4 Luglio 2009
Fate
sapere a Nadia Urbinati che
Fatte
le debite eccezioni, la cui lista porta in testa il nome di Natalia Aspesi, il
femminismo in Italia ha fatto l'abitudine a essere trattato dai giornali in maniera
distratta e talvolta fuorviante. Eppure ha contribuito a rivoluzionare i rapporti
tra donne e uomini facendo in trent'anni il lavoro di tre secoli, e continua a
dare contributi di pensiero che vanno in giro per il mondo. Però ha il
"torto" di non somigliare al femminismo degli Usa e dell'Europa del
nord, e questo si traduce, agli occhi di osservatori superficiali o frettolosi,
in mancata esistenza, arretratezza e cose del genere. Non fa eccezione il pezzo
pubblicato su Repubblica di martedì 30 giugno, "L'Italia, il potere
e il silenzio delle donne", di Nadia Urbinati. Dall'inizio alla fine,
è tutto giocato sulla retorica. E perché no? Ma è una retorica
che trasporta posizioni in parte accettabili ma scontate, e in parte inaccettabili.
Come l'incipit: non è facile essere donne in questo tempo di stravolgimento
dei valori e dei costumi
Sembra di ascoltare un prete dal pulpito, un prete
di quel tempo in cui i valori e i costumi erano solidamente stabiliti, certo,
ma sul fondamento di una libertà negata alle donne. In effetti, nello stravolgimento
presente probabilmente c'entriamo anche noi (donne, femministe) che non ci stiamo
più a tenere in piedi le costruzioni dell'ordine patriarcale. Questa idea,
avanzata in Via Dogana n. 88, "Italia sottosopra", Nadia Urbinati non
la prende in considerazione, sembra anzi che non ne abbia nemmeno sentore. La
sua lettura della rivoluzione femminista (a parte l'excursus su Mary Wollstonecraft,
che ci porta troppo indietro nel tempo e negli argomenti), è condivisibile
ma non fino in fondo. Capita infatti che l'importante scoperta femminista che
il personale è politico, da una parte, e dall'altra, la critica della separazione
patriarcale tra privato e pubblico, nel testo della Urbinati si confondano tra
loro per cui diventano quello strampalato slogan secondo cui "il privato
è politico" o, peggio ancora, "il privato è pubblico".
Non è certo la prima volta che assistiamo a questa confusione, ma da una
studiosa del pensiero politico ci si aspetta più precisione. Si capisce
però che, in questo testo, alla Urbinati il pensiero femminista interessa
per gli argomenti che può fornire contro il capo del governo di centrodestra
e contro un malcostume da lui introdotto che si aggiunge e aggrava i vecchi mali
della vita pubblica in Italia. Sì, questo uso del femminismo si può
fare, ma non a costo di prendersela con le persone sbagliate, cadendo nei pericolosi
luoghi comuni del moralismo, come che "le donne sono sempre lo specchio della
società". Sì, si può fare, a condizione però
di saperlo fare. E purtroppo non è il caso della Urbinati, almeno non in
questo testo, dove, trasportata dalla retorica, non c'è altra scusante,
arriva a invocare che si levino voci di critica e di denuncia, che siano voci
di donne, cui imputa un silenzio che ammorba l'aria (sic). Da qui, che è
la chiusura dell'articolo, il titolo che gli ha dato la redazione del quotidiano,
"L'Italia, il potere e il silenzio delle donne". Che dire? Leggere
una simile esibizione autistica di pseudofemminismo su un giornale come la Repubblica,
il giornale cioè che ha fatto ascoltare la voce di una donna, Veronica
Lario, la quale, dicendo il vero, ha aperto la prima crepa nel berlusconismo,
è qualcosa di totalmente scoraggiante. Non c'è coerenza, non c'è
senso. Oppure, proviamo a trovare una qualche logica, un qualche senso nei comportamenti
di questi giornali. Ecco quello che abbiamo trovato: "il silenzio delle donne"
è una formula che, cullando forse la vanità di qualche parlante
o la pigrizia di qualche intellettuale, giustifica la sordità sistematica
alla voce delle donne. Le donne parlano e hanno parlato (e scritto, da quando
hanno potuto imparare a scrivere), come ha scoperto la storiografia femminista,
è mancata invece, per tante ragioni che sono da considerare una per una,
la ripresa delle loro parole. Questo per quel che riguarda il passato. Nel presente,
che cosa succede? Che la formula del silenzio viene ripetuta per fare finta che
non abbiano parlato. Salvo, ogni tanto, estrapolare quella una che dice le cose
che fanno il gioco di questo o quello schieramento del tra uomini. Fate sapere
a Nadia Urbinati che per noi, a noi, Veronica Lario ha parlato chiaro e forte,
che la sua voce è stata intesa da parecchie persone e che altre donne hanno
parlato accreditando le sue parole come parola femminile indipendente dalla logica
del potere. La redazione del sito della Libreria delle donne di Milano
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