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Laura
Betti 1934-2004
di Daniela Tuscano
A volte non
bisognerebbe ascoltare le proprie "voci di dentro".
"Adoro Laura Betti", avevo scritto poco tempo fa a un amico,
"e un mio sogno nel cassetto sarebbe intervistarla... prima che sia
troppo tardi". E ora, purtroppo, è tardi. Non conoscero',
né intervistero' mai Laura.
Perché scrissi quella frase cosi' infelice ma, soprattutto, premonitrice?
Ignoravo il suo recente stato di salute. L'ultima volta che l'avevo vista
era stato sul set di un film: il suo. L'ultimo. Bellissimo, struggente,
che già mi era parso l'estremo atto d'amore verso l'uomo della
sua vita, quel Pier Paolo Pasolini a cui giustamente era affiancata ma
che forse, involontariamente, aveva finito per appannarne un poco lo spessore
artistico.
Se ci riflettiamo, puo' sembrare paradossale. Nelle foto che li ritraggono
insieme, lui è sempre timido, remissivo, quasi succube della irruente
fisicità di lei. Ho davanti a me un vecchio servizio del "Corriere
della Sera". Titolo: "Con Laura Betti, la fidanzata". Pier
Paolo si sporge appena dal tavolo d'un ristorante, lo sguardo attento
e umile verso il suo interlocutore; Laura, giovane, bella e già
un po' pingue, addossata al suo braccio che lo avvolge con la morbida
ma implacabile tenerezza di una tigre innamorata. Non guarda nessuno in
particolare, pare solo sincerarsi dell'appartenenza ideale del suo amico
inseparabile.
Ho rivisto Laura nel suo ultimo film da regista, ho scritto. Ma non è
vero. Non c'era lei. C'era Franco Citti, su una panchina solitaria, con
gli occhi sofferenti da cucine economiche, c'era il figlio-amico-amante
Ninetto nel giorno del funerale di P.P.P., grondante lacrime vere, percio'
smarrite e senza ritegno. C'erano ragazzetti che sembravano tolti dai
documentari di Pasolini sulle borgate degli anni '50, solo che questi
erano del Duemila e stavano ancora li'. C'era, insomma, un'Italia autentica,
marginale, che un tempo si nascondeva perché si temeva la povertà
e oggi si occulta perché offende il senso estetico delle nuove,
dinamiche metropoli da bere. Eppure era li', intatta, impoetica, dura
e ribelle nella sua estrema debolezza e abbandono. In questa sua realtà,
in questo suo sussistere malgrado tutto, nell'ingiustizia di questo suo
vivere o esistere a quel modo, in quei volti e in quelle situazioni, vedevo
Laura.
Laura Betti sprigionava autenticità. Era donna, uomo, vitalità.
Disperata vitalità, ma anche gioia di vivere e di godersi la vita.
Laura Betti è stata cantante, attrice (di prim'ordine: non solo
con Pasolini, ma con Rossellini, Bertolucci, e fra poco la rivedremo con
Capolicchio), showgirl, con un espressionismo troppo affettuoso per risultare
tragico, semmai lirico ed elegiaco. Federico Fellini ricordava che, anni
prima, lui e Pier Paolo avevano vagato una notte intera per cercare il
possibile modello della "Bomba", la prostituta sguaiata dal
gran cuore e dalle forme enormi, senza trovarla. Forse era impossibile
perché, per quanto riguarda Pier Paolo, la sua "Bomba"
c'era già e si chiamava Laura Betti, un capolavoro di umanità
che non ammetteva repliche.
La donna spregiudicata che conservava tutte le carte dell'amato come una
fragile fidanzatina il cui amore è morto in guerra, l'interprete
scandalosa di tanti film contro-corrente, la regista rigorosa che osservava
la vita tenera e implacabile nei suoi sorrisi khmer, ora se n'è
andata. Aveva settant'anni e, forse, ne dimostrava di più; tutti
quelli che l'esistenza le aveva sputato addosso come pietre scabre. Ma
proprio in quest'ultima caduta, in quest'apparente sconfitta, in questa
manifesta debolezza, nel vuoto lasciato, sta la sua grandiosità:
la sua modernità, una protagonista del Novecento.
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