Libreria delle donne di Milano

Martedì 31 maggio 2005, Libreria delle Donne - Circolo della Rosa

INCONTRO SULLA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA
IN OCCASIONE DELL'USCITA DEL LIBRO "SI PUO'" (MANIFESTOLIBRI)
CON IDA DOMINIJANNI E STEFANIA GIORGI

(Trascrizione di Silvia Marastoni, non rivista dalle intervenute)

STEFANIA GIORGI
Sono contenta di essere qui con voi per poter discutere liberamente. Mi dispiace soltanto che nessuna di voi abbia avuto modo e tempo per leggere il libro, per cui un vero confronto sul questo non sarà possibile farlo. Però penso che sarà possibile lo stesso un discorso, e voglio provare a spiegarvi con che spirito Ida e io, insieme a Simona Bonsignori, che lavora alla Casa Editrice Manifestolibri, abbiamo deciso di fare questo libro.
Non è da oggi che mi occupo di PMA: sono otto anni che seguiamo sul giornale le vicende della Legge 40. Devo dire che sono stati otto anni molto duri, ma anche molto appassionanti, perché quello che io e Ida abbiamo sempre cercato di fare, dentro al Manifesto, è stato non limitarci a seguire la cronaca parlamentare, che pure a ripensarci è stata anche abbastanza divertente - nella tragedia, naturalmente -: assistere al dibattito parlamentare dal vivo, con questi signori, deputati e senatori, che si alzavano e concionavano su uteri, spermatozoi, ovuli… Ne ho sentito di ogni… Forse questa è un'idea che ci è mancata, perché non sarebbe stato male mettere il dibattito in appendice, proprio con 'ipse dixit' (ad es.: Giovanardi, due punti, e la data). Però non abbiamo voluto fissarci sul discorso della legislazione, e soprattutto abbiamo voluto tenere aperto e vivo, dentro e fuori dal giornale, quella che per noi è la posta in gioco della PMA, e cioè la domanda: noi dove siamo, il desiderio femminile dov'è, e cosa cambia la PMA nelle relazioni tra uomini e donne. Questa è la cosa che mi ha reso appassionante questo lavoro.
L'esito finale dell'approvazione della legge e questa scadenza referendaria sono qualcosa che abbiamo davanti e che abbiamo subìto, perché sia io che Ida siamo tra le molte e i molti che avrebbero preferito non ci fosse una legge, su questa materia, e forse neanche il referendum.
Però adesso la stretta è abbastanza cruciale, e perciò siamo anima e corpo su questa vicenda, e il libro è ampiamente schierato sui quattro sì referendari. Per quello che riguarda me - ed è l'apporto che io ho cercato di dare sia in questi anni dentro al giornale, sia a questo libro -, quel che mi ha sempre appassionato è l'occultamento della vera questione che sta dietro la cosiddetta infertilità, e cioè il fatto che in realtà sia un problema che riguarda gli uomini, non le donne.
I dati sull'infertilità maschile e sullo sperma, che in questo momento è il grande malato, sono allarmanti.
E' difficilissimo trovare dei dati, e spesso ci sono delle differenze abbastanza notevoli tra un dato e l'altro (a seconda che a darlo sia l'andrologo X piuttosto che Y, che l'uno e l'altro sia italiano, o inglese…).
Però diciamo che c'è una tendenza a scaricare sulle spalle delle donne il problema dell'infertilità: questo è molto evidente, in tutto il dibattito intorno alla Legge 40, e naturalmente pone dei problemi.
Il problema del grande occultamento del fatto che nella maggioranza dei casi la defaillance sia maschile, e non femminile; e quello che però ci sia in questo, nel rapporto di coppia (quando la coppia fa ricorso alle tecnologie riproduttive), da parte femminile, come una tendenza a coprire questo problema maschile.
Questa è l'altra grande domanda che mi pongo rispetto alla tecnologia riproduttiva, perché non riesco ancora a capire che cosa muove una donna verso la tecnologia riproduttiva, e come gioca la disparità di desiderio e la disparità del problema, tra uomini e donne - nella coppia -, quando vi fanno ricorso.
E' una grande domanda a cui posso tentare di dare delle risposte, ma sono ipotesi mie. Quello che manca è esattamente questa esperienza, questo vissuto, questa restituzione di senso da parte delle donne in primo luogo, ma anche da parte degli uomini.
Il libro vuole tenere aperte proprio queste domande, vuole posizionarsi nel dibattito referendario allargando le maglie di una tenaglia che viviamo come molto costrittiva, quella della logica binaria del referendum (sì/no). Stanno prevalendo, o rischiano di prevalere, da una parte (nel fronte del sì), quelle posizioni che vengono rappresentate dagli scienziati, dai biologi, dai tecnici della riproduzione, dai ginecologi, e dall'altra, (nel fronte del no, che si traveste anche da astensione), quelle dei bio-eticisti e dei sacerdoti. In entrambi i fronti, poi, troviamo anche i giuristi, gli uomini della legge.
E' una tenaglia molto forte, che può essere micidiale perché rischia di restar tagliata fuori quella che è la posta in gioco di questa questione, e che è il matricidio rappresentato da questa legge, come lo definisce Grazia Zuffa nel suo saggio all'interno del libro.
Cioè il matricidio che si compie, ai nostri occhi, separando l'embrione dal corpo della madre, rendendolo persona giuridica, allucinandosi che sia possibile la sua esistenza separata dal corpo-desiderio della madre, addirittura armandosi di questo embrione contro la madre.
Questa legge fa esattamente questa cosa, quindi è fondamentale combatterla anche oltre la battaglia referendaria (perché naturalmente io spero che si raggiunga il quorum, che vincano i quattro sì e che la battaglia continui anche dopo).
Alla presentazione del libro a Roma, ieri, Pietro Rescigno, che è un giurista molto bravo, attento e sensibile, indicava la strada da percorrere, come che vada il referendum: questa legge, la Legge 40, è su molti punti una legge incostituzionale, piena di contraddizioni.
Questa è una carta che va giocata, che del resto era già stata indicata da molte giuriste, in alternativa al referendum, come molte di voi ricorderanno.


IDA DOMINIJANNI
Stefania ha detto del suo apporto a questo libro, che è un apporto che io ho sempre giudicato di grande fedeltà a un asse di ragionamento che parte dal desiderio femminile e anche dall'analisi del desiderio maschile.
Io, come spiego nel pezzo che ho scritto, ho dato un apporto più freddo a tutta questa vicenda. E' una cosa strana, quella che mi è successa. Mi sono trovata a occuparmene per ragioni professionali: quando questa storia è cominciata facevo la notista politica, e quindi l'ho presa in mano, nel '98, non per passione verso l'oggetto. Non ho nessuna passione verso l'oggetto di questa legge: in sé, non mi interessa.
Ripensandoci, quando c'era il movimento femminista ero una di quelle non tanto appassionate anche alla vicenda dell'aborto, che pure ho vissuto e ho riempita di tutti quei contenuti di cui l'abbiamo riempita, perché si parlava di aborto, ma soprattutto di sessualità e politica, e del rapporto tra sessualità e politica.
Questa volta, con questa legge, non si è parlato del rapporto tra sessualità e politica, e non si è parlato né di sessualità, né di politica.
La sessualità è completamente fuori scena, in questa vicenda, come se appunto l'immaginario sulle tecnologie riproduttive avesse già sopravanzato la loro realtà: già nella realtà le tecnologie riproduttive fanno fuori la sessualità, ma l'immaginario sul loro funzionamento l'ha messa completamente fuori campo.
D'altra parte, non si è parlato neanche di politica, perché alla prova della trasformazione eclatante della politica in bio-politica (cioè di politica che si occupa della vita e della riproduzione della vita) la politica italiana ha abdicato, ha fatto solo compromessi mal riusciti, continuando a dire che la questione non era politica, ma di liberta di coscienza, che non poteva impegnare i partiti, che era una questione etica, personale, etc…
C'è stata quindi un'abdicazione molto forte della politica tradizionale, e c'è stata un'abdicazione della politica delle donne, perché di questa questione non si è molto discusso nelle sedi della riflessione femminile e femminista.
Quanto alla politica ufficiale, è stato fatto solo un lavoro molto negativo, di tentativo di compromesso tra le varie parti in campo. Dico molto negativo, e introduco un versante del tema che invece mi ha molto appassionato: quello che riguarda il diritto e la degenerazione del diritto che questa legge implica, perché si è cercato sempre di legiferare mediando tra diverse etiche, sulla base del convincimento comune (ai due poli, a destra, sinistra, centro..) che questa legge dovesse dare una risposta etica, mediare fra etiche diverse, obliterando il comandamento per cui diritto e morale, in uno Stato laico, debbano essere tenuti un po' separati…
Non è che io tenga allo statuto laico, perché la laicità dello Stato in questo momento mi sembra del tutto insufficiente a rispondere a certe domande, ma non voglio aprire qui, adesso, questo problema. Voglio dire che questa confusione tra diritto ed etica ha fatto sì che si arrivasse ad una legge molto moralista, molto normativa, che norma i comportamenti, laddove sarebbe bastata una legge molto più scarna, essenziale, che evitasse e sanzionasse alcuni abusi del mercato e della scienza.
Questa legge invece pretende di normare tutto, mette insieme la normazione sulla procreazione e la normazione sulla scienza, che secondo me (e come diceva Maria Luisa Boccia ieri, nella presentazione di Roma) sono due ambiti che andavano tenuti separati, e invece fanno corto circuito. Come lo facciano, lo vedete dal dibattito che c'è in corso: questo continuo rinvio all'eugenetica, ai pericoli di manipolazione… questioni che non è che non ci siano, ma che rischiamo di spostare il voto dalla questione di fondo (abolire una legge molto mal fatta, piena di contraddizioni interne, di punti di incostituzionalità e di inapplicabilità) ad una specie di pronunciamento di fede sulla scienza, l'eugenetica e le manipolazioni, attraversato da fantasmi di ogni tipo.
Un'altra questione che a me ha appassionato in questi anni è stato il fatto che attraverso questa legge si è visto benissimo, e con larghissimo anticipo sugli scontri tra Rutelli e Prodi, che la costruzione politica dei due poli, del centrodestra e del centrosinistra, in Italia, è una costruzione totalmente fittizia, perché appena si va su questioni più reali, più di fondo, questa divisione non funziona, le contraddizioni, i conflitti e le alleanze sono trasversali.
Inoltre si è visto che anche la contrapposizione laici/cattolici si dà oggi in una forma che non restituisce la realtà dei conflitti, e che è diversa dal passato, perché a mio avviso oggi c'è un uso politico della religione - e su questo voglio sentire Luisa Muraro - totalmente diverso da quello a cui eravamo abituati: da quello, per esempio, della campagna sull'aborto.
Come negli Stati Uniti, a questo uso politico della religione si legano delle forme di fondamentalismo tradizionalista con le quali noi dobbiamo trovare una cifra di dialogo e di discussione, perché, per dirla con una formula che sottopongo al dibattito: nel fronte laico le questioni giuste non vengono neanche nominate; si va per una vaga intenzione di riduzione del danno, di moderatismo, di 'buonsensimo', etc…; nel campo fondamentalista, invece, le questioni vengono nominate, i punti in discussione vengono individuati, dando risposte totalmente tradizionaliste e, per quello che a noi interessa, molto animate da uno spirito di rivalsa sulla rivoluzione femminile.
Questo è diventato ormai un punto non inconscio del dibattito pubblico, ma assolutamente dichiarato: c'è una dichiarata volontà di rimettere le donne in un qualche ordine. Questa mi pare una questione totalmente dispiegata.
Ho lavorato molto bene su questo libro. L'abbiamo fatto molto in fretta, anche grazie a Simona, che non è qui stasera: ci tengo a dire che il suo apporto è stato decisivo, perché lei è stata molto volitiva nel mettere la casa editrice a disposizione di questa impresa.
L'esperienza di lavoro su questa legge è una buona esperienza anche all'interno del quotidiano in cui noi lavoriamo, che non gode ormai da anni - ma in questo momento in particolare, anche in seguito al trauma dovuto al sequestro di Giuliana questo inverno - di una rete di relazioni soddisfacente al suo interno. Questo lavoro sulla legge sulla PMA invece ha messo al mondo dei rapporti molto buoni tra alcune di noi, e questo è un risultato molto positivo.
Sono contenta anche perché - come credo si veda nel libro - c'è un incrocio tra il punto di vista di chi ha seguito questa questione quotidianamente (Michela Bongi, che fa una ricostruzione della vicenda parlamentare molto accurata, ironica e divertente) e di chi invece, come Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, si occupava di questa materia da tanto tempo: avevano già scritto un libro molto importante per chiunque l'avesse letto (L'eclissi della madre, Ed. Pratiche) e hanno contribuito molto con il loro orientamento, non solo nella fattura del libro, ma nel corso di tutti questi anni.
Che il punto principale sia la separazione dell'embrione dalla madre l'ha già detto Stefania.
L'offuscamento del primato femminile sulla procreazione è il primo punto, il primo problema politico che tutta questa vicenda porta a galla, però penso che non possiamo affrontarlo senza mettere le mani sulla reticenza della narrazione femminile, su questa vicenda di fronte alla quale non c'è narrazione politica - e neanche non politica - femminile, che è quella dell'accanimento del desiderio di maternità, che a me, per come sono fatta io, rimane piuttosto oscuro.
Infine, penso che questa legge sia anche un'occasione per riaprire un dibattito tra di noi sulle questioni della scienza, che essendo l'Italia un Paese di umanisti sono questioni che vengono sempre tenute un po' sottobanco.
Trovo molto interessante che questa legge capiti in un momento in cui mi pare (è un'idea che butto lì, che avrei bisogno di verificare, anche se sono abbastanza sicura di quello che dico) che molto ottimismo tecnologico del femminismo americano - mi riferisco alle varie Haraway, alle cyborg-femministe, alla stessa Rosy Braidotti, ecc… - stia lasciando il posto ad una riconsiderazione più pacata dello statuto dell'umano, e di come in questo momento sia da rideclinare.
E' questione in cui c'entra il rapporto tra tecnologia e biologia, ma c'entra soprattutto la guerra come azzeramento di una serie di posizioni di ottimismo progressista precedenti.

LUISA MURARO
Ringrazio Ida Dominijanni e Stefania Giorgi per gli spunti che hanno dato, di cui riprendo qualcosa, sia per quello che interessa me, sia per dargli una risonanza (imperfetta, incompleta, ma risonanza).
Avete toccato dei temi importantissimi: per esempio, la reticenza femminile in questo accanimento di desiderio di maternità è qualcosa che poche hanno osato tirare fuori, ma che molte abbiamo in mente.
In verità, alla lettura del Manifesto - che è un giornale sul quale entrambe scrivete, sul quale sicuramente contate, avete autorità -, io e altre abbiamo sentito accenti meno problematici. Non voglio fare riferimenti allusivi, nomino una donna che stimo molto, Gloria, che è un'amica di Chiara Zamboni. Anche in questo libro, in esordio, si parla di 'quattro sì dati in tranquillità'. Dalle vostre parole, invece, non sembra altrettanto. E' una prima osservazione per dire, anche rispondendo a un invito di Ida, che secondo me la cultura laica ha letteralmente coltivato l'ignoranza religiosa, e adesso questa cosa la sta pagando. Nel senso che la cultura religiosa ha degli elementi problematici, degli orizzonti, dei linguaggi, un passato, delle tradizioni che non sono morti nella società moderna, e nella società moderna italiana in particolare, e che ora affiorano, seppure evocati di preferenza dalla destra in maniera per me sicuramente discutibile, e qualche volta anche gravemente urtante. Ma a parte questo, guardando verso il mondo laico, questa ignoranza sulla cultura religiosa si sconta, adesso. C'è per esempio una superficialità - non da parte vostra, non da parte del femminismo - nel considerare l'operare degli scienziati… Penso a quelle cose che sbeffeggiava già Leopardi ('le umane sorti e progressive'), il quale era evidentemente preveggente, aveva l'occhio acuto e lungimirante.
Abbiamo una campagna referendaria che ha i vizi che voi stesse lamentate e che sappiamo bene, quelli della contrapposizione e della polarizzazione, del 'sì o no'. Per uscire da questa stretta (tu, Ida, hai parlato di una tenaglia) si può e di deve uscirne fin da ora anche con il linguaggio e le vedute. Non sono quattro sì dati a cuor leggero. Ho con me un testo (che proporrò di pubblicare nel sito) di una donna che è qui presente, Ida Farè, la quale addirittura è orientata all'astensione. Spero che cambi idea, perché su questo non sono d'accordo… Oggi dicevo a Radio Popolare che sono fiera di mia sorella, che è cattolica, che ha detto 'voterò no, ma vado a votare'; so che per lei ha contato la posizione d Rosy Bindi, perché vede che è una donna coerente sul tema della difesa del tema della salute, e della salute pubblica.
Sono d'accordo con voi che la legge è tecnicamente molto difettosa, ma oltre a questo è andata definendosi simbolicamente sia in maniera feticista, sia nel senso che ha rozzamente cercato di interpretare un sentire nei confronti della procreazione assistita che non veniva portato avanti nella cultura femminista.
Una cultura che è stata di diffidenza nei confronti dei limiti della scienza, ma che però era anche reticente, e sappiamo il perché: non è che siamo state reticenti per ragioni di pigrizia, gli scritti ci sono, io ne ho trovati tanti riguardando il mio archivio… La reticenza riguardava questo desiderio esasperato di maternità, che forse occulta un problema di fecondità maschile… ma a noi fa poco gioco smascherare il complesso maschile. I giornali, i medici lo dicono, la sterilità maschile è in grande aumento, per motivi di stress, di inquinamento, forse anche di desiderio, che ne sappiamo…
Queste procedure della scienza, degli scienziati e del mercato che ci sta dietro, che sono degli sconfinamenti anche impropri, come voi dite, sono anche arrivati a scoprire, con le ricerche di manipolazione sugli embrioni, come determinare il sesso dei nascituri. E' una scoperta sciagurata, che non bisognava fare… però si è fatta, ed è temuta come una bomba demografica, perché potrebbe squilibrare l'equilibrio che la natura (la NATURA, sottolineo) possiede: quella di far nascere fifty/fifty maschi e femmine (un po' più di maschi, veramente, perché sono un po' più gracili, all'inizio della vita). Questo equilibrio la scienza l'ha già squilibrato, ed è qualcosa che incombe sulla cultura umana.
Davanti a queste cose, a queste ansie, paure, la cultura di sinistra è stata povera. A ciò si è sommato in modo imprevisto l'uso della religione: ma, diavolo, la politica è politica! Sarebbe bello che l'avversario non approfittasse delle occasioni che ha… Ma sappiamo che nel momento in cui Bush ha vinto la rielezione con l'aiuto delle sette e delle credenze religiose (anche di quelle oneste) che si sono mobilitate per farlo vincere, qualcuno ha avuto anche da noi l'idea che si poteva fare. La politica è questo: non si può adesso appellarsi alla separazione tra la cultura laica e quella religiosa. Nella testa della gente la cultura non è separata, nella testa della gente c'è tutto.
E non saremo noi donne, o noi femministe, noi del pensiero della differenza, che invochiamo delle separazioni.
Già abbiamo detto che non accettiamo la separazione pubblico/privato, e non accettiamo neanche che qua ci stia questo, di là quello… Il pensiero femminile, per quello che conosco io nel XX secolo, ha continuato a lavorare per abbattere le separazioni.
C'è chi è zompato sull'opportunità di cui dicevo, e allora bisogna combattere, non a colpi di referendum, ma col pensiero, le mediazioni, le riflessioni in prima persona, e anche colmando delle terribili lacune di ignoranza da parte della cultura di sinistra circa la civiltà cristiana, che sono venti secoli di cultura…
Ho detto le cose su cui sono più critica per favorire la discussione, perché in verità ci sono delle cose profonde e importanti su cui siamo d'accordo: noi sappiamo che ci orientiamo (come già è stato con il tema dell'aborto) dicendo che la vita umana è vita desiderata e accettata in primis da una donna, e poi da colui che vuole stare al suo fianco e di cui lei dice 'è lui il padre di questa creatura che metterò al mondo'.
Già questo io lo considero inutile, aberrante: la tendenza maschile di voler mettere al posto del corpo vivo di una donna e della relazione viva di un uomo e una donna, della loro reciproca fiducia e del loro amore, la biologia. La prova di paternità e quelle cose lì vanno già ampiamente in questa direzione: la paternità non è mai stata legata a una faccenda di sperma, è invece sempre stata (e si è sempre vantata di esserlo) qualcosa che si istituisce simbolicamente. Non accettiamo le istituzioni simboliche del patriarcato, ma accettiamo invece una relazione amorosa e di fiducia tra un uomo e una donna che progettano di mettere al mondo un bambino.
Questo punto ci accomuna, e fa sì che qualche volta siamo guardate un po' male, come un po' eretiche, da un certo femminismo che guarda con favore a una tecnologia che distruggerebbe questa eredità di cultura di uomini, donne e bambini, per metterci a disposizione altre possibilità. Anche quella è una battaglia che dobbiamo, dovremo fare.
Ma la battaglia che ci tocca fare adesso io la vedo così: che ci sia un 'dopo' di questi referendum. Che questo 'dopo' ci veda, con autorità, ad esporre il pensiero che noi abbiamo guadagnato con la pratica politica delle donne. E che ci veda anche capaci di ascoltare quelle donne che sono state silenziose, e il cui silenzio noi abbiamo rispettato, qualche volta anche mettendoci a disagio.

IDA DOMINIJANNI
Mi ero dimenticata una cosa, e invece è molto importante: questo è un libro in cui si vede molto l'impronta mia e di Stefania, ma non è (come avrebbe potuto essere) un libro totalmente autonomo e libero dal contesto politico in cui questo referendum è maturato. E' una mediazione, secondo me una buona mediazione, che io valuto non solo rispetto al prodotto, ma anche rispetto alle persone che l'hanno fatta. Per questo prima dicevo che per me è stata un'esperienza importante, perché credo che io e Stefania abbiamo contaminato con un punto di vista, chiamiamolo della differenza, alcune colleghe che mai si sarebbero fatte toccare, se non fosse accaduto attraverso questa vicenda, la vicenda di questa legge.
Sui quattro sì dati con troppa tranquillità di cui parla Luisa, io capisco perfettamente cosa vuole dire, però non sono molto d'accordo. Provo a spiegare perché: se si accetta il piano di discussione che sta passando (e cioè che è tutto in ballo, in questa legge: il rapporto tra natura e artificio, il rapporto con la scienza, eccetera…), allora sì, i quattro sì paiono dati con troppa tranquillità.
Io però penso che i quattro sì sono quattro sì sulla norma, sulla legge. Non è un aspetto secondario quello della qualità della legiferazione che è passato attraverso questa legge, della qualità pessima di una legge troppo invadente: il contrario esatto di quello che in questa sede si è sempre detto sul diritto, sul passo indietro che il diritto deve fare rispetto al corpo, sul fatto che non si può normare sulla sessualità, eccetera.
Allora i miei quattro sì sono tranquilli rispetto a questo. Secondo me questa legge va tolta di mezzo, per poi riaprire un discorso più libero e anche più marcato dalla nostra cultura femminista di quanto non abbiamo fatto finora. Però su questo io rispetto le posizioni come quella di Ida Farè, che anche a Roma sono state poste (per esempio da una nostra ex collega del giornale, Paola Tavella), in un incontro di donne che abbiamo avuto al Buon Pastore. Anche lei non va a votare. Rispetto i dubbi di Gloria, che non conosco, ma che mi posso immaginare.
Però anch'io ho una sottolineatura da fare su questo: chi ha dovuto lavorare su questa legge si è sentita molto sola, su questo, negli anni passati. Non sola rispetto al dibattito così come veniva impostato, ma proprio rispetto alla provenienza delle amiche, delle amiche della differenza.
Io so perfettamente che quando mi prendo la responsabilità politica di indicare quattro sì la mia parola pesa.
So che è può apparire un 'taglio' troppo facile, ma non lo è: c'è dietro un lavoro, uno scavo… per me è un'istanza fortissima quella di dire 'no' a quel tipo di legiferazione, di diritto. Sarà che ho seguito la vicenda parlamentare, ed è stata un'esperienza veramente molto allarmante. Io non voglio una legge così su niente, non solo sulla PMA. E quindi da questo punto di vista mi sento tranquilla. Dopo di che, però, penso che il discorso si deve riaprire.
Vorrei però anche che le compagne che sentono il rischio di un appiattimento della nostra posizione sulle ragioni del sì, si chiedessero perché per otto anni hanno taciuto. Questo silenzio, per me e Stefania, è stato molto pesante, non ci ha aiutate. Avremmo potuto avere maggiore forza da una maggiore presa di parola, e avremmo anche potuto spingerci di più sulla radicalità della nostra posizione.

STEFANIA GIORGI
Naturalmente mi colpisce l'osservazione di Luisa sui quattro sì dati con troppa apparente tranquillità. Per quel che mi riguarda, cogli nel segno nel senso che io mi sono occupata e appassionata di questa vicenda anche da un punto di vista professionale, e non solo.
Però c'è sempre stato, e continua ad esserci, un problema che mi fa ostacolo, nel senso che ho sempre pensato che io, per me, non avrei mai scelto, percorso quella strada: cioè che non avrei mai fatto ricorso alla tecnologia riproduttiva, se non fossi riuscita a diventare madre per via 'naturale'. E non è un discorso tanto astratto, perché a un certo punto della mia vita ho avuto un problema, che è stato temporaneo, ma che in quel momento mi ha portato a riflettere tra me e me, a concentrarmi su di me, e a dire 'no, non lo voglio fare', per una serie di motivi, compreso anche il fatto che è proprio della cultura femminista in senso ampio, profondo del termini, il non volermi consegnare nelle mani di una scienza medica molto maschile. Noi abbiamo lottato per un altro tipo di parto, per gestire il corpo in un altro modo, e non è che queste cose poi sono state cancellate… Molte donne che parlano con me si astengono su queste posizioni, sulla base delle riflessioni che sono state fatte, da Cernobyl in poi, dall'idea dello 'stop alla scienza', del fermarsi e riflettere, del non andar oltre, del pensare che non tutto quello che è possibile si deve fare.
Il silenzio di cui parla Ida certo ha pesato, forse sarebbe andata in modo diverso, certo avremmo potuto aprire prima il fronte. C'è da parte nostra come una reticenza ad alzare il tiro. Eppure c'è anche tutto questo discorso dell'attacco alla 194… io non ho il feticcio della 194, però sarei per alzare il tiro. All'epoca della 194 ero nell'UDI, avevo delle posizioni diverse da quelle che ho adesso. Oggi mi fa problema che sull'interruzione volontaria della gravidanza sia lo Stato a decidere come, quando e perché. Guardate che la 194 è una legge restrittivissima, non è una legge aperta e libertaria. Su di noi si sta giocando una partita altissima, ed è importante rigettare al mittente la Legge 40, perché la posta in gioco è questa. La bussola che è mancata alla sinistra nel nostro Paese in questo momento, è quella del primato femminile sulla procreazione. Noi abbiamo la vera cultura della vita, non Monsignor Sgreccia. Io venti secoli di cultura cristiana la rispetto, tu Luisa su questo scrivi spesso anche su mia sollecitazione sul giornale… però la vera cultura della vita è nelle nostre mani.
Io su questo sento che c'è molta reticenza ad alzare il tiro, ed anche a dire che è un problema che ci sia un maschile così depotenziato, e nello stesso tempo, ovviamente, così aggressivo, in primo luogo nei nostri confronti. Che c'è un'aggressività, se non proprio un odio, nei nostri confronti, nei confronti del nostro corpo, delle nostre potenzialità, del nostro essere maestre di vita. Che si metta al mondo un figlio oppure no, non fa differenza: nei confronti della potenzialità generativa del nostro corpo ci sono un odio, un'invidia, evidentissimi. Io non voglio dare la spallata finale a questi poveri uomini, che adesso hanno anche questo problema dell'infertilità, e così sono proprio finiti nel nulla, ma…
Tornando alla questione dell'aborto, penso che sia una ferita così aperta per la cultura cattolica-romana, più che cristiana, che è un po' come il Vietnam per gli Stati Uniti… qualcosa che sta sempre lì, e dici 'prima o poi riprendiamo in mano tutto e gliela facciamo pagare, anche a distanza di trent'anni…'

GIULIA GHILARDINI
Reagisco d'impulso a quello che ha detto Stefania. Io non ho ragionato molto su questo tema, però non sono d'accordo con quello che hai detto, che la procreazione e la vera cultura della vita è, e deve essere, nelle nostre mani. Penso che potrebbe, dovrebbe, e desidererei che fosse anche nelle nostre mani. Prima dell'83, prima del pensiero della differenza, io ho avuto come confronto, neanche intenso, solo quello che veniva detto, portato, reclamizzato, e anche discusso, dalla Chiesa cattolica: sia quando vi ho partecipato, fino ai 16 anni circa, sia dopo.
Oggi mi arrivano mail da un centro di preghiera di Milano, che si è costruito intorno alla questione della guerra, e da un altro circolo - la Rosa Bianca -: in questi giorni hanno fatto circolare degli scritti che mi sembrano un riferimento per poter dire che la cultura della vita non è solo nelle nostre mani. Anche loro, che fanno parte della cultura cattolica, ponevano la questione della PMA abbastanza criticamente, facendomi pensare che ci possono essere punti di confronto.

LIA CIGARINI
Sono d'accordo con Ida Dominijanni sui quattro sì dati con tranquillità perché è una pessima legge. Siccome il referendum è fatto su questa legge, non c'è dubbio sui quattro sì tranquilli. Che il sistema referendario sia assolutamente manchevole non toglie che ci sia un sì o un no su una legge, che è pessima: invece di dare delle regole sulle questioni igienico-sanitarie e organizzative, moraleggia a man bassa, facendo affermazioni incredibili. Anche se nessuno pensa che il referendum sia uno strumento adatto, arrivati a questo punto non lo è neanche il parlamento; e non lo è stato non solo con questo governo, ma anche col precedente (è Marida Bolognesi che ha messo mano alla questione). Allora la legge la togli di mezzo… Sarebbe stato meglio un referendum che la cassava tutta, ma non è stato possibile: non ricordo bene le argomentazioni della Corte, ma si diceva che bisognava tenere in piedi qualcosa.
Sulla questione del desiderio femminile: non avendo fatto figli, io sono stata sempre impressionata da questo accanimento delle donne a voler esser madri. Ho una segretaria che per dieci anni non ha fatto figli, e mentre io ero tutta contenta pensando che fosse una scelta, ho scoperto all'improvviso che erano dieci anni che ci tentava in tutti i modi. E' una persona estremamente equilibrata, che semplicemente voleva essere madre. Ci sono anche gli eccessi, però chiederei a quelle che portano delle argomentazioni anti-scientifiche, o che sono critiche su questo eccesso femminile: quale criterio abbiamo, se non il desiderio femminile? Poi possiamo criticare, ma non posso sopportare che lo critichino alcuni…
A quelle che non vanno a votare, vorrei dire che se questa legge rimane la discussione è chiusa. Quelle che vogliono continuare a discutere devono votare, perché la continuità della discussione è affidata a questo referendum. Per continuare a parlare di queste questioni, anche dell'invadenza della scienza (che nessuno peraltro ha mai fermato), è necessario votare. Se pensiamo che le donne siano pazze, che non ci sia mediazione possibile, non abbiamo più nessun criterio. Si può cercare un confronto, fare autocoscienza su questo desiderio o accanimento, ma non si può liquidare la questione dicendo che sono eccessive. Senza seguire il desiderio femminile non c'è politica delle donne, non c'è il simbolico delle donne.

ROSARIA GUACCI
Sembra curioso che chi più vuole votare sì al referendum siano le donne che non hanno voluto e fatto figli… è singolare che siamo proprio noi ad essere sicure che questa è la cosa da fare oggi. Se il referendum perde, non ci sarà modo di fare gli approfondimenti giusti e necessari, diventeranno sofismi… è una responsabilità pesante.

MARIA BENVENUTI
Ho cominciato ad interrogarmi perché avevo sei amiche che sono passate dal desiderio di avere un figlio e non ci sono riuscite. Ho ascoltato il loro desiderio, ho sentito la loro sofferenza…
Io sono stata fortunata, ho avuto due gemelle subito.
Non trovo risonanza in uno dei vostri argomenti-chiave, quello della separazione tra la madre e l'embrione: non trovo che sia stata la Legge 40 a crearla, sono state le tecniche di PMA.
Uno degli argomenti che ritorna nel dibattito, perché è un argomento potente, è quello secondo cui non c'è vita se non c'è accettazione del corpo materno.
Io l'ho conosciuto solo qualche mese fa, quando sono arrivata qui, alla Libreria delle donne, e capisco benissimo, pensando all'aborto, che se un essere è nel corpo di una donna è lei che deve avere l'ultima parola, che deve accettarlo. In questo caso, viceversa, se questo essere è fuori non si capisce perché bisogna crearlo e poi distruggerlo.
Bisogna interrogarsi anche sui contenuti a livello 'alto', la legge è fatta male dal punto di vista della tecnica legislativa, ma ci sono anche elementi di sostanza che non si possono eliminare… Uno di questi snodi, su cui confrontarsi, e anche dividersi, è quello del congelamento degli embrioni: con i limiti posti dalla legge, la ricaduta negativa è che c'è una riduzione delle possibilità di successo e che la donna deve sottoporsi ad un nuovo ciclo di stimolazione, ma ce n'è anche una positiva riguardo alla salute della donna, perché la stimolazione ovarica è più soft.
Un altro tema su cui interrogarsi è perché si arriva a fare figli così tardi. Credo che dipenda da motivi legati sia al lavoro, sia al welfare, e la situazione andrà peggiorando (sempre maggiore forme di flessibilità all'ingresso nel lavoro, riduzione del welfare).
Altri punti critici sulla legge, secondo me, sono invece la diagnosi pre-impianto nel caso dei portatori di malattie gravi e l'eterologa (ho dei dubbi sul divieto assoluto). Su quest'ultima però mi piacerebbe che ci fosse anche un dibattito pacato sull'anonimato, sul fatto che sia giusto o no consentire che il bambino conosca il donatore/la donatrice, che è un punto che mi preme.

EMANUELA MARIOTTO
Quando è partita la campagna per il referendum ero abbastanza sicura di votare quattro sì. Poi ho cominciato a riflettere e mi sono resa conto che quei quattro sì erano molto più problematici di quel che credevo. Mi sono interrogata, ho cercato di trovare dentro di me un criterio, un orientamento che mi guidasse. Sicuramente andrò a votare, però non sono ancora certa sul voto. Sto riflettendo, lavorando su due cose che per me valgono, e che potrebbero essere discusse:
- innanzitutto, un figlio per me è sempre figlio di un rapporto d'amore con un uomo. Non esiste l'idea che un figlio possa essere qualcosa di diverso
- l'essere umano nasce e cresce nel corpo di una donna, quindi è essere umano fin dall'inizio nel corpo della madre. Il fatto che l'embrione sia stato portato fuori dalla scienza, dalle bio-tecnologie, è un fatto molto forte su cui io mi sto interrogando e che mi pare crei disordine. Per me il principio d'ordine è che la vita nasce e cresce nel corpo di una donna.
Cercando di orientarmi in base a questi due elementi, sono più sicura sul votare no all'eterologa, perché per quanto possa comprendere il desiderio di una donna di avere comunque un figlio, non riesco ad accettare, a capire fino in fondo che non sia fatto attraverso una relazione d'amore… Per me è un punto di domanda grosso, e vorrei che le donne che vivono questa situazione la spiegassero.
Ho parlato con donne che hanno tentato la fecondazione assistita, una in particolare mi ha raccontato un'esperienza che mi fa pensare: c'era il desiderio di fare un figlio con suo marito, e lei ha tentato solo con le tecniche che operavano sul suo corpo. Nel momento in cui doveva fare il salto alla fecondazione in vitro si è fermata, ha scelto di non farlo.

LAURA LEPETIT
Andrò a votare sì perché voglio che questa legge venga scardinata, svuotata, resa praticamente nulla, almeno per quel che è possibile… Lo farò pur essendo contraria alla manipolazione del corpo femminile in questo modo. Il vostro libro, che ho appena sfogliato, mi ha dato anche altri dati importanti: ho scoperto che la riuscita di queste tecniche è minima (18-20% massimo), che ci sono 30.000 donne che si sono sottoposte a questi pesantissimi bombardamenti di cui non sappiamo gli effetti… tutti ci dicono che i bambini nati così stanno benissimo, ma nessuno ci parla delle madri, degli scompensi o delle malattie a cui vanno incontro col tempo. Penso che una donna non debba essere così preda di qualsiasi innovazione scientifica, specie se così pesante. Personalmente voterei no, ma voto sì perché politicamente penso che si debba combattere questa legiferazione, soprattutto perché contiene la minaccia che l'embrione diventi più importante della donna, più importante di tutto, e se questo passa porterà a delle orribili recrudescenze.
Rispetto all'eterologa, credo bisognerebbe spostare l'attenzione su altri parametri. L'eterologa è un po' come l'adozione, anche un bambino adottivo non sai da dove viene; l'importante è che qualsiasi bambino ha diritto di essere amato, cresciuto.
Adesso siamo pressate da questa scadenza, ma dopo farei degli spostamenti d'attenzione su altre problematiche, che oggi non sono considerate. Anche la perdita di potenza, efficacia degli spermatozoi a me sembra questione su cui riflettere: forse vuol dire che la natura ha capito che questo mondo, così come l'abbiamo fatto, non è adatto ad avere tanti bambini… Sono tutte questioni che 'spostano' il discorso da questa strettissima forbice del sì e del no a problematiche che per vengono accantonate.
Il libro ci dice che ci sono 5.000 bambini che nascono con la PMA (su 30.000 donne bombardate), e 6-7.000 adottati: il desiderio di adozione è altrettanto forte, e andrebbe aiutato semplificandola, rendendola più accessibile…
Questi spostamenti d'interesse andrebbero assolutamente fatti, dopo il referendum, in modo da non restare chiusi dentro a una minima libertà che produce pochissimo.

ANTONELLA NAPPI
Io continuo a non avere le idee chiare. Sono andata a firmare per il referendum sollecitata da Maria Grazia Campari, ma mi sono chiesta, allora e oggi, perché mai dovevamo fare questa lotta con i referendum, quando tutte le questioni rimangono in piedi comunque.
Il desiderio di maternità io lo valuto moltissimo - non avendo fatto figli - anche se detesto questa connivenza tra il desiderio di onnipotenza delle persone e la scienza, la tecnologia, perché l'assenza di limiti promessa dalla tecnologia e desiderata dalle persone è la cosa più pericolosa che ci sia, un abbinamento sul quale si deve fare politica. Al primo quesito vorrei votare no: permettere all'embrione di passare nelle mani dei ricercatori e della scienza perché ne facciano quello che vogliono per me è una cosa insopportabile.
Questo essere tra gli innestatori di specie e i matricidi è una situazione mostruosa che va affrontata, analizzata, rispetto ai danni e benefici dello sviluppo della tecnologia, di quello che chiamano il progresso economico. E' una campagna di educazione importante.
Che l'embrione sia o quel soggetto più importante delle donne, o quel niente che possiamo sfruttare per ogni desiderio di cura e di ricambio d'organo, mi fa propendere per il no.

STEFANIA GIANNOTTI
Vorrei rispondere ad alcune delle cose che sono state dette. All'idea che il figlio sia il prodotto dell'amore con un uomo, io rispondo che il figlio è il prodotto dell'amore con la madre, e rimaniamo qua: o andiamo avanti a parlarne, o le due frasi non hanno senso…
Vorrei tranquillizzare Rosaria dicendole che non è vero, in base alla mia esperienza, che le donne che non hanno avuto figli sono più sensibili all'argomento.
Oggi ho fatto in tempo a leggere tre pagine del libro, e mi sono fermata alla prima frase, che mi sembrava un po' troppo garibaldina: mi ha talmente irritata che sono andata avanti e mi sono messa a leggere la parte di Ida Dominijanni.
Io questa legge non l'avrei voluta, e quando l'ho vista non l'avrei voluta così.
Ida dice: 'avrei voluto un referendum che l'abrogasse completamente', e io anche; dice: 'visto che una legge ci deve essere (e anche questo lo sottoscrivo) dovendola fare avrei voluto una legge che registrasse la situazione che c'è'. Ci sono delle forzature in questo discorso, perché non è così semplice, con una legge, registrare e basta. Però c'è una situazione sociale e c'è un desiderio femminile che si esprime, e una legge, se viene fatta, deve dire questo. Senza dimenticare che chi la fa, e tutti gli uomini in generale, un passettino indietro dovrebbero farlo. Rispetto alla maternità e al desiderio femminile non c'è dubbio che uomini, parlamento, leggi, giuristi, scienziati etc. questo passo indietro dovrebbero farlo.
Io voterò sì a cuor leggero a tre quesiti. Ho qualche dubbio sulla questione della ricerca scientifica: non perché rispetto per l'embrione, ma per l'impressione che quel sì rafforzi la legge e la possibilità di legiferare su questa materia. Sono convintissima come Lia che la ricerca scientifica andrà avanti lo stesso, ma io non mi sento di premiare questa cosa. Non se se quel sì significhi rafforzare qualcosa che è fuori da me, dal mio desiderio, dal sentire comune che ho percepito.

IDA FARE'
Parto da lontano: sono nata alla politica, essendo laureata in biologia, con la lotta per la salute, con la questione operaia dentro le fabbriche. Il primo articolo che ho scritto per il Manifesto era su Seveso e la diossina. Poi c'è stata la medicina delle donne, ci sono state tutta una serie di presa di coscienza che facevano parte di quel che allora si chiamava 'essere contro la medicina del capitale', cioè una messa in discussione profonda di tecniche e pratiche che fino ad allora venivano date per scontate. Penso a Maccacaro, alla vicenda di Medicina Democratica, di Psichiatria Democratica: una stagione molto interessante, che ha messo in discussione certi principi e ne ha presi a riferimento altri.
Del referendum mi importa poco. Quello che invece mi turba in tutta questa vicenda è la mancanza di riflessione (ad esempio da parte del partito a cui sono più vicina, i DS), di messa in discussione di questo tipo di scienza, di tecnica, che entra nel corpo delle donne, che ti fa fare un figlio, che ti prende la morula...
E' l'idea della medicina come progresso, come dice Veronesi che secondo me si è venduto l'anima al diavolo, perché dieci anni fa parlava in modo molto diverso; oggi deve aver avuto suoi interessi, economici e politici, che l'hanno portato da un'altra parte. Una volta parlava contro i surgelati, e invece adesso va bene tutto…
Anche sul desiderio femminile mi viene da dire: calma! Rispetto alla scienza, a quello che viene chiamato progresso, in passato noi donne abbiamo fatto molto. La medicina delle donne ha cercato tecniche rispettose del loro corpo (ad es. nel caso dell'aborto, la tecnica dell'aspirazione l'hanno inventata le donne), ha richiamato all'attenzione, alla prudenza.
Invece oggi vedo donne che si gettano nelle mani di queste tecnologie, che si fanno fare scariche ormonali di cui non conosciamo gli effetti… Il mio è un invito ad essere prudenti, attente a tutto quello che stanno facendo sui nostri corpi. Cosa diciamo di questa tendenza a modificare tutti i processi naturali (anche la menopausa, la vecchiaia), di questo dominio tecnologico del nostro corpo?
A me personalmente di questa legge non importa niente, ma mi domando cosa implica per le giovani generazioni essere gettate in una condizione in cui la tecnologia domina tutte le fasi naturali della vita. Saranno le giovani a porsi questa domanda, ma anche noi donne non più giovani possiamo porgliela, perché siamo le loro madri.

NERINA BENUZZI
Su alcune cose ho le idee chiare, su altre penso che i tempi della discussione sono diventati così feroci e stretti che la devo mettere sul politico, perché qualsiasi altra riflessione diventa molto personale.
Molte di noi arrivano a questa discussione credendo che ci venga offerta un'occasione per ridiscutere delle nostre cose in positivo; l'impressione che ho io invece, è che si tratta di un'occasione negativa, posta da altri soggetti per sottrarci cose su cui pensavamo di avere acquisito qualche diritto.
Sui singoli temi trattati fin qui ci sarebbe molto da dire, da indagare. Io ho fatto il parto naturale, sono naturista, sono in menopausa da otto anni e non prendo gli ormoni: questo per dire che il mio atteggiamento è 'sul mio corpo, di meno'. Però io non sono malata, né sono stata sterile. E qualcuno mi ha detto che considera anche la sterilità come una malattia: credo che anche questa questione vada indagata, forse prima ancora del desiderio di maternità e paternità. Di fronte a un vissuto di malattia, di incapacità attribuita alla donne, scatta un 'debito' nei confronti dell'uomo, ci si sente 'di meno'. Il problema allora è se si usano le tecniche, o come le si usa? Io non sono un medico, mi rendo conto che non saprei decidere cosa può far male… Per dire cosa non ci piace della scienza, delle cose che vengono fatte sul nostro corpo, sento che sarebbe importante avere un po' di competenza. Sento dire tutto e il contrario di tutto, e mi perdo.
Invece un ragionamento convincente, un punto fermo da cui penso possiamo partire è il discorso sul 'primato' femminile, della donna, e sul 'passo indietro' che devono fare gli uomini.
Oltre al fatto che la legge è una mediazione di morali, cosa che considero molto negativa, e che dietro a questa legge si vede già chiara in prospettiva l'intenzione di rimettere in discussione la Legge 194. E' un argomento ormai già aperto, a prescindere dall'esito dei referendum. Pensando a questo, non mi viene da soffermarmi tanto sulle ragioni di questi sì, sui dubbi che posso avere su alcune questioni, su alcuni aspetti. Perché penso a uno schieramento che mi è troppo ostile, e che voglio combattere. In questo senso, dicevo all'inizio, mi viene da metterla sul politico.

LUISA MURARO
Faccio un breve intervento riprendendo il tema della paternità: è la madre che dice all'uomo 'questo è tuo figlio', anche se sappiamo bene che il patriarcato si è costruito per far saltare questo passaggio, per eliminarlo. Ma in un rapporto tra un uomo e una donna che è andato bene, lei è la garanzia per lui che quello è suo figlio. E' lei che trasmette questo sentimento, è la donna che continua a coinvolgere l'uomo perché senta la sua paternità. Quando si è passati alle prove di laboratorio, c'è stato uno scadimento. Bisogna che noi riusciamo a parlare di queste cose con rigore di ordine simbolico; naturalmente, anche con cautela e prudenza, perché le cose sono andate molto avanti, sono molto complesse. Di libertà umana c'è poca domanda, ma quella poca che c'è non va certo schiacciata, ed è l'ordine simbolico che la favorisce.
Venendo al punto su cui ha esordito Nerina, credo davvero che parliamo su una questione la cui impostazione non ci aiuta per niente: ho sentito la difficoltà degli interventi, una certa confusione, dei salti logici… L'impostazione della legge, di questo dibattito, le ragioni per cui si è voluta la legge (anche da parte del precedente governo) non ci aiutano a fare ordine…
La procreazione assistita andava probabilmente lasciata com'era, perché lo stato di cose esistente - come dice il documento delle cattoliche - aveva trovato un equilibrio: le cose andavano senza che ci fossero abusi gravi. Il problema della necessità di una legislazione si pone per la commercializzazione degli embrioni, e per le scoperte sugli embrioni. Una scoperta importante sugli embrioni può voler dire una caterva di soldi che si muovono di qua o di là, perché c'è il mercato. Sappiamo bene che negli Stati Uniti, per quanto trionfi la bigotteria, la sperimentazione sulle staminali è vincente, perché sono un paese capitalista.
Le cattoliche rimproverano a questa legge di aver mescolato due materie che erano di natura diversa: una, quella medica, stava trovando la sua strada; l'altra, quella scientifica, è l'aspetto difficile, e su questo punto non bisogna avere fatalismo, anche se è quasi sicuro, come diceva Lia, che la scienza va avanti lo stesso. Chissà che un giorno l'umanità si fermi e rifletta…
Le leggi sono rese necessarie da un progresso scientifico i cui esiti noi non riusciamo a prevedere, e che ci fanno paura. Di fronte a questo, invochiamo qualcosa che ci tuteli.
La questione per me è essenzialmente quella di un'autorità femminile che si è già fatta intendere e che deve farlo ancora. La storia umana testimonia di ciò che le donne hanno fatto per la cura della vita. Noi dobbiamo farci forti di questo: di quanto lavoro, amore, di quanta avvedutezza e pazienza abbiamo messo nella cura della vita, in quella che comincia come in quella che finisce. Questa carta dobbiamo giocarla.
Il coinvolgimento di un uomo nella paternità, o di uno scienziato nel superamento della sterilità va fatto a partire da questa modalità: un passo dopo.

LIA CIGARINI
Sono d'accordissimo con Luisa su quello che le donne hanno fatto e continuano a fare per la vita: si vede anche nei Paesi in guerra, come cercano di tenere un minimo di civiltà. Noi ci dobbiamo far forti di questo. Ida diceva: siamo state sole, in questa lotta. Non solo la relazione di maternità, ma anche questo lavoro per un minimo di civiltà non riesce ad essere relazione politica, agli occhi della maggior parte delle donne. Sappiamo che la relazione di maternità, se fosse giocata nella politica, sarebbe quella che farebbe fare quel passo indietro ai parlamentari di cui si parla (e sono d'accordo con l'idea di Stefania di pubblicare il dibattito parlamentare, di cui ho seguito delle parti, perché è assolutamente stupefacente quel che dicono questi uomini sul corpo della donna, da cui sono evidentemente ossessionati). Noi abbiamo un nodo che diventa un'impasse: la relazione di maternità non viene percepita, sentita e rappresentata come una relazione politica. Il desiderio/non desiderio di maternità non incontra la politica, viene invece percepito come scelta individualissima, tanto da non essere condivisa neppure con altre donne.
Quello che io immagino, sia per quello che riguarda la scienza, sia per le altre questioni, è un'autocoscienza femminile su queste questioni. Ho sentito che la relazione di maternità sta fuori dal gioco della politica. Questa cosa mi appassiona perché se le donne andassero a votare respingendo tutte le leggi fatte dal parlamento, continuando a rimetterle in discussione, sarebbe un sogno. Invece ho l'impressione che la posizione astensionista prenda piede, anche tra le donne. Mentre ho sentito che le donne stanno parlando politicamente del lavoro, la maternità rimane qualcosa che sta al di fuori. Anch'io, come avvocata, faccio fatica a parlarne con le mie clienti. Di contro, c'è una legislazione del patriarcato che è passata, a cui invece le donne pensano di sfuggire con scelte individuali. Da lì la reticenza, che è mancanza di politica, nient'altro. E' lì il punto: se la mettessimo in gioco come momento alto della politica, altro che passi indietro…
Mi piacerebbe che risultasse una partecipazione delle donne al voto non in favore dell'uso dell'embrione, ma per respingere le leggi del parlamento su queste questioni. Questo è il gioco politico che vedo io, non tanto quello 'nel merito', su cui ci separiamo.
Luisa aveva toccato il punto della cultura laica e di quella religiosa: secondo me è un difetto di politica, più che altro. Non vedo una politica che non tiene conto della cultura religiosa, vedo piuttosto che non c'è politica. (voci confuse): Certo che c'è una strumentalizzazione, un uso della cultura religiosa da parte della destra.

LUISA MURARO
Ho seguito qualche dibattito e le strafalcionerie, le involontarie eresie, le balordaggini che ho sentito da parte di questi che si riferiscono alla cultura religiosa sono incredibili… Ho consigliato, quando si vede un dibattito, di basarsi su quel che dirà l'ultimo dei preti, perché sarà l'unico che dirà qualcosa di sensato, nel merito… (voci)… sul fatto che la sinistra non stia facendo una politica laica sono d'accordissimo. Dicevo però che la cultura delle persone laiche è sempre più povera, spogliata di tutto. La storia l'ha spogliata, la fine del comunismo e la messa in discussione del marxismo ha portato alla perdita di questi filoni: le case editrici, i giornali, gli intellettuali che c'erano oggi non ci sono, o ci sono molto meno… C'è una specie di estremo impoverimento, aggravato dal fatto che queste persone, da quando si è formato lo Stato laico italiano (e anche da prima, dal Settecento), avevano abbandonato la cultura religiosa. Penso in confronto con chi ce l'ha, e non mi riferisco certo alla destra, che è ugualmente piena di ignoranti, se non peggio, cioè con l'autorità, la gerarchia, ed i preti, le suore, i cattolici praticanti… Quando i laici usano la religione per i loro scopi escono delle cose… come in parte è questa legge, fatta da uomini che volevano compiacere il Vaticano con una dottrina molto discutibile. Io ho imparato il catechismo all'Università Cattolica, ed è molto discutibile che si possa considerare l'embrione una persona: anzi, non si può in verità… La Chiesa cattolica insegnava soltanto che moralmente, davanti a un essere già concepito lo dovessimo considerare un essere umano (ma proprio con un 'come se'), rispettandolo; ma non diceva che lo era, e d'altra parte nemmeno avrebbe potuto, non sapendo che ne era degli embrioni… Diceva: bisogna comportarsi come se lo fosse, perché certamente ha davanti a sé la possibilità di diventarlo. Questi politici di destra, invece, per favorire la loro politica, hanno portato avanti questa cosa qui, e il Vaticano gli ha dato appoggio…
Anche sull'aborto, la storia della strage degli innocenti non è dottrina cattolica, ma ignoranza religiosa… ed è un problema, perché adesso la religione va, è una cosa che interessa sempre di più una civiltà che sembrava invece averle voltato le spalle.
Qual è il problema per chi, correttamente, dice: 'io non so, ma neanche voglio usare la religione'? La povertà culturale della sinistra, che è sempre più grande. Lia diceva che i giornali sono diventati illeggibili. Secondo me fino a vent'anni fa erano leggibili perché c'era la cultura di sinistra che nutriva tutto il panorama culturale italiano. Io non sono mai stata comunista, ma so bene che fin che c'è stata una sinistra con un forte progetto (aberrante, stalinista, anche, d'accordo…) c'è stata cultura. Da quando questa cosa è tramontata, la sinistra non ha cose da dire, è senza anima, senza grandezza.

IDA DOMINIJANNI
Riprendo per punti alcune cose. Comincio il mio pezzo del libro scrivendo che io non avrei mai fatto una procreazione assistita, e che però non potrei mai non combattere qualunque Stato impedisca a una donna di farlo. Io terrei questa bussola, e insisto sulla questione della legge e del diritto: i miei sì sono contro questa legge e questo tipo di legislazione, questa invasività della legge sul desiderio e sul corpo femminile. Credo sia importantissimo capire che si vota su questo, e non sull'insieme delle questioni, su cui invece il dibattito deve restare aperto. Credo che questa legge, più di quella sull'aborto, metta in primo piano il fatto che alcune questioni, oggi, sono indecidibili in punto di diritto e normatività. Questo porta acqua al mulino della nostra politica, che è una politica che si fa sulla base della libertà, lasciando vuoto di legge su alcune questioni, come quelle che hanno a che fare con il corpo e la sessualità.
Sulle questioni più di merito: io non è che sono contro la scienza, io rasento proprio il primitivismo, da questo punto di vista. Però, attenzione: sono le donne che stanno facendo da sole, talvolta, le tecniche di fecondazione assistita, esattamente come abbiamo fatto con l'aborto; lo fanno con la cannula… E, così come facemmo con l'aborto, sono le donne che si stanno inventando i modi per inseminarsi da sole…
Rispetto alla scienza, io sono l'ultima abilitata a parlarne, ma mi piacerebbe aprire un capitolo di tipo epistemologico, su quel che sta succedendo ai paradigmi scientifici e a quelli umanistici. So pochissime cose, ma non possiamo cascare nella trappola che dalla Fivet alla clonazione è tutto uguale, perché non è così; pure, tengo presente la questione della manipolazione del corpo femminile, ma non evado il problema della cura di certe malattie…


La cassetta finisce qui, ma ricordo altri due temi che in chiusura hanno suscitato acceso dibattito e che e mi sono sembrati - in generale, e sicuramente in modo personale - importanti e molto toccanti:
- quello relativo al perché le donne facciano figli così tardi, o li facciano da sole, o non li facciano: diversamente da chi lo imputava alle questioni lavoro/welfare/famiglia mononucleare, a scelte diverse di realizzazione, etc…, Ida D. si riferiva anche alla difficoltà con cui si scontrano molte donne (e più frequente quanto più consapevoli, autonome…) nel trovare/costruire una relazione soddisfacente con un uomo, all'inadeguatezza maschile nel 'reggere la sfida', nell'essere all'altezza di donne che vivono collocandosi fuori e contro il modello patriarcale, impegnate nella costruzione di un proprio ordine simbolico femminile, dotate di autorità. Problema trasversale a destra e sinistra (per gli uomini), ma certamente più lacerante e conflittuale 'a sinistra', sia in relazione alle donne (quelle di destra al patriarcato, in generale, ci stanno dentro), sia per gli uomini: se il problema non se lo pongono, vivono in una scissione totale tra il personale e il politico (almeno nel registro del consapevole e del dichiarato, perché in realtà spesso le loro pratiche politiche sono assai 'informate' da questo, giocano la politica attraverso pratiche di potere, non di relazione); se se lo pongono, vivono nel conflitto tra il voler essere e quel che riescono effettivamente a mettere in campo, a giocarsi in termini di cambiamento. Un conflitto che faticano a reggere, nel tempo, e un percorso di cambiamento che raramente portano avanti. In entrambi i casi, spesso la 'soluzione' per loro è il rimosso, e la rabbia verso le donne e il ripiegamento verso un femminile subalterno; per le donne, la solitudine.
- quello che riguarda la separazione tra sessualità e procreazione (Stefania Giorgi): una dimensione del tutto nuova, nell'esperienza umana, complessa e imprevedibile negli esiti che avrà, in generale e nel rapporto tra i sessi. Una problematica che si innesta su un'altra, già in atto da tempo: l'evidente caduta del desiderio maschile, il suo depotenziamento, la sua frustrazione e incapacità di incontrare ed amare le donne (vedi sopra) di giocarsi in una relazione profonda, autentica, coinvolgente di cercare altre strade per la relazione, fuori dall'ordine del patriarcato.