marzo 2012

Extratestuale e non extraterreste
A proposito dell'articolo di Clara Jourdan "Il giallo nel giallo"

di Elisabeth Jankowski

Che miseria quella nella quale versa la traduzione! Nonostante fior di facoltà dal nome mediazione linguistica si ha l'impressione che sia stato cambiato solo il nome ai vecchi percorsi di studio in traduzione. Manca una riflessione che porti a modificare la pratica quotidiana. Invece le studenti, principalmente ragazze, studiano da una parte teoria della traduzione e dall'altra si cimentano nell'esercizio di traduzione di testi dove si concentrano quasi esclusivamente su un bell'italiano, cosa non facile per molte e molti.
Bisogna dire in loro difesa che non è facile trovare delle soluzioni accettabili quando si vuole conservare sia lo stile che il contenuto, sia il messaggio che anche il taglio simbolico di un'opera. Dall'altra è la loro passione e il loro futuro lavoro e dovrebbero avere l'ambizione di plasmare la lingua come tutte quante le persone lo fanno, consapevolmente o inconsapevolmente. Da loro chiederei di farlo intenzionalmente.
Nella traduzione ci si concentra troppo spesso sulla dimensione intratestuale e quella fra i due testi, quello d'origine e quello d'arrivo, e si dimentica troppo spesso che ogni testo sta in un rapporto necessario con la dimensione extratestuale, cioè la realtà delle persone e dei luoghi che descrive.
Clara Jourdan - d'accordissimo - porta un bellissimo esempio parlando della traduzione del giallo di Anne Holt. Il tono ironico e contemporaneamente la serietà del suo intento lo rendono molto godibile. Ho l'intenzione di usarlo durante le mie lezioni di mediazione linguistica scritta dall'italiano al tedesco - così si chiama ufficialmente il mio corso - per far prendere coscienza alle ragazze della questione.
È giusto che Clara Jourdan non accusi solo la traduttrice di questo scempio della comunicazione ma anche la casa editrice come mandante di questo lavoro.
Quando si traduce da una lingua che è in alcuni tratti meno misogina come lo spagnolo - la presidenta - o il tedesco - die Geschwister come collettivo di fratelli e sorelle -, si dovrebbe prendere la palla al balzo e introdurre anche in italiano queste versioni più adeguate. Ci sarebbe sempre la scusa, se non si vuole essere protagonista di una nuova lingua, che sia più rispettosa rispetto al testo d'origine. Quando si traduce, per esempio, die Kanzlerin Angela Merkel mi sembra il meno che si possa afare chiamarla cancelliera e non cancelliere come scrive certa stampa. Lo stesso vale per Hillary Rodham Clinton, United States Secretary of State chiamata dalla Wikipedia italiana una politica e avvocato statunitense, e Segretario di Stato degli Stati Uniti. Tra politica e avvocato siamo di nuovo in presenza di un effetti di comicità. E non si tratta certo di mia nonna o di mia zia, che comunque avrebbero preferito essere chiamate per quello che erano, cioè delle donne, bensì di due delle donne più influenti del mondo.
Ma l'edificio della correttezza grammaticale sta vacillando. Questo si vede proprio dall'uso di un femminile e un maschile di seguito per la stessa persona, donna. Qua si nota un'incertezza che è il primo segnale che sotto il terreno si sta muovendo qualcosa. Speriamo solo che sarà un terremoto.
Potrebbe avere un epicentro altrove. Non nella denominazione professionale delle donne ma a tutti i livelli grammaticali e lessicali.