "Un'eredità senza testamento". Da una domanda di Luisa "Come rendere memorabile il femminismo? Come tradurlo dalla nostra esperienza personale in parole originali ma comuni capaci di dare un senso libero al nostro essere donne e uomini?"
Stefano nel pezzo dal titolo "Ero in un racconto di Bibi" lo declina come raccontare, io in "Femminismo in altre parole" come rigiocare al presente ciò che per me, che provenivo dai gruppi extraparlamentari è stata la conquista più grande: la possibilità di una politica che non ha bisogno di macchine, di organizzazioni, di regole. A partire da una mia modificazione personale io vedo la possibilità di stare in questo incerto presente con il sapere che mi viene dalla pratica di relazione e rigiocare una qualità di relazione che peschi "qualcosa nella relazione materna".
E' un filo che percorre anche altri testi. Serena Sartori per es dice con inquietudine: "Cosciente di quanto il movimento delle donne mi abbia aiutato ad uscire dagli schemi fortissimi della società della mia adolescenza, mi chiedo spesso che cosa abbiamo perso oltre a quello che abbiamo conquistato e perché."

seconda mossa
Stare - nel pensare, e non solo nel pensare - in rapporto con l'alterità
(che in questo caso è una donna di cultura non occidentale)
E' presente in molti articoli con diversi accenti ma in comune c'è: guardare con libertà e prendere sul serio le parole di una donna, di più donne di un'altra cultura.
Lia Cigarini riporta per intero una risposta di Shirin Neshat a una domanda sulla libertà negata delle donne in Iran, di cui il cuore è "le donne musulmane non vogliono competere con gli uomini, anche se vogliono avere una loro voce nella società". E a partire da qui, da prendere sul serio le sue parole, ripensa a come negli anni Œ70 la presa di coscienza femminista è stata significata in vari modi, anche lasciando la professione o non facendo mostre o rimanendo deliberatamente ai primi gradini della carriera universitaria perché la passione e il desiderio si erano spostati dove c'era più libertà e agio e grazie a una presa di distanza dalla competizione con gli uomini. E la sua proposta nasce in questa relazione di alterità, dice: "Nominare o rinominare la realtà che cambia a partire dal punto proposto da Shirin Neshat: la non competizione con gli uomini come discriminante per l'affermarsi di un senso libero della differenza sessuale".
Serena Sartori ha una pratica decennale di andirivieni tra Italia e Africa. E' lei che ci ha fatto incontrare qui in Libreria Odile Sankara, dell'Associazione del Burkina Talents des femmes, di cui compare l'articolo "Un progetto e i suoi doni". Serena racconta di come il primo viaggio le abbia procurato una crisi profondissima, una spaccatura dove ha vissuto tutta la difficoltà di abbattere le sue barriere e le angoscie di donna occidentale e la sua stessa sistemazione del mondo. E pone chi legge di fronte al fatto che c'è in gioco un cambiamento profondo di sé nella relazione con l'alterità. Lei nella scrittura del suo articolo rimane in relazione con le donne africane che ha conosciuto e riesce a mantenere in tensione e in confronto questi due mondi come modalità produttiva di pensiero, senza fretta di far rientrare in questo o quello schema una realtà che dopo 10 anni continua a provocare in lei riflessioni e domande. Il suo pezzo porta significativamente il titolo "A costo di non capire". E' convinta che non possiamo essere modello per la donna africana e la strada che intravvede è quella dello scambio: "coltivando lo scambio e l'apertura reciproca dei nostri differenti percorsi d'esperienza, le une alle altre possiamo essere fertili per una visione di donna viva e vitale. Una visione non schematica.".
All'articolo di Serena si riferisce Luisa Muraro in "Le donne pensano" con una mossa a sorpresa, quando avanza l'idea - in polemica con Maria Luisa Boccia - che "attivare la forza simbolica del materno - pur con i rischi e le ambiguità che ci sono- sia o possa diventare a certe condizioni, una fonte di forza femminile e dunque di libertà". Riferendosi alle Maman di cui parla Serena pone un movimento relazionale di imparare qualche cosa da loro dicendo: "è una di quelle verità che potremmo farci riraccontare dalle donne di certe culture non occidentali."
Maria Nadotti in "Scontri di civiltà e donne in genere", pone invece l'accento sulla presa di coscienza femminista di donne di altre culture. Cito come es. questo passo che si riferisce ai suoi incontri con donne palestinesi: "Le donne palestinesi con cui ho parlato dicono che non può esistere un prima della lotta di liberazione nazionale, seguito da un dopo della liberazione delle donne e che combattono assieme l'intifada contro l'occupazione israeliana e l'intifada contro i loro uomini perché il clima di violenza e di guerra fa lievitare anche la violenza degli uomini, figli e fratelli, contro le donne."
Per lei c'è un terreno comune su cui lavorare donne occidentali e non, insieme ad alcuni uomini di entrambe le aree, "ma c'è molto da indagare sulle nostre credulità (nei confronti delle altre/diverse) e sulle nostre cecità (nei confronti del presunto identico)". Maria ha accenti duri sulle nostre cecità e provocatoriamente sostiene che il burqa afgano e tutti i chador del mondo sono poco più che uno scherzo in confronto alla posizione di donna-contenitore "che assumeranno le donne italiane, cittadine a pari diritto dei loro omologhi di sesso maschile, se passerà la surreale legge sullo status e i diritti del "feto" cittadino."
L'ultima segnalazione che propongo sul rapporto di alterità è critica nei confronti dei diritti e fa vedere come può fallire la relazione di alterità. Alessandra Galizzi critica il libro di Martha Nussbaum "Diventare persone. Donne e universalità dei diritti". Alessandra è una giovane donna e ne era attratta perché dal titolo originale aveva dedotto che il saggio "presentasse quello che le donne in quanto tali offrono per lo sviluppo dell'intera umanità". Leggendolo ne rimane delusa perché "è come se Nussbaum, che da una parte sento veramente attratta dalle storie che racconta, non riuscisse però a lasciarle lavorare fino in fondo dentro di sé. Il risultato è che ce le spiega e anziché interpretarle e interpretarsi attraverso di esse, compito che richiederebbe la messa in gioco della sua soggettività, cede alla tentazione che tutto vuole ricondurre ai principi dati".

terza mossa
Relazione di differenza con l'altro che è uomo
E' presente in pochi articoli, ma c'è. Qui la mossa sembra essere: registrare e far fruttare i primi passi di un inizio di percorso maschile.
Lo fa soprattutto Cinzia Soldano nella sua recensione del film "Capitani d'Aprile" che racconta la rivoluzuone portoghese del 1974.
Lo fa Clara Jourdan valorizzando il libro di Marco de Riu "L'illusione umanitaria" che denuncia e documenta l'illusione dell'intervento umanitario e inizia la ricerca di altre forme di relazione internazionale.
Ma anche questa mossa finisce con una domanda: la domanda di un giovane uomo Stefano Sarfati, che nel suo pezzo conclude chiedendosi: "può questa nuova relazione (con la Libreria, con il circolo, con alcune donne in particolare) cambiarmi?"
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