Libreria delle donne di Milano

Via Dogana - n. 68, marzo 2004

LA SINDACA DI CASTELLAMMARE DI STABIA
Storia di donne e di responsabilità
di Luisa Cavaliere

Castellammare di Stabia: una città a ridosso di Napoli. Un comune dominato dal profilo, amico e nemico insieme, del Vesuvio, per ora inerte. Sfuma i suoi confini e li confonde con quelli di un'immensa area metropolitana, ricca e povera, moderna e degradata, civile e "primitiva". Piena di tracce di un passato colto e fastoso (Stabia, Pompei, Ercolano, le ville vesuviane), di bellezze naturali mozzafiato (il mare, i monti Lattari), di originali attività produttive (i cantieri navali, le Terme, la pasta e i formaggi, per citare solo le più famose). Segnata da anni di malgoverno, di rapina delle risorse, di dissennato sviluppo urbanistico, di mortificazione e omologazione di antiche identità.
Un'amministrazione comunale che il centrosinistra ha sottratto al lunghissimo dominio della famiglia Gava, con giunte dirette, prima, da un prestigioso professore universitario prestato alla politica nella stagione dei sindaci, e poi, oggi (le ultime elezioni si sono tenute nel giugno del 2002), da Ersilia Salvato: per più di 25 anni parlamentare del PCI (e di Rifondazione Comunista), a lungo vicepresidente del Senato, impegnata da sempre nel movimento delle donne e in quello per i diritti civili (contro la pena di morte nel mondo, per i diritti dei gay, per la libertà di Silvia Baraldini).
Una sindaca che, della presenza femminile nella sua giunta e negli incarichi di competenza comunale, ha fatto una vera e propria discriminante qualitativa, chiamandone prima tre nell'amministrazione come assessore e scegliendone altre due per la direzione di altrettanti, importantissimi enti economici (le cosiddette aziende partecipate): l'Ente terme e la società dei Multiservizi per la raccolta della nettezza urbana. Un incarico che Ersilia addirittura ha affidato a un'esterna costringendo all'"emigrazione" l'emiliana Isa Ferraguti, ex senatrice del PCI.

Di questo desidero scrivere. Ed è da questo significativo (per me) e inedito episodio politico, che desidero provare a trarre delle tracce per una riflessione.
Metto in ordine, come meglio posso, i rimandi e le implicazioni della vicenda.
Primo: Una donna che ha scelto il Partito, un partito (1), come luogo privilegiato per vivere la propria passione politica, accettandone linguaggio, regole e forme, appena insediata delinea i confini di un tradimento sottraendosi all'antica abitudine della decisione presa in luoghi paralleli alle istituzioni (riunioni interpartitiche, segreterie
eccetera) e scegliendo da sola (o quasi) la propria squadra, la propria giunta. Non si limita ad assegnazioni "formali" e affida, appena può, ad altre donne luoghi che gestiscono denaro e potere.
Secondo: Nomina donne legate a lei da sicuri legami culturali, politici, affettivi, donne che la stimano, che le vogliono bene e che sostengono il suo progetto, il suo più volte espresso desiderio di cambiare la politica:
"Una politica che - dice Ersilia - non è attraente, non riesce a coinvolgere e ad appassionare perché teme il coinvolgimento, la passione, la partecipazione; non costruisce cultura, non ambisce a modificare sensi comuni, non coltiva il sentimento dell'essere comunità perché troppo presa da se stessa, dalle sue beghe, dalle sue meschinità; non progetta il futuro perché a mala pena riesce o vuole leggere il presente...".
Terzo: Non disdegna ingenuamente e in maniera pregiudiziale la pratica della suddivisione di nomine secondo l'appartenenza politica (non le ostacola ma le usa a suo vantaggio) e indica una donna del Partito Popolare a dirigere l'Ente Terme (creando anche in quella compagine politica non poco smarrimento). La scelta che fa, infatti, è ineccepibile dal punto di vista della consuetudine politica (tocca a quel partito) e del merito (persona competente, rigorosa e onesta).
Quarto: Costretta al rimpasto per irrobustire la sua squadra (2), rafforza la presenza delle donne spiazzando anche il suo fronte e designando a sua vice ancora una donna, Emma Giammattei (3), e affidando un assessorato pesante (con due deleghe) all'"esterna" Anna Maria Carloni, presidente della sezione napoletana dell'associazione Emily, della quale il provincialissimo e misogino mondo politico e mediatico campano ricorda incessantemente, quasi come un totalizzante attributo di identità, il legame familiare con il potente presidente della Regione.
Quinto: Non risparmia un'analisi impietosa della scarsa presenza delle donne nelle istituzioni politiche: "Non c'è tenacia e coerenza da parte di tante donne la cui azione si ferma, paga di quote iscritte negli statuti e nelle leggi, e non riesce ad andare oltre una pratica gregaria di alleanza con uomini forti o presunti tali, per essere esse stesse forti nella spartizione di un potere vecchio che si riproduce e si autoconserva attraverso esclusioni innanzitutto di donne. Esclusioni o mancate inclusioni messe in atto da donne che non scelgono, valorizzando saperi, competenze, culture, altre donne".
Sesto: Sostiene pubblicamente l'iniziativa di un'associazione di donne che propone per le elezioni provinciali di Napoli una lista di sole donne
(dicendo: "una scelta che può essere vissuta come una novità positiva, come un tratto significante e significativo della volontà di innovazione che siamo capaci di mettere in campo nella sostanza e nel metodo; una domanda cui, in questa fase, non essendo mai stata innamorata della politica delle quote e non avendo mai scelto un'altra donna perché donna, sento di poter dare una risposta positiva").

Questi, per me, i tratti salienti, l'incedere di un'esperienza
(femminile) che pone domande, smuove assetti teorici, addita pratiche, svela pericoli e insidie. Un'esperienza che parla a me (ed è per questo che ne scrivo senza inutili e impossibili oggettività giornalistiche), alla mia storia, alla mia scelta di una dimensione politica non prigioniera dei bisogni ma aperta ai desideri, al mio privilegiare sempre e dovunque la pratica della relazione come unica misura (per donne e uomini) di soggettività; al mio antico legame di amicizia con molte delle protagoniste di questa vicenda (4) che mi fa cogliere, forse, anche implicazioni non immediate, insidie e debolezze là dove altre ed altri leggono solo forza; al mio desiderio di costruire una scena, una tradizione, delle parole (e, poi, chissà?, un linguaggio) in cui le donne della mia Regione che ci sono e agiscono possano attingere risorse per dire quello che sono e per narrare quello che fanno, per esplicitare la misura della relazione che le lega fra loro; al mio (ossessivo) bisogno dell'esempio pratico come espediente narrativo essenziale per comprendere e cambiare ciò che accade; all'inquieto desiderio di uscire dall'orizzonte della visibilità, pure così seducente per tante, e che a me sembra produrre solo assuefazione al dato della sofferenza (come dice Angela Putino) occludendo lo sguardo; alla rinuncia consapevole (e mai rimpianta) di misurarmi su temi e scene come quella della politica seconda, che ho (inutilmente) padroneggiato fin da ragazzina e che ho radicalmente criticato grazie ad altre (Lucia Mastrodomenico). Scene sulle quali sapevo vincere ma che avevano, hanno, perso per me qualsiasi seduzione appena ne ho colto l'intima struttura di inutili (quando non dannosi) simulacri.
E tanto altro ancora.
Non riesco a trarre conclusioni (ma non voglio neanche). Riesco solo a pormi e a porre delle domande, a disegnare questioni, a sottolineare temi di indagine, occasioni di pratiche politiche, possibilità di scambio.
Allora innanzitutto: donne che agiscono insieme alludono a un darsi forza per avvistare ciò che da sole non vedrebbero o vedrebbero poco e per sfuggire esplicitamente alla trappola dell'inclusione che le vorrebbe parlanti su ciò che tutti vedono e di cui tutti parlano.
Ma perché questo avvenga (proprio nel senso che questo diventi accadere politico visibile a tutte e a tutti), è necessario trovare le parole per dirlo, per mostrare i punti di approdo, gli inceppi, le piccole mete intermedie.
E' necessario che la relazione si trasformi nel luogo dove attingere forza, potere, autorizzazione, e che essa stessa rediga le sue regole, i suoi criteri di valutazione, i suoi giudizi su ciò che accade e, al tempo stesso, ma forse prima di tutto, mostri se stessa come unico obiettivo dell'agire.
E, ancora: la politica non può essere vissuta, a meno di non rientrare e chiudersi nell'orizzonte emancipatorio, come competizione con gli uomini, come lotta per strappare loro spazi, consensi, permessi. La politica (per
me) è il luogo nel quale prioritariamente imparare a formulare la domanda "che cosa io desidero?" e a redigere risposte sempre più vicine, sempre più chiare, sempre più "pubbliche".

Ed è qui che trovo, mi imbatto, in un altro punto nell'altro nodo che la politica prima mi pone a tratti senza risolverlo: la responsabilità.
- L'imperativo morale ed etico di non fare gesti, scelte, che tradiscano o occultino l'obbligo di stare attente a chi guarda.
- La necessità di essere fedeli, senza ideologie, al proprio essere donna, al proprio deliberato stare da un'altra parte anche quando sembra che si stia là dove gli altri e le altre vorrebbero che stessimo.
- La responsabilità di contrastare tutte le forme dell'occultamento svelandole là dove si manifestano senza aver paura di apparire deboli.
- Il desiderio urgente di trovare una forma per dirsi le ragioni del dissenso senza degenerare in una insensata contrapposizione, lasciando che i motivi del conflitto si trasformino in occasioni di rilancio del confronto e delle relazioni.
- La priorità, anche questa morale etica e politica insieme, di contribuire a tessere una tradizione che, nutrita da episodi significativi (come quello di Castellammare) e dal sapere condiviso che essi possono produrre, si immunizzi, ci immunizzi, dall'eterna inesorabile (?) malattia che affligge la nostra storia, la storia delle donne, nel sud, e che ci fa avere la sensazione, ogni volta che agiamo, di cominciare da capo.


Note:
(1) Quindi, la politica seconda. Non si è parlamentari per 25 anni ininterrottamente se non si conoscono e si padroneggiano alla perfezione i meccanismi di una forza politica quale era il PCI!
(2) Non tutti i consiglieri del centro sinistra sostengono Ersilia e, pur di contrastarne la pericolosa autonomia, tentano di estenuarla con scelte ostili come (ed è solo l'ultima di una nutrita serie di episodi) l'elezione a Presidente del Consiglio Comunale del candidato sindaco del centrodestra alle ultime elezioni.
(3) Titolare di un prestigioso curriculum accademico, Emma, infatti, è da anni ordinaria all'Università di Salerno della cattedra di letteratura italiana, è titolare di un incarico all'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli, è componente dell'Istituto di studi storici per il quale nell'autunno del 2002, rompendo un'antica tradizione maschilista, ha pronunciato la prolusione, è autrice di libri, saggi, articoli che esplorano l'inquieto confine tra filosofia e letteratura.
(4) Prima fra tutte Ersilia che, piena di impegni anche istituzionali, incalzata da tempi spesso vertiginosi, non ha mai detto di no ad una mia proposta di discutere (tra poche) un libro o di confrontarsi su un approdo pratico e teorico del movimento delle donne; ma anche Emma che, d'estate, sotto la giacaranda in fiore, nel mio giardino che lei tanto ama, io impegno sulle sue passioni di ricercatrice, sui suoi libri, sulle sue letture che mi sembrano infinite; e Anna Maria capace, a differenza di me, di parlare per trenta minuti senza mai perdere il filo del discorso, senza divagare e senza seguire appunti o scalette scritte, senza sbagliare congiuntivi o imperativi!