Libreria delle donne di Milano

da AP, autogestione e politica prima (numero 1/2 gen.luglio 2004 anno XII)

Ishtar, associazione di donne italiane e straniere per viaggiare senza muoversi
Intervista a Giannina Longobardi di Francesco Peroni

1. Con altre donne hai promosso la costituzione dell' associazione "Ishtar", che mette insieme donne italiane e donne straniere. Ce ne vuoi parlare ?
L'associazione è nata quattro anni fa, per desiderio mio e di altre amiche che vengono da esperienze politiche ed esistenziali anche lontane. Io vengo dalla politica delle donne, da Diotima che è una comunità femminile di filosofe e dal movimento dell'autoriforma della scuola; tra le donne italiane dell'associazione ci sono persone vengono dall'area dei cattolici di base, altre invece dall'area laica e di sinistra. Le donne straniere che hanno partecipato alla fondazione, venivano dai corsi della mediazione. Le ho conosciute partecipando al primo corso di mediazione che è stato organizzato a Verona, da G.M. Sala e da Vanessa Maher; sono donne che, proponendosi come mediatrici, manifestavano già l'interesse per lo scambio culturale, donne con un alto livello di scolarizzazione, che hanno desiderio di spendersi professionalmente, con un notevole protagonismo. Altre donne straniere, impegnate tutto il giorno nel lavoro e nella cura della famiglia, partecipano alla vita dell'associazione soprattutto in occasione delle feste. La cosa che mi ha colpito di più, in questi primi anni di vita dell'Associazione, è l'interesse che le italiane hanno manifestato per il fatto che fossero offerte delle occasioni di conoscenza e di incontro con donne straniere. Si sono avvicinate a noi insegnanti, assistenti sociali, operatrici dei servizi, donne che incontrano le donne straniere per ragioni di lavoro, ma le vedono sempre solo attraverso un filtro professionale e che invece sentono il bisogno di capire di più. Oppure, semplicemente, donne, come me e come altre, che vedono la città che cambia e che hanno bisogno di capire che cosa sta succedendo. E' un modo di reagire positivamente al rischio di estraniazione. C'è una necessità interiore di comprendere la trasformazione che cambia la fisionomia della città. Molte di noi hanno a che fare con donne straniere nelle nostre case, dove ricorriamo al loro aiuto, ma lo scambio in denaro attraverso il quale entriamo in relazione quasi sempre impedisce una relazione paritaria, una relazione nella quale le persone possano mostrare chi sono. Quindi l'idea è stata di creare un luogo di incontro, l'occasione di conoscersi, di avere delle relazioni al di là di quello che il mercato ci permette di vedere di queste persone, che è quasi niente.

2. L'associazione è sostanzialmente occasione di incontro, di scambio e di conoscenza; uno spazio per capire cosa sta succedendo a Verona in relazione all'immigrazione.
Nei nostri incontri abbiamo chiesto ad alcune di raccontarci la loro storia, oppure abbiamo affrontato temi, come quello dell'importanza della lingua materna, e il problema della traduzione, quando le cose non sono traducibili da una lingua all'altra. Abbiamo organizzato delle feste.Le feste sono molto belle, perché sono sempre una sorpresa: noi spargiamo la voce, poi chi viene porta qualcosa, si mangia, alcune ballano, si scambiano le ricette. Le donne hanno bisogno di ritrovarsi in modo ludico e gratuito; molte africane e sudamericane rimproverano le italiane di ballare poco, a molte mancano qui occasioni frequenti di festa e di chiacchiere, che erano invece parte importante della loro vita al paese. Per questo le feste risultano un grande successo.
Lo scambio di esperienze è molto stimolante per tutte. Abbiamo parlato dei problemi che le madri incontrano con i figli adolescenti; per chi come madre si trova un figlio o una figlia che cambia, nel quale non ci si può identificare. Gli adolescenti si trovano a non avere più una guida, perché i genitori non sono in grado di introdurli in una realtà che conoscono poco, spesso c'è un rovesciamento nella relazione, perché sono i figli a mediare nei confronti delle istituzioni. C'è stato un incontro molto toccante con un gruppo di donne ucraine che Delfina Luisiardi ha conosciuto a Brescia e che sono venute a leggerci le loro poesie. Sono in maggioranza donne di mezza età, che hanno un alto livello di qualificazione e di professionalità. Molte lavorano nell'assistenza agli anziani, a volte in situazioni molto difficili, di semireclusione e di solitudine. Queste amiche sottolineavano come l'emigrazione dal loro paese sia soprattutto femminile - magari gli uomini vanno nei paesi vicini, a fare il muratore; e ponevano un problema politico: cosa sarà di un paese in cui la famiglia si disfa, in cui i figli crescono in case che non hanno la madre al centro? Lo squilibrio economico con il resto d'Europa, dopo la caduta del comunismo, è disgregante: se una famiglia si abitua a questi soldi - le donne riescono a mandare l'equivalente di quattro stipendi locali - quando deciderà di rinunciare a questo benessere e dirà ad una madre : torna a casa ?
C'è stato l'incontro con alcune donne musulmane, a cui avevamo chiesto di dire come vivono la religione qui. Ci è stata offerta una testimonianza di fede profonda, accompagnata dalla preoccupazione per la crescita dei figli in una società estranea in cui la madre deve trasmettere da sola la sua religione. Non c'è il contesto ad aiutarti nella trasmissione della fede, non c'è il muezzin che chiama alla preghiera, non c'è la famiglia allargata, né il gruppo dei coetanei con cui condividere e tu, che sei in una situazione di isolamento, devi insegnare tutto. La nostra amica Najat Rezki diceva che stava studiando e riflettendo per potere insegnare ai figli l'essenziale: doveva distinguere che cosa è irrinunciabile della sua religione e che cosa è solo tradizione e si può lasciare cadere. Si trova a dover fare un lavoro che non avevamo mai pensato, un lavoro di discernimento fine e complesso.

3. Questa esperienza di confronto con donne straniere, ha aperto anche spazi di riflessione sul rapporto nord /sud del mondo, sulla globalizzazione e sui fenomeni collegati ?
Non è una relazione facile, per questo abbiamo molto da guadagnarci, perché ci aiuta a ridimensionare la nostra storia. La nostra identificazione con l'Occidente è il problema più grosso nella discussione sulla globalizzazione, sulla relazione di aiuto tra l'occidente ed il sud del mondo. Non si può andare ad una relazione con persone che vengono da culture diverse se non si è disposti a pensare in modo critico alla nostra storia e a quelle che noi diamo per scontato siano delle conquiste. Per esempio, noi tendiamo a dare per scontato che l'emancipazione sia un progresso. I progetti che le ong mettono in piedi per l'empowerment, puntano all'autonomia economica delle donne; ma l'autonomia economica è pensata solo in relazione al denaro e non si dà valore a quella gran parte dell'economia locale che funziona senza produrre merci, ma che è essenziale alla vita e nella quale lavorano soprattutto donne. Inoltre tutti i programmi che puntano sull'istruzione delle donne nei paesi del sud del mondo implicitamente negano quello che le donne sanno già. Noi misuriamo l'istruzione sull'alfabetizzazione e giudichiamo ignoranti le donne che non hanno frequentato le scuole, come se gente che ha dietro di sé millenni di cultura orale, non avesse altri saperi, appresi in altro modo. Quindi, spesso con grande buona volontà, si continua un'opera di cancellazione, di neocolonialismo. Sono stata in marzo ad un convegno a Parma, organizzato da Mani, una onlus che opera nel Burundi dove sono emerse delle critiche molto interessanti al microcredito. Perché il micro credito è direttivo: le donne vengono coscientizzate dall'alto, sono molto controllate dal gruppo che offre il finanziamento imponendo che sia la donna a gestire il denaro, cosa che sconvolge le tradizionali relazioni tra i sessi. A Parma, Nicoletta Del Franco - una antropologa attualmente nel Sussex, che ha passato alcuni anni in Bangla Desh - diceva che le donne si stanno ribellando a questa forma di controllo che considerano distruttiva dei rapporti familiari. Nella loro tradizione, infatti, le donne non commercializzano i prodotti, non escono dalla casa, non vanno al mercato. Lei raccontava che alcune di queste donne hanno detto: "solo chi non ha un marito può non avere vergogna ad andare sul mercato; chi ha un marito e dei figli, manda loro sul mercato". Non c'è rispetto per quello che le donne sentono importante nell'equilibrio delle loro relazioni, noi vediamo solo l'oppressione. Il nostro modello è quello dell'individualismo moderno, fortemente concorrenziale che rischia di essere distruttivo dei legami affettivi e sociali. A Parma abbiamo conosciuto una persona affascinante, Rabia Abdelkrim Chikh, un'algerina che adesso lavora in Senegal, in un forum delle donne africane. Polemizzando contro il sistema del micro credito, ha raccontato che le donne senegalesi hanno un sistema di sostegno reciproco che esiste da più di cento anni che è costituito dalle " tontines". Sono delle casse piccolissime che loro gestiscono, tenendo in primo piano la relazione : è la relazione tra una donna e l'altra che dà la garanzia negli scambi e mai l'imposizione che si debbano fare lavori produttivi. Anche lei insisteva nel dire che lo sguardo con cui la banca mondiale e tutti i programmi di sviluppo guardano al terzo mondo incentiva solo la produzione di merci e il lavoro salariato. Se si misura lo sviluppo sull'aumento del PIL, l'economia di sussistenza viene progressivamente cancellata, aumentando la dipendenza dai paesi ricchi e l'indebitamento.

4. Il confronto è una occasione grandissima per pensare a noi stessi.
Sì è una grandissima occasione per pensare alla nostra storia, a quello che abbiamo combinato. E anche a quali sono i parametri di giudizio con i quali noi ci avviciniamo a questi altri mondi che presentano ancora una differenza. Mi sono accorta che il primo criterio che scatta immediatamente in noi è quello tecnologico: "come? Non hanno la luce? Vanno ancora in giro sull'asinello? Si fanno la doccia con il pentolino?". Invece si può vivere benissimo così: come può essere questo il criterio per giudicare la vita delle persone ? E' un'economia di sussistenza o di piccolo mercato, di produzione di donne che vendono al mercato della città vicina le galline vive, le uova: finché non arriveranno a distruggergliela è ancora un'economia con cui la gente vive e si mantiene. Noi abbiamo costruito una società di grandi solitudini, mentre invece le migranti spesso vengono da famiglie estese, da reti di solidarietà e di aiuto reciproco. Per esempio per noi è incomprensibile che le donne africane lascino i figli giù o che, nati qui, li rimandino giù, perché noi siamo abituati ad una relazione madre figlio molto esclusiva e non capiamo che, per il figlio, la madre può essere una delle altre donne della famiglia senza che questo provochi particolari guasti. I bambini non sono proprietà individuale dei genitori, né della madre né del padre e vengono allevati da un gruppo più allargato, per questo poi qualcuno ha dei debiti che non riguardano esclusivamente i genitori. A noi sembra che abbandonino, che trascurino i figli, mentre loro sentono che i bambini non sono una proprietà. Per questo sono abituate a lasciare con fiducia i bambini per strada - a volte anche nelle nostre strade - perché tutti gli adulti se ne occuperanno. Era quello che accadeva anche quando io ero piccola: noi bambini giravamo da soli, giocavamo per strada e nelle piazze, qualsiasi adulto dava un occhio a quello che stava succedendo. C'era una comunità che si prendeva cura dei piccoli; invece, adesso, guai se tu dici qualcosa al bambino di un' altra: ognuna deve educare solo il suo.

5. Torniamo a Ishtar, all'associazione. Quali idee e quali progetti state elaborando per proseguire la vostra attività ?
Ishtar serve ad aumentare la conoscenza. E' un po' un viaggiare senza muoversi. Per me è l'occasione di complicare sempre di più la mia visione sulla realtà. La globalizzazione ha tutti questi aspetti di dolore, di distruzione; ma potrebbe anche darsi che ne nasca da qualche parte qualche cosa che arricchisce tutti, questa è la speranza. Forse lo scambio, la contaminazione, potrebbe dare a tutti una maggiore ricchezza, se ci toglie un po' di presunzione. Abbiamo, comunque, il problema che le nostre città rimangano delle città vivibili; in buona parte dipende da una scommessa, che non sarà semplice da vincere, perché non dipende solo dalla bravura delle maestre: il successo scolastico della seconda generazione. Altrimenti arriveremo al deterioramento, come già in altri paesi europei, dove si creano dei ghetti di giovani spostati non integrati nel nuovo paese e che hanno perso, d'altra parte, l'identità dei genitori. La nostra idea è che ci debba essere ricchezza di scambi e che quindi vada anche rafforzata la relazione con la cultura originaria.
Nell' associazione adesso stiamo sperimentando un progetto "tandem", di insegnamento della lingua italiana, con un rapporto da una ad una, una donna italiana con una donna straniera. Incontrarsi per la lingua è quasi un pretesto, per diventare amiche basta un'ora alla settimana da passare insieme.
Con l'assessora alle differenze del Comune di Verona, Stefania Sartori, abbiamo insieme un progetto, quello di dar vita ad un centro di incontro, a Veronetta. Non sarà un tradizionale centro di accoglienza, ma un luogo di scambio culturale, di incontro, con proposte rivolte soprattutto a mamme e bambini per dare una possibilità di uscire dalla solitudine. In ogni modo, come dicevo, per ora sono le donne italiane che desiderano questo contatto, ancor più delle donne straniere e questo ci ha sorpreso e mi pare sia un segno politico buono, che ci siano persone che vogliono capire di più e che accettino di farsi sconcertare nelle loro credenze.