Libreria delle donne di Milano

10 Maggio 2010

Nella palude delle Pari Opportunità

di Stefano Sarfati

Tempo fa mi ha contattato Sara Agostinelli, dell'associazione Gravid@mente di Bergamo, per chiedermi di partecipare, in qualità di uomo contro la violenza alla presentazione del libro: "Femminicidio, dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale", di Barbara Spinelli (ed. Franco Angeli, 2008) una omonima della più famosa giornalista. Tale presentazione era organizzata in collaborazione con il corso "Pari opportunità e analisi di genere" della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bergamo. Inizialmente ho tergiversato ma poi, ho comprato il libro e ho accettato di partecipare.
L'opera nasce come ricerca dell'autrice sulle numerose donne trovate morte a Ciudad Juarez, ma diventa in effetti un'opera che pone questioni sul femminismo, sul linguaggio e sulle donne.
Il libro inizia con la presentazione di Patrizia Romito (la cerco su Google, risulta essere Professore Associato della Facoltà di Psicologia di Trieste) nella quale leggo, a proposito delle studiose di femminicidio americane e messicane: "Questo straordinario lavoro, che il libro illustra e discute approfonditamente, ci fa percepire da una parte la ricchezza intellettuale e politica, la capacità innovativa delle femministe del continente americano, dall'altra ci fa riflettere sull'isolamento in cui molto del femminismo italiano, troppo spesso autoreferenziale, si è sviluppato". L'elogio si riferisce all'intuito delle suddette studiose, di operare un lavoro linguistico e simbolico, per affrontare il tema della violenza sulle donne "in quanto donne". Non so invece a cosa si riferisca la critica ma deve essere molto sentita perché poche pagine dopo, nella Premessa dell'autrice leggo: "Questa opera da parte mia vuole essere al contempo un monito e una speranza per le donne occidentali. Un monito, per l'isolamento nel quale alle volte rischia di cadere il femminismo italiano, col pericolo di farsi autoreferenziale nelle sue lotte…" eccetera. Comincio a sentire odore di polemica ma proseguo nella lettura, la matita in mano. Dopo la Premessa, l'Introduzione, dove leggo: "Le discriminazioni e le violenze di genere, ancora oggi, contribuiscono a mantenere le donne nel mondo in una posizione svantaggiata…". Penso a Michelle Bachelet, a Cristina Kirchner, a Indira Gandhi, a Benazir Bhutto, a Hillary Clinton, Nancy Pelosi; a Milano dove la sindaca, la presidente del tribunale, la presidente di Assolombarda sono tutte donne.
Andando avanti, però, ho trovato cose interessanti come quando nel primo capitolo scrive: "Dunque l'ordine patriarcale è stato veicolato e legittimato anche e soprattutto attraverso il linguaggio, in primis nominando la specie tutta in neutro, quando non maschile, in maniera da occultare il femminile…"; oppure quando scrive: "…la pervasività del sistema patriarcale è tale e tanto consolidata che, piuttosto che riconoscere uno spazio di "legittimità" al discorso femminista, tende piuttosto ad includerlo nel "suo" spazio discorsivo", un eufemismo, lo spazio discorsivo, che indica in effetti il potere. Ultima citazione dal libro, siamo verso la fine, dove Barbara scrive: "Una delle grandi sfide del femminismo è ancora quella di valorizzare la differenza, denunciando la necessaria omologazione al maschile che la società oggi richiede come condizione per accedere agli spazi pubblici di potere…".
Giovedì 29 aprile, ore 16, salgo in macchina e prendo la tangenziale est, poi la Milano-Venezia; fino a Bergamo sono 4 corsie, no problem per un macina chilometri come me, ma mentre guido mi chiama Sara Agostinelli, colei che mi ha chiamato a intervenire, informandomi che per cause lavorative di forza maggiore non potrà essere presente. Arrivo alla Facoltà di Giurisprudenza, una locandina della presentazione dice che intervengono: Barbara Spinelli, autrice del libro; Barbara Pezzini, Preside della Facoltà di Giurisprudenza; Beatriz Cruz, ricercatrice Università dell'Estremadura (Spagna). Partecipano: Associazione Aiuto Donna, centro antiviolenza di Bergamo; Stefano Sarfati Nahmad, Uomini contro la violenza (Milano); Giovanna Vertova, delegata del rettore alle Pari opportunità (Università di Bergamo).
Una collega di Sara Agostinelli intuisce chi sono e mi invita al tavolo dei relatori dove mi presenta la preside, una signora elegante, sui 60, capelli brizzolati tagliati corti, e Barbara Spinelli, una giovane donna, bolognese, pienotta, occhiali spessi, viso e mani un po' da bambina. Mi siedo vicino a lei e sono l'ultimo della fila dei relatori. Mentre la preside fa gli onori di casa chiedo a Barbara se conosce Luisa Muraro, Lia Cigarini, la Libreria delle Donne. Prima risponde no, con un espressione di chi non sa di che parli, poi però con un guizzo aggiunge:"cioè sì, le ho lette ma non le conosco". "Ma loro (e qui il ricordo non è perfetto, qualche parola potrebbe non essere fedele) sono della differenza…" "mentre, tu?" le chiedo. Lei dice che in realtà un po' anche lei, ma a differenza loro, le piace stare più sul pratico, meno sul filosofico e sul teorico. Io accenno a una puntualizzazione, dicendo che la Libreria è innanzi tutto un luogo politico e poi lascio cadere, perché dopo aver letto il libro (non proprio tutto per la verità) avevo già deciso che la mia posizione non doveva essere di misura o confronto tra me e lei, ma che sarei stato sulle cose che mi erano piaciute di più nel libro e da lì avrei sviluppato il mio intervento.
La preside, dopo aver completato il suo intervento lamentandosi del fatto che gli uomini (suoi colleghi compresi) si esprimono sempre al maschile, anche quando parlano di donne, passa la parola all'autrice (applauso alla preside) che fa un lungo intervento in cui sostanzialmente racconta il libro. Intanto conto circa sessanta persone in aula, molte studentesse, qualche studente. Lungo applauso all'autrice.
Mi passano il microfono, dico che sono un uomo che ha firmato l'appello contro la violenza degli uomini sulle donne, che ho preso coscienza della sessualità maschile che è di natura coatta, che esistono gruppi di autocoscienza maschile, che la violenza sulle donne chiama in questione gli uomini e a questo proposito racconto una barzelletta: un ragazzo negro di Harlem di 14 anni (siamo nella New York degli anni '80) viene assunto come lift, l'addetto alla tastiera dell'ascensore, in un edificio del centro dove, tra gli altri, hanno lo studio due psicanalisti, il dott. Rosenholz e il dott. Katsmann, il quale, arrivato al 16° piano, prima di uscire dall'ascensore, si volta e scatarra un orrendo verdone sulla faccia di un impassibile dott. Rosenholz. Questo estrae un candido fazzoletto bianco, si pulisce il volto, attende di arrivare al 17° piano e come se nulla fosse, esce dall'ascensore per iniziare la sua giornata di lavoro. Il ragazzo negro resta shockato dalla scena e da quell'impassibilità. Ma quello che gli leva il sonno e l'appetito è vedere che la scena si ripete tutti i santi giorni fino a quando prende coraggio e, aspettato che Katsmann fosse uscito dall'ascensore al 16° piano, si rivolge a Rosenholz e gli urla, prendendolo per il bavero: "ma che razza di uomo è lei! A Harlem per molto meno ti accoltellano, ma perché non reagisce?" Al che Rosenholz con la solita tranquillità si limita a dirgli: "è un suo problema".
La barzelletta sembra incontrare l'apprezzamento delle presenti, fin qui è andato tutto bene. Poi, parlando di violenza sulle donne, dico che c'è anche da tenere presente un altro fattore, che molti uomini, la cui identità è ancora modellata sul patriarcato, non reggono a vedere le donne oggi protagoniste nella società e nel lavoro. Qui Barbara Spinelli dice sarcasticamente: "sì, tutte precarie…" Io non fingo di ignorare e ribatto che sono precari sia maschi che femmine, perché il lavoro oggi è precario, ma si capisce che lei non accetta anzi ribatte che le statistiche dicono il contrario. Io allora ribatto che come possiamo vedere in questa aula universitaria, e come dicono le famose statistiche, la maggior parte delle universitarie sono donne e quindi la futura classe dirigente al femminile. Niente. Lei ha l'espressione di un duro disaccordo anche se lascia cadere. La preside mi allunga un foglio con su scritto: "5 minuti" e io dico subito: "ho finito" ma non ho ancora capito che su questo punto delle donne protagoniste, mi sono giocato l'approvazione andando in totale contropelo rispetto alla vulgata ufficiale delle astanti. A me non mi applaudono.
Parla ora la responsabile del centro antiviolenza di Bergamo, riferisce dell'alto numero di vittime, e dice che lei non può essere d'accordo con me. Io ancora non capisco a cosa si riferisce, su cosa non è d'accordo? La cosa mi dispiace perché durante la prima parte del mio intervento era una delle facce amiche, che dava segni di seguire, sorrideva, diceva che lei il Sottosopra sul lavoro ce l'ha. Applausone anche per lei.
Si alza ora dalla prima fila e si dirige verso il tavolo degli oratori Giovanna Vertova, Delegata del rettore alle Pari opportunità. Manca una sedia, mi offro di alzarmi ma lei mi intima: "tu resta lì". Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, attacca: "…perché in questi tempi tremendi per le donne…" ma io sbotto, e interrompendola le dico: "ma scusi, lei è la delegata del rettore alle pari opportunità: come fa a dire che sono tempi così tremendi per le donne, a me sembra che le cose vadano abbastanza bene…". Come tutte le reazioni impulsive risulta perdente perché lei a quel punto tira fuori le unghie: "certo, se lei intende che non siamo più nell'800, allora possiamo dire che è meglio, ma questo grazie ad anni di femminismo e non certo all'autocoscienza di voi uomini…". Indirettamente mi ha dato ragione, comunque l'atmosfera in sala si fa ostile veramente e comincio a sentirmi a disagio. Mi sforzo comunque di attingere alla figura simbolica del dott. Rosenholz e resto apparentemente tranquillo.
Finito l'intervento della dott.sa Vertova, che ha sentito il dovere di dirmi nella sua reazione che lei è un'economista, qualcuno accenna ad alzarsi, io mi rivolgo all'autorità, la preside della facoltà, e le chiedo il permesso di ribattere. La preside mi guarda con un misto di pena, antipatia e perplessità su cosa rispondere poi fa un cenno che sembra significare: "se proprio devi, fallo"; ma dal fondo della sala uno dei pochi uomini mi dice di lasciare stare, come per dire che era meglio per me, che ero già caduto abbastanza in basso.
Così, rigettato dalle donne, abbandonato dagli uomini, col morale sotto i tacchi, ma con sempre in mente il grande Rosenholz, mi dirigo con il sorriso sulle labbra dalla Preside e la saluto cordialmente porgendole la mano che lei stringe con lo stesso disagio col quale Rabin strinse quella di Arafat davanti a Clinton nel lontano 1993.
Riprendo la Milano-Venezia piuttosto rabbioso e comincio a ragionare sulla cosa. Capisco questo: che in quella situazione, affinché tutto si tenesse, bisognava far passare il messaggio che le donne sono vittime, sono penalizzate, che a loro il potere è ingiustamente precluso. Mi comincio a domandare perchè cavolo mi avessero invitato. Una volta a casa vado a curiosare sul blog dell'associazione gravid@mente, in fondo sono loro che mi hanno invitato, e lì leggo: "Giovedì 29 aprile abbiamo organizzato, come gruppo Gravid@mente e insieme all'Università, un'iniziativa sul tema della violenza contro le donne…(continua).
Bella una sala piena di donne, non c'è dubbio, ma per una volta vorremmo provare a parlare di violenza sulle donne non solo con "noi" ma anche con "voi": uomini".
Insomma, l'idea politica era azzeccata, ma il contesto direi di no.
Alla fine mi risulta chiaro questo: le pari opportunità sono un dispositivo nel quale degli uomini fingono di "riconoscere uno spazio di "legittimità" al discorso femminista", per usare le parole di Barbara Spinelli, ma invece "lo includono nel loro spazio discorsivo". Le donne come la preside della facoltà, come la delegata del rettore alle pari opportunità, si prestano al gioco per un loro tornaconto (a volte troppo piccolo). Lo stesso schema si replica a più alto livello con la Ministra delle pari opportunità, nominata da un presidente del Consiglio che disprezza le donne se non sono veline a sua disposizione. Il femminismo, nella sua radicalità, é alternativo al potere e quindi incompatibile con la sua spartizione secondo lo schema delle pari opportunità.
Mi resta un unico dubbio: Barbara Spinelli. Lei ha capito l'importanza della radicalità del femminismo, ma si infila nelle pari opportunità: giovane e politicamente inesperta, o non pronta ad affrontare, con quel viso da bambina, l'autorità femminile?
Cara Barbara, mi auguro che tu possa venire a presentare e discutere il tuo libro alla Libreria delle donne in via P. Calvi, 29