marzo 2012

Nessuna pietà per Philippe
di Elisabeth Jankowski

Quasi amici, titolo originale Intouchables, regia di Olivier Nakache (1973) e Eric Toledano (1971), musiche di Ludovico Einaudi.
Dopo un incidente di parapendio che lo ha reso paraplegico, Philippe, un ricco aristocratico, ha bisogno di un badante perché paralizzato dal collo in giù. Quello che segue è la storia di un'amicizia un po' particolare tra un giovane senegalese immigrato, Driss (Omar Sy), e Philippe (François Cluzet). La "banlieue" e l'alta borghesia si incontrano da vicino. Con Driss, Philippe ritrova la voglia di vivere, di respirare aria pulita, di andare in giro, di fare cose che non osava nemmeno immaginare.
I personaggi reali, i due veri "intoccabili", sono Philippe Pozzo di Borgo, ex patron dello champagne Pommery, paralizzato dal '93 (a 42 anni) dopo un volo in parapendio, e Abdel, il badante algerino assunto nel '94.
In una lunga intervista al settimanale "Le Journal de Dimanche", Philippe Pozzo di Borgo (che vive con la seconda moglie a Essaouira, in Marocco, e che si è raccontato in un libro) sosteneva: "Non è una storia di handicappati. Piuttosto una lezione universale, due desesperados che si sostengono l'un l'altro". Prima dell'incontro con i registi Toledano e Nakache, Pozzo aveva negato i diritti del suo libro a due registi molto famosi: "Non volevo un altro Lo scafandro e la farfalla. È un film eccezionale, certo, ma non è così che sono sopravvissuto".
La differenza, quando riesce a incontrarsi, fa davvero scintille. Un uomo ricchissimo e uno povero in canna non hanno nessun obbligo l'uno verso l'altro. Driss non dimostra nessuna pietà per Philippe. Lo tratta come un uomo normale e non come un handicappato: si scontra con le sue opinioni, scherza sui suoi rapporti epistolari con una donna e, soprattutto, lo fa divertire perché lui stesso, Driss, vuole divertirsi.
Non c'è altruismo in questo film e direi ben venga un mondo senza altruismo. Non si può chiedere a nessuno di abnegare completamente i propri desideri e sacrificarsi - programma secolare della chiesa cattolica per le donne - ma sarebbe meglio se due desideri, per quanto diversi, si incontrassero in modo che entrambi possano avanzare e godersi ogni momento della vita. Fra i due protagonisti lo scambio è sufficientemente riuscito. Così non resta né amarezza né sacrificio. La musica di Ludovico Einaudi esprime con la bella colonna sonora i ritmi di questi due mondi.
Il film trasforma i sentimenti degli spettatori per farne energia positiva. Ma potremmo chiederci come è possibile questa quasi amicizia fra due uomini così distanti. La mia risposta sta nella pratica quotidiana delle badanti presenti ovunque in Italia. In questi casi le persone sono costrette a relazionarsi davvero. Non c'è altra possibilità. Non lo fanno per virtù e non lo avrebbero mai desiderato. Anche se all'inizio la madre di una mia amica non voleva assolutamente accettare una donna di colore come badante, nel corso del tempo ha cambiato idea perché si è resa conto che aveva bisogno di questo aiuto e che aveva sentito una presenza amica. In seguito la chiamava "amica abbronzata" perché nel suo mondo di novantenne una tale diversità non poteva più trovare casa.
Sono le pratiche che cambiano le cose. Le pratiche portano il pensiero verso una nuova scoperta. Certo non sempre. Basta una politica demagogica a riportare indietro il sentire. Dobbiamo sempre essere vigili. La situazione può velocemente precipitare in un abisso.
Questo film è una diga contro le discriminazioni. Ultimamente abbiamo visto molte commedie che trattano tematiche alquanto pesanti, come per esempio Departures o Paradiso perduto e altri. Forse abbiamo imparato che ci vogliono emozioni positive per trasformare un pensiero pesante in uno leggero e con ciò avvicinabile. Soprattutto occorre una valorizzazione simbolica delle persone discriminate. La base di questo film, per me, è il discorso di Obama al Cairo che risale al 4 giugno del 2009, quando aveva detto: "Durante gli studi di storia ho compreso il debito che la cultura ha nei confronti dell'Islam. È stato proprio l'Islam, in luoghi come l'università di Al-Azhar,a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, aprendo la strada per il Rinascimento e l'Illuminismo europei. L'innovazione all'interno delle comunità musulmane ha permesso lo sviluppo dell'algebra, l'invenzione della bussola magnetica e di altri strumenti di navigazione, le tecniche di scrittura e stampa, la comprensione dei motivi e dei mezzi di diffusione delle malattie e la scoperta delle cure. La cultura islamica ci ha donato maestosi archi e guglie svettanti, immortale poesia e musiche celesti, l'elegante grafia e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il corso della sua Storia, l'Islam ha dimostrato, con le parole e con i fatti, la possibilità di vivere attraverso la tolleranza religiosa e l'eguaglianza razziale".
"Sembri Obama, come sei bello vestito così", dice l'Assistente Magalie di Philippe a Driss e lui passa il "complimento" al suo vicino di fila: "Sembri Strauss-Kahn".
Sono loro, Obama e Strauss-Kahn, i due uomini che danno l'impronta simbolica del film. Il primo incarna la nuova bellezza e intelligenza dell'uomo nero e della donna nera. Obama figlio di un matrimonio misto fra un keniota e una statunitense, e Michelle LaVaughn Robinson Obama, la moglie afroamericana di Chicago. L'altro, Dominique Strauss-Kahn, rappresenta l'uomo decadente, malato di sesso senza relazione, di una cultura che ha deviato le energie in un gioco neanche più di godimento ma di dipendenza patologica dal sesso.
Philippe, bianco e colto, potrebbe stare per la nostra cultura occidentale mentre Driss incarna la cultura africana che prende le sue energie da sorgenti che noi ignoriamo ma che comunque non negano mai la presenza del corpo e dei bisogni primari, nelle quali la donna è la pietra fondamentale della vita, non solo come insopprimibile desiderio dell'uomo, come utero che partorisce ma anche come faro morale che orienta. Driss ruota attorno a questo faro, quasi inavvicinabile, la sua madre adottiva. Prima è scacciato di casa perché non dimostra abbastanza responsabilità nella famiglia poi ci ritorna quando è sufficientemente maturato per occuparsi di suo fratello e per dare una mano alla madre nel governo della casa.
Philippe è tutto testa e godimento in una cultura alquanto vecchia e astratta come la musica per esempio di Beethoven o Bach, ormai logorata dall'uso eccessivo nelle varie pubblicità, cioè trascinata nel fango dal commercio e alienata al corpo. La musica, infatti, per Driss è sempre anche suono che muove il corpo che fa ballare. Accidenti, quanto è divina la sua danza dopo il concerto per il compleanno di Philippe! Non è solo un pregiudizio positivo che gli africani ballano divinamente. Lo fanno davvero. Sarà perché hanno assimilato il ritmo del movimento addosso al corpo della madre quando da neonati sono stati portati nella fascia. Quel ritmo è il movimento fondante che partorisce il movimento del corpo, il canto e la parola, è grammatica e poesia, è meditazione, rito e cura. Abbiamo solo da imparare da loro e, di fatti, la puericultura, ha già compiuto un'inversione di tendenza proponendo anche alle donne occidentali il prolungato allattamento e la fascia per portare i bambini vicino al corpo, mentre le africane sono sedotte dalle carrozzine così comode. Prevedo che in futuro sapranno ballare meglio i figli e le figlie delle donne bianche.
Certo, molta sinistra e alcuni intellettuali in Germania e in Francia sono riusciti a dire che il film non inquadra a sufficienza la realtà sociale e la incomunicabilità fra le classi. Driss, secondo queste voci, viene presentato come un clown che non è altro che la continuazione di fantasie colonialiste.
Devo ammettere che non sono assolutamente d'accordo con queste posizioni. Questa favola dai contorni realistici riesce a colpire nel segno.
Certo, un happy end per i nostri due protagonisti non è più possibile, ci possono essere solo degli aggiustamenti. È dall'insostituibile mancanza - per Philippe la moglie amata e i figli mancati e per Driss l'esilio e la perdita della madre - non potrà mai nascere una vera felicità. Ma proprio in questa impossibilità di una felice conclusione ci può essere una vita sufficientemente buona e una risata.