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amore del mondo n. 1 Chiara Zamboni Bellezza e differenza sessuale Simone Weil descrive nei Quaderni la relazione tra l'anima, la fisica e la storia. Queste sue riflessioni sono particolarmente interessanti per accedere ad un concetto non soggettivo dei sentimenti. Lei fa riferimento ad alcune leggi della fisica. In particolare la legge di gravità, la legge che riguarda il movimento dei fluidi e così via. Tali leggi funzionano da modello, per comprendere le leggi dell'anima e quelle della storia. Ad esempio, se qualcuno riceve un'offesa, egli si sente costretto a fare un male equivalente contro un'altra persona. Ciò è descritto perfettamente dalla legge della pressione dei fluidi. Altrettanto avviene nel corso della storia: un popolo che viene ferito nel suo orgoglio deve necessariamente vendircarsi di ciò. Sin qui quel che ne dice Simone Weil e sin qui le sue leggi dell'anima. Io sviluppo ulteriormente questa idea. Se i sentimenti dell'anima obbediscono alle leggi della fisica, essi sono dunque sia personali che impersonali. I sentimenti rappresentano segni della posizione dell' "io" in rapporto al mondo e alla sua storia. Essi sono quindi segnali sia dell'io che della trasformazione del mondo. Noi abitiamo infatti il mondo. Il mondo non è come un grosso oggetto fuori di noi. Quel che noi sperimentiamo è al medesimo tempo una esperienza del mondo. Ciò vale anche per l'esperienza dei sentimenti. Tutto ciò ci conduce ad una posizione ermeneutica in relazione a questi segnali. Si tratta di una posizione ermeneutica nella quale i sentimenti sono coinvolti e giocano un loro ruolo assieme all'intelligenza e alla storia del mondo. Questa è una via del pensiero, nella quale è valorizzata la pratica di partire da sé. Noi siamo infatti nel mondo e leggiamo i segni del mondo dal suo interno. Noi non consideriamo le cose dall'alto. Non siamo certo uccelli che volano sulla terra. Non abbiamo uno sguardo di sorvolo sul mondo. Al contrario noi abitiamo questo mondo con il nostro corpo e i nostri sentimenti. I sentimenti sono nella nostra esperienza del mondo come la luce di un faro nella notte. Nel senso che ci orientano. Nell'esperienza delle donne si può osservare una relazione tra i sentimenti dell'anima e il mondo, che porta con sé una particolare qualità. Essa è una relazione più stretta di quella vissuta dagli uomini. Perché? La differenza tra donne e uomini è evidente. Essa ha la propria origine in una diversa relazione con la madre. Sia le bambine come i bambini amano la madre. Le donne hanno in più come caratteristica quella di appartenere allo stesso genere della madre. Gli uomini appartengono ad un genere diverso. Da qui deriva che la loro esperienza non è simmetrica. Ciò ha molte conseguenze per quanto riguarda la loro esperienza del corpo e della lingua, per quanto riguarda la relazione con se stessi e con gli altri e così via. Una conseguenza osservabile è sicuramente questa. Le donne vengono fortemente coinvolte dai sentimenti. Il "continuum" con la madre ha l'effetto, che la passione rappresenta un ponte necessario per sperimentare il mondo. Io ho descritto in questo modo tale situazione: le donne sperimentano un materialismo dell'anima. Che significa? Questa espressione si differenzia parecchio dall'idea che si trova ripetuta nella cultura maschile. La cultura maschile tradizionale ha descritto le donne o come angeli o come persone, che amano solo il fare. O come esseri spirituali o come esseri legati al corpo, agli interessi e al fare. La contrapposizione tra Maria e Marta nel vangelo è molto conosciuta. Ci sono molti altri esempi possibili per illustrare questa contrapposizione. Ma tale contrapposizione è falsa. In realtà molte donne cercano nella vita il senso della vita e nella prassi un orientamento spirituale. In tale contesto i sentimenti dell'anima rappresentano la luce, che ci guida. Noi possiamo interrogare i nostri ricordi a questo proposito. Nella nostra vita ci sono stati dei fatti, che hanno attirato in modo particolare la nostra attenzione. La nostra consapevolezza non ha ancora preso atto di essi, che già in questi fatti è coinvolta la nostra anima con il suo corteo di sentimenti. A volte un fatto è coinvolgente soltanto per noi, mentre rimane uno eguale agli altri per chi ci sta vicino. Questo non è importante. È importante invece che quel fatto ci tenga avvinti a sé. Il sentimento che proviamo indica che relazione abbiamo con quel fatto. Esso mostra una direzione del mondo, che noi causiamo e anche viviamo in modo passivo. Porto un esempio. Molti anni fa io ero a Venezia. Era una bella giornata e calda. Avevo partecipato ad un seminario sulla politica. Mi ero allontanata un momento e mi trovavo in una piccola piazza assolata e solitaria. Il luogo, la luce e le ombre, i due gatti stesi al sole, tutto era bello. La percezione della bellezza divenne sempre più forte. Essa mi dava la sensazione precisa della verità. Tutto ciò era reale. Capii improvvisamente che o la politica accoglieva esattamente questo nella sua prassi o era superflua, ai margini della realtà. Anche più avanti ho sempre avuto fiducia nell'esperienza di questo sentimento e vi sono rimasta fedele. Per me è evidente che l'esperienza di un sentimento può avere un peso in politica solo se noi troviamo le mediazioni giuste per esprimerle simbolicamente nel linguaggio della politica. Ciò richiede inventiva e la capacità di ascoltare e comprendere gli altri. Il passaggio alla lingua non rappresaenta una traduzione dell'esperienza. Si tratta invece di una metamorfosi. Se noi parliamo, vogliamo che gli altri ci capiscano. Parlando, ci troviamo in una comunità linguistica. Se noi esprimiamo agli altri la nostra consapevolezza del mondo, gettiamo un ponte politico tra la nostra esperienza e l'ordine simbolico. C'è di più: il passaggio alla lingua porta con sé il fatto che la lingua può indicarci soltanto una determinata direzione del mondo. È impossibile mostrare il mondo nella sua interezza. La lingua non coincide con l'essere. Essa mostra un profilo del mondo. In genere si scommette sul fatto che questo profilo sia il migliore per significare l'intero mondo. Si tratta in questo caso di una scommessa che noi possiamo vincere o perdere, ma la scommessa viene guidata comunque dal sentimento. Il che significa: se perdiamo la scommessa, allora la lingua non ci ridà tanto l'essere, bensì solo un'opinione superflua. La mancanza sta nella nostra incapacità di comprendere e dimostrare, non certo nel sentimento che ci guida. In Diotima - che è la comunità filosofica femminile con la quale lavoro - l'abbiamo chiamata una scommessa simbolica. O anche: un taglio simbolico. Noi infatti mostriamo con le parole il miglior profilo e tagliamo via il resto. Fare in questo modo non ha nulla di astratto, perché appunto è il sentimento a guidarci. In altre parole: io posso anche perdere la scommessa che la politica abbia bisogno della bellezza per essere reale, ma la mia scommessa non è astratta, in quanto l'esperienza che ho fatto della bellezza a Venezia tanti anni fa mi ha indicato questo. Ed è essa a guidarmi. È possibile che io sia incapace di dimostrare questo nell'ordine simbolico della lingua. Ma questa resta solo una mia incapacità, in quanto la percezione della bellezza e il suo significato, da dimostrare, rimangono. La prassi
risulta dunque un laboratorio, nel quale noi scopriamo una direzione del
mondo. Posso portare un ulteriore esempio per spiegarmi. Noi siamo donne e in Diotima la ricerca inizia con l'analisi della nostra esperienza. Noi descriviamo i nostri sentimenti in relazione al fatto in esame. Noi parliamo di questo fatto senza sensi di colpa e senza illusioni. Riflettiamo insieme su questa situazione senza espressioni del tipo "Noi dobbiamo desiderare la prima posizione simbolica" o "Dobbiamo fare un progetto". È necessario avere fiducia: se noi abbiamo ben capito il fatto in questione, allora le parole che vengono dal prendere consapevolezza di noi e delle altre ci indicano la vera posizione simbolica che abbiamo in rapporto a quel fatto. E le parole trasformano la nostra relazione con la realtà. Se le donne scelgono di frequente la posizione simbolica seconda, la soluzione di ciò non è il rovesciamento nel contrario, cioè nell'obbligo a stare nella prima posizione simbolica. Questo sarebbe solo un progetto della volontà. Noi abbiamo scoperto la soluzione all'interno della nostra prassi. È questa. Io posso facilmente accettare la visibilità in un determinato contesto, se io sono in relazione con un'altra donna. Allora in tale contesto io non sono né visibile né invisibile, né nella prima posizione né nella seconda: io sono semplicemente là con un'altra donna. Noi vi siamo assieme. Questa è una vera e propria scoperta nella prassi. Paradossalmente è la scoperta di una particolare esperienza, che io avevo già vissuto. Quando questo avviene, si ha una coincidenza tra scoperta ed esperienza. Nel momento di questa coincidenza si prova una assoluta felicità e non c'è tensione verso qualcosa in questo. Non c'è volontà. Perché essa la si scopre come qualche cosa di già appartenente al mondo. Qualcosa di reale e non di immaginario. Tale scoperta può divenire politica, se noi riusciamo a mostrarla come la via giusta per andare oltre la nostra società di individui isolati atomisticamente. Allora la direzione della relazione a due è contrapposta alla direzione di una visibilità individualistica. Tale prassi
non sta in contrapposizione alla teoria. Perché? Per il fatto che
la prassi è un processo nel quale la teoria è una scommessa
simbolica. In questo modo la teoria è un momento della prassi.
Naturalmente un momento molto importante in quanto la consapevolezza,
che noi otteniamo con le parole, trasforma la prassi stessa. L'esperienza dei sentimenti e la capacità di esprimerli non sono sempre atti piacevoli e armonici. Essi risultano anche duri. L'attenzione alla forza d'attrazione di un fatto piccolo, ma per noi importante, porta con sé come conseguenza che la nostra anima si trova ad accogliere il bene come il male, la gioia come il dolore. La forza d'attrazione di un fatto ha infatti efficacia sulla nostra anima prima che possiamo esprimere un giudizio qualsiasi. Max Weber differenza il dominio dei valori e delle decisioni politiche dal dominio della conoscenza razionale. Si legga a questo proposito Poltik als Beruf, Wissenschaft als Beruf. È chiaro che per Max Weber i valori e l'essere sono separabili. Inoltre è evidente che il neokantismo di Max Weber accoglie soltanto la conoscenza fondata sulla razionalità. Nessuna conoscenza dell'essere è possibile in tale contesto. La sua posizione è radicalmente diversa dalla posizione che io sviluppo qui. La nostra esperienza è guidata dai sentimenti, che gettano un ponte con l'essere. Questo ponte è posto prima di ogni giudizio fondato sul bene e sul male e sulla razionalità. Sono dell'idea che nella posizione di Max Weber giochi un ruolo la sua differenza maschile. Il "continuum" con la madre, che le donne vivono, mostra la relazione stretta tra diversi piani che non sono perciò separabili come invece li separa Weber. Anche la filosofia di Heidegger è diversa, nonostante alcune somiglianze. La vicinanza sta in questo. Heidegger scrive che la contrapposizione tra teoria e prassi e tra ontologia e etica si è formata tardi. Originariamente esse erano inseparabili e non separate. Questo per quanto riguarda la vicinanza. Ma egli scrive anche che la relazione tra lingua ed essere avviene in un evento. I sentimenti in rapporto all'essere possono venire ad espressione solo nell'unicità di un evento. Al contrario noi sappiamo che i sentimenti sempre rappresentano una luce, che ci orienta. Essi giocano sempre il loro gioco e non solo in un evento singolare e isolato. Finora ho
descritto la situazione che le donne sperimentano, senza far riferimento
ai problemi nei quali si imbattono. Dove si collocano allora i problemi per le donne? Essi si collocano proprio nel passaggio alla lingua. Posso spiegarmi con un esempio. Conosco alcune donne, che non amano la scommessa simbolica con il suo rischio. Perché? Esse sono così fortemente legate ai sentimenti, che avvertono l' agire della lingua come un tradimento nei confronti della loro fedeltà nei confronti dei sentimenti. La lingua taglia via una parte dell'esperienza e esse non lo accettano. Esse fanno propria l'espressione linguistica solo in quei casi nei quali avvertono una perfetta coincidenza tra parole ed essere e se possono sperimentare una immediatezza della lingua. Questa immediatezza della lingua è però un'illusione. La lingua è in realtà sempre una mediazione e una metamorfosi dell'esperienza. L'illusione della coincidenza tra lingua e mondo risulta palese, nei casi in cui essa vuole ottenere determinati effetti e al contrario ne raggiunge altri. E ne viene molta sofferenza. Io credo
che queste donne non accettino la dimensione politica della lingua. Se
noi chiamiamo politica una esperienza avvengono alcune cose. Il secondo effetto: lo sguardo pubblico e sociale che la lingua ci obbliga a gettare sull'esperienza personale trasforma il sentimento in rapporto alla realtà. Il riconoscimento pubblico, che la lingua produce, ci mostra che c'è gioco tra noi e la realtà. C'è gioco tra i fatti personali e impersonali. La lingua adopera la sua infinita risorsa di senso per rendere possibile tale gioco. Alcune donne sperimentano la tensione tra il personale e l'impersonale con leggerezza. Esse ritengono che nella dimensione politica della lingua c'è gioco tra loro e un altro piano della realtà altrettanto importante. In tale dimensione del gioco esse vivono una via di sperimentazione in rapporto a se stesse e al mondo. Per altre donne la lingua non apre un piano comune tra sé e gli altri. Queste donne si identificano completamente nelle loro emozioni. E si identificano completamente con la lingua, che deve dire completamente in parole le emozioni. Perciò, a causa di tali identificazioni, la lingua non ha spazio di gioco. E perciò i sentimenti sono onnicomprensivi, invadenti e troppo forti. Non orientano nessuno. Queste donne vivono una costrizione interiore a riempire lo spazio tra sé e ciò che esse nominano. O la loro sensazione coincide esattamente con una prassi nominata oppure esse si sentono non credibili. Non autentiche. Se esse si sentono non credibili, ritengono allora di adoparare la politica. E la politica è per loro non uno strumento, bensì uno scopo. Entrambi
i gruppi di donne amano la politica come scopo e non come mezzo, ma la
posizione è diversa. |