Libreria delle donne di Milano

PAPER per IAPh Symposium, 31 agosto 2006

Giovanna Providenti
PASSAGGI DI ESPERIENZA:
AUTENTICITÀ E LIBERAZIONE IN CARLA LONZI

Gesti autentici di concentrazione su di sé
"…le donne osano mostrare il risultato del loro pensiero, ma non il dramma della propria vita. Neppure a se stesse. A me invece interessa proprio in che modo, attraverso quali passaggi di esperienza, quali gesti, tono, decisioni, conflitti, si arriva a quelle conclusioni. … Se si cerca la quadratura del cerchio, ossia se si accetta una forma precostituita cui adattare la propria forma, l'espressione di sé non prende corpo."
(Armande sono io, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1992)

Questa frase posta qui in calce mi sembra un buon modo per presentare ciò che mi preme dire a proposito di Carla Lonzi : la tensione di vita, intensità e autenticità del suo percorso di liberazione fatto di molti e sofferti "passaggi di esperienza".
Accennerò soltanto ai temi per cui è stata finora riconosciuta: "iniziatrice" e femminista, si deve a lei il merito di avere saputo porre su "un altro piano" alcune questioni "chiave" degli anni Settanta, ancora oggi molto attuali. Come ad esempio, il tema dell'oppressione sessuale e culturale patriarcale presente anche nelle ideologie antiautoritarie e antirepressive di sinistra; il tema dell'aborto visto come motivo di sofferenza per le donne e come conseguenza di un comportamento sessuale finalizzato al piacere maschile più che a quello femminile; il tema della sessualità delle donne che non corrisponde all'atto riproduttivo, ma va ricercata nella scoperta di una femminilità più completa e non complementare all'uomo.
Appartiene a Lonzi l'affermazione "dell'amore clitorideo come modello di sessualità femminile nel rapporto eterosessuale" e l'individuazione di una nuova personalità femminile liberata e interlocutrice attiva nella società: "la donna clitoridea rappresenta il tramandarsi di una femminilità che non si riconosce nell'essenza passiva", e non si afferma attraverso "la ribellione e la partecipazione negativa". La donna citoridea, "non si è definita nei gesti discostati dalla norma, ma si è consolidata nei gesti autentici di concentrazione su di sé".
Adesso a me preme soffermarmi su questa "concentrazione su di sé", che corrisponde all'attenzione posta non a far "quadrare il cerchio", bensì ai "passaggi di esperienza", di cui nella frase posta in calce. E corrisponde all'attenzione e osservazione su se stesse (o atteggiamento di ricerca esistenziale), che Carla aveva trovato in Teresa D'Avila e Teresa Martin: "sebbene personalità molto diverse, non vedevo limiti alla loro capacità di indagare e dubitare: le risorse erano cercate dentro di sé pur nella coscienza che non esistono risorse adeguate" .
L'esperienza di liberazione personale, che in Carla Lonzi cammina di pari passo all'"avventura di capirci qualcosa" , è continua, inesauribile e mai scontata, perché sempre in contatto con la concretezza, e con l'imprevisto, della vita. Contatto che le ha permesso di stare su "un'altro piano", e di accorgersi dei limiti di ogni ideologia e della complessità di ogni percorso di liberazione, che non può rivolgersi soltanto all'esterno, ma deve partire da un profonda e autentica messa in discussione di se stesse. Solo così è possibile accorgersi dei molti condizionamenti culturali presenti anche in noi stesse e della difficoltà a liberarcene.
Ma per comprendere percorsi, processi, e ricerche così complesse e travagliate, non è possibile accontentarsi della posizione di studiosa-spettatrice.
Oltretutto, non posso correre il rischio di non mettermi in gioco in prima persona, riportando una esperienza umana così intensa come quella di Carla Lonzi. Non voglio commettere l'errore di "riportarne un'impressione inautentica" , o di ridurla a quanto la stessa Carla paventava in una sua poesia del 1953: "Una parola onnicomprensiva/irremovibile che detta/diventi materia dura./…Materia non risonante" .
Per permetterle di risuonare in me e per accogliere un suo bisogno - avendo "capito che la mia identità non può trovare riscontri dove non ce n'è un altra" - devo pormi nella posizione di una persona ("identità") che si pone in dialogo reciproco e autentico con un'altra identità. Anche se lei diceva di non trovarla nel mondo, quest'altra identità, e di sentirsi una testimonianza assurda destinata a cadere "più o meno nel vuoto, o nell'indignazione di qualcuno" .
Per permetterle di fidarsi di me è necessario, da parte mia, lasciare cadere i panni dell'intellettuale che giudica, interpreta, definisce il proprio argomento. E "partire da me": ovvero essere disposta a viaggiare sugli scomodi mezzi di trasporto di chi vuol entrare in contatto reale con il paese che va a visitare. Nel mio caso come mezzi di trasporto ho solo la lettura e rilettura degli scritti di Carla Lonzi. Ma posso cambiare la mia posizione: non quella comoda dietro la cattedra, ma quella scomoda di chi è interrogata. O meglio, interpellata. Porsi come "interlocutore, interlocutrice", avrebbe detto lei.
Ecco, per raccontare l'esperienza di liberazione di Carla Lonzi, farò dialogare i nostri differenti "passaggi di esperienza", i nostri vissuti. Lo farò interpellando me stessa mentre leggo lei: scegliendo brani suoi non per dimostrare alcunché, ma perché questi risuonano in me, richiamando esperienze mie, incoraggiandomi a perseguire percorsi già iniziati, o indicandomi direzioni diverse, nuove traiettorie dove potere fare camminare la mia personale esperienza di liberazione. Perchè questo è il tema alla base, il motivo per cui lei mi interessa così tanto: percorrere possibili percorsi di liberazione. E nominarli, farli venire allo scoperto, in modo che anche altre/i possano conoscerli. E, a modo proprio, percorrerli.

Cogliere individualmente ciò che è realizzabile
...il limite dei filosofi è che tutta la loro speculazione andava a finire in qualche progetto di società, era in funzione dell'assetto da dare al mondo. Mentre per me è del cogliere individualmente ciò che è realizzabile...
Ho iniziato a interessarmi alla esperienza di Carla Lonzi, in un momento particolare della mia vita. Nonostante le molte differenze tra il suo e il mio (ancora in corso!) processo di liberazione ho riscontrato delle interessanti coincidenze, che me l'hanno fatta sentire particolarmente vicina.
Anche io sto cercando di fare "tabula rasa", divenendo consapevole dei molti condizionamenti e attaccamenti culturali e ideologici che sono dentro di me. E anche della difficoltà a rinunciare a far parte di correnti ideologiche (o scientifiche!) e a pormi come interlocutrice dissenziente di chi si pone come portatore (o portatrice) di verità oggettive, o, semplicemente, di consuetudini da rispettare. Questo mio pormi come interlocutrice, e non come gregaria, ha creato importanti conflitti con il mondo accademico, in cui negli ultimi anni ho avuto incarichi professionali (come dottoranda prima e assegnista di ricerca dopo). E ho sentito una certa affinità con il rifiuto di Carla Lonzi a continuare la sua professione di critica d'arte, per dedicarsi al femminismo come scelta di autenticità dentro di sé e nel rapporto con le altre donne.
Ma vi sono anche delle altre "coincidenze": quando Carla inizia a scrivere il diario pubblicato ha 40 anni, che è l'età in cui io ho iniziato a leggerlo. Anche io tengo un diario (da venti anni) e vi trascrivo i sogni: dopo avere letto il diario di Carla vi trascrivo anche il mio percorso di liberazione femminile. Inoltre, anche io, come lei, potrei definirmi una donna clitoridea, desiderosa di essere amata più per il mio valore come persona, che per la mia capacità di lusingare gli altri o rendermi amabile (e questo, in ambito professionale, può costare la carriera!). Anche io provo spesso la paura, ed anche la sgradita sorpresa, di essere fraintesa in quello che dico, di passare da un equivoco all'altro nelle mie relazioni interpersonali: e da questo mi scaturisce un estremo bisogno di "fare chiarezza", che ho ritrovato anche in Carla.
Una chiarezza che devo trovare intanto dentro di me, contattando i miei molti conflitti interiori (come faceva lei nel suo diario) e tenendomi alla larga dalla tentazione di addebitare agli altri (o alla politica, o alla teoria) la causa e la possibilità di potere risolvere tutti i miei mali (o i mali del mondo). Solo dopo un tale lavoro di autocoscienza posso provare a "cogliere individualmente ciò che è realizzabile".
Scrive nel diario, dicembre 1973: "Non credo più a una classe di persone indipendentemente dalla coscienza individuale. Non rivoluziona un bel niente"; "Non vedo più come sia possibile cambiare il mondo, solo trovare uno sbocco di liberazione e viverlo. In fondo il limite dei filosofi è che tutta la loro speculazione andava a finire in qualche progetto di società, era in funzione dell'assetto da dare al mondo. Mentre per me è del cogliere individualmente ciò che è realizzabile. L'assetto dovrebbe scaturire da questo atteggiamento e non viceversa" .
Questo punto di vista può aiutare a non cadere nella trappola del "progetto" a tutti i costi . Non cadere nel rischio di giustificare comportamenti scorretti in nome di un progetto, o un'ideologia. Chi "coglie individualmente" è una persona attenta al proprio atteggiamento esistenziale, attimo dopo attimo. Una persona consapevole. Succede (a me e a Carla è successo molte volte) che, mentre si cammina lungo il sentiero di liberazione, si sbaglia, o si inciampa, o ci si pente, o si vuole cambiare strada, o si ha paura. Allora ci sono due strade per affrontare la cosa: giustificarsi di fronte al mondo e a se stessi (magari in nome di un ideale da perseguire); oppure accorgersene e basta. Carla sceglieva sempre questa seconda possibilità, trascrivendo nel suo diario e nei suoi appunti sparsi ciò di cui si accorgeva. Anche per questo è così difficile seguirla nel suo percorso intricato, complicato e denso, ma anche molto molto emozionante. Perchè pieno di vita vera.

Interlocutori non più fruitori
"La liberazione della donna dalla vecchia identità porta alla fine dell'arte come è stata concepita finora. Infatti, presa coscienza del perché lei stessa si indirizza all'arte promossa dall'uomo, da questa stessa rivelazione perde l'incentivo, e l'uomo - perdendo la donna come aspirante - perde la certezza della sua opera" .
Il processo del "fare tabula rasa della cultura", cui si accompagna un processo di "liberazione della donna dalla vecchia identità", più volte ribadito negli scritti di Carla Lonzi e Rivolta Femminile, consiste innanzitutto nel: "muoversi su un altro piano: questo è il punto su cui difficilmente arriveremo ad essere capite, ma è essenziale che non manchiamo di insistervi" .
Solo ponendosi su un altro piano è possibile fare perdere alla cultura patriarcale "la certezza della sua opera".
L'altro piano è quello che va oltre la polemica diretta, la contrapposizione, e che privilegia la individuazione e realizzazione di identità autentiche e libere, ritrovate "smantellando i miti e trovando dentro se stessa la propria integrità": "ci vuole più forza a mostrarsi spogliate che a barricarsi dietro la parola consacrata; ci vuole forza ad avere il coraggio della semplicità" .
Anche io sto cercando di muovermi su un altro piano: ad esempio studiando Carla Lonzi senza sentire il bisogno di collocarla necessariamente all'interno, o in antitesi, a determinate scuole di pensiero preesistenti.
Per muoversi su un altro piano bisogna rinunciare al conforto di aderire a modelli dati ("l'angoscia che tutti hanno di appellarsi a una garanzia della cultura"), e procedere alla "deculturizzazione": dissentire da qualsiasi ideologia e dalla sua necessità e "confutare alcuni tra i principi fondamentali del patriarcato, non solo di quello passato e presente, ma di quello prospettato dalle ideologie rivoluzionarie" . A partire da tale dissenso è possibile porsi in posizione di interlocutore attivo/a e non di fruitore passivo/a.
Il termine "interlocutore, interlocutrice", ricorrente nei testi di Lonzi, è, a mio parere, un termine di raccordo tra le due tappe (che ovviamente sono sincroniche, non diacroniche) di deculturizzazione da una parte, e costruzione di relazioni di autenticità dall'altra.
Esistono diversi tipi di interlocutori e interlocutrici, una gamma infinita, impossibile da definire. Per provare a rendere l'idea possiamo immaginare una linea infinita all'interno dei quali si collocano le molteplici sfumature relazionali. Su questa linea poniamo tre cartellini con su scritte tre parole chiave: da un lato dissenso, dal lato opposto disaccordo. E nel mezzo reciprocità.
Dalla parte del dissenso stanno gli interlocutori più vicini al piano della cultura da decostruire, mentre sul lato del disaccordo ci sono le molte interlocutrici personali (soprattutto donne, ma anche uomini) con cui Carla dialoga a partire da posizioni di grandi affinità e affettività e in cui sono spesso presenti disaccordi, dovuti proprio al fatto di porsi in una relazione di estrema autenticità.
Mentre coi primi interlocutori è necessario partire dal dissenso per approdare ad una relazione di reciprocità, con i secondi si parte dalla reciprocità per arrivare anche al disaccordo. Spesso il disaccordo è uno strumento funzionale al dialogo in autenticità, e va vissuto, sviscerato, contenuto. Che è quanto succedeva, nel gruppo di Rivolta Femminile, grazie all'ausilio della pratica di autocoscienza femminista.
L'immaginare la linea su cui si pongono questi termini come infinita può aiutarci a comprendere la non meccanicità né astrattezza di questo processo relazionale, che è sempre diverso a seconda delle differenti individualità e situazioni.
Io credo che la consapevolezza di questo processo possa aiutare da una parte ad avere il coraggio del dissenso rispetto a ciò che si presenta come inoppugnabile. E dall'altra a non avere paura del disaccordo che inevitabilmente si presenta quando a dialogare, a porsi come interlocutori l'uno/a dell'altro/a, sono due identità in un percorso di liberazione.
Nelle interlocuzioni di reciprocità, vi è sovrabbondanza di cose come disaccordi, sconforto, pena, preoccupazione, insofferenza, dubbi. Ma vi è anche la possibilità di un loro superamento, dandosi la possibilità di toccare livelli relazionali molto profondi e molto soddisfacenti e arricchenti. Superato il timore dell'attraversamento del disaccordo si può imparare a fare a meno di giudicare o di aggrapparsi a facili definizioni dell'altra/o o di se stessi.
Nei testi teorici, come Sputiamo su Hegel, l'interlocuzione maggiormente enunciata è quella in cui si parte dal dissenso e che avviene soprattutto nei confronti di stimoli culturali provenienti dall'esterno (rivoluzione, filosofia, arte, religione, psicoanalisi), non più passivamente fruiti, ma verificati e confutati. Come nel caso della teoria freudiana: "facciamo atto di incredulità verso il dogma psicoanalitico che attribuisce alla donna in tenera età il senso di partire in perdita per una angoscia metafisica della sua differenza"; "il padre e la madre non sono due entità primarie, ma il prodotto di una prevaricazione fra i sessi che ha trovato il suo assestamento nella famiglia. Senza queste premesse, ci si illude di sopprimere le cause psichiche della guerra come minaccia atomica sia postulando un ritorno ai valori privati quale negazione alla sovranità dello Stato, sia promovendo una istituzione che proibisca la guerra come delitto individuale. … la malattia mentale dell'umanità non può scegliere essa stessa la sua salvezza in una forma autoritaria e attenervisi" .
A più di trenta anni di distanza da quando sono state scritte, queste affermazioni risuonano molto attuali, dato che ancora si ricorre assurdamente alla guerra per risolvere conflitti.
Ma per comprendere Carla e il possibile (anche per me) percorso di liberazione da lei espresso, queste affermazioni vanno rilette alla luce del suo percorso di autocoscienza. E della scelta di essere ad ogni costo interlocutrice piuttosto che passiva destinataria di arte e cultura. Scelta che la porta ad imparare un porsi in relazione autentica con ogni tipo di interlocutore, nel privato come nel pubblico.

Passare attraverso tante fasi
"…naturalmente mi studio, guardo attentamente nello specchio la forma e la sporgenza degli occhi, la loro vivacità, la consistenza delle palpebre, l'entità delle occhiaie. Va bene sono soddisfatta…"
Le "fasi di esperienza" rivolte alla propria liberazione trapelano soprattutto dalla scrittura privata di Carla Lonzi (il diario, le lettere spedite e non, gli appunti sparsi), in cui niente appare filtrato, sublimato, e nemmeno raccontato con distacco, solo parte del percorso di esperienza. In uno sforzo costante di "vedere le cose come stanno". Lei stessa ne parla come "una specie di vergogna quotidiana, privatissima… non spedivo la maggior parte delle lettere in cui parlavo di me… perché incepparmi anche lì era angosciante, come angosciante era accorgermi che gira e gira finivo per volere e sapere parlare solo di me. Scoprire questo bisogno irrefrenabile mi umiliava…". E al tempo stesso ne afferma la validità: "Il diario, la presa di coscienza rende tutti uguali. Tutti fragili, tutti ugualmente intelligenti e stupidi, ingannati, ingannabili, umiliati dalla scoperta del trave nel proprio occhio. Nessuno sfugge a questo. Nel diario Hegel e io siamo uguali. Anche Cristo che, sudando sangue dice "L'anima mia è triste fino alla morte" e soffre perché gli amici lo lasciano solo nell'imminenza del martirio, è uno come me" .
A Carla non interessava raggiungere obiettivi, né politici né artistici o altro. Come recitano dei suoi versi trascritti nel Diario il 9 marzo 1974: "Che bello essere/quello che si è/anche se si è/poco pochissimo/niente" (p. 580).
Piuttosto, "la tensione della propria vita" è stata tutta protesa a sperimentare percorsi di liberazione possibili, mettendosi in gioco interamente. Percorsi che poi lei rielaborava, (attraverso la scrittura personale) per comprenderne meglio il senso e, eventualmente, modificarne il tragitto: non rinunciando mai a mettere tutto in discussione, a "mettere in scacco i propri pensieri uno a uno", come scriveva all'inizio del suo percorso femminista nella poesia che avrebbe poi dato il titolo alla raccolta poetica: "scacco ragionato" .
Il "dramma della propria vita" consiste, in Lonzi, nel fatto che le sue "piccole verità" (nel diario usa queste parole attribuendole a Julia Kristeva) e i risultati ottenuti non scaturiscono da astratti ragionamenti o illuminazioni, ma da concreti vissuti: da un contatto autentico e non sublimato con la vita, che le ha permesso di sperimentare bello e brutto, gioia e dolore. Come ogni percorso di autentica liberazione, inevitabilmente, prevede.
Il processo di liberazione suggeritoci dalla lettura di Carla Lonzi consiste in un complesso e imprevedibile "passaggio attraverso sé", che culmina nell'accettazione di sé e nell'acquisizione di una nuova forza: quella dell'identità autonoma. Una identità che può essere anche contraddittoria, problematica, diversa, ma propria: "quello è il mio diario e nessuno me lo toglie, e è quello che è".
Ed avere un'identità liberata e propria, essere soggetta , comporta un cambiamento nelle relazioni con le persone con cui si interloquisce. Da una parte si è più apprezzate e invidiate, dall'altra nasce un nuovo desiderio: quello di uscire definitivamente dal mondo del falso sé ed avere relazioni interpersonali solo autentiche e profonde.
Ma il raggiungimento di una tale realizzazione non è né facile né scontato e presuppone il passaggio attraverso tante fasi, perchè solo attraverso la consapevolezza della propria limitatezza e sofferenza è possibile accettarsi e realizzarsi. Come Carla acutamente scrive rileggendo il concetto di "invidia del pene":
"L'invidia del pene è un simbolo: ce l'hanno gli uomini non meno delle donne. E' invidia della forza che scaturisce dall'accettazione di sé, invidia dell'unico modo per realizzare se stessi. Se non si coglie il lato simbolico si finisce con l'invidia pura e semplice. L'invidia del pene nella coscienza soppianta l'invidia dell'altro, e porta alla risoluzione. Il peccato d'invidia nasconde la molla all'identificazione di sé. L'invidia del pene è la metafora del bisogno di identità. La mancanza di identità porta all'invidia, l'invidia alla sofferenza, la sofferenza alla coscienza dell'invidia e infine dell'invidia come invidia del pene, cioè alle soglie della scoperta e dell'accettazione della propria identità" .
Questo passaggio invidia-sofferenza-coscienza-accettazione merita di essere sottolineato, non tralasciando i due momenti iniziali: non può esservi nessuna presa di coscienza ("avere dei dubbi e quindi prendere coscienza") se non si passa dal peggio di sé, dal constatare di essere fatta di sentimenti contrastanti nei confronti dei nostri interlocutori e interlocutrici, di ammettere che tali sentimenti ci procurano una grande sofferenza.
Scrive Carla, osservando se stessa compiere i propri passaggi esperienza: "... il livello di insoddisfazione è cominciato a scendere e mi sono trovata in uno stato di curiosità che mi spingeva a certe azioni per procurarmi certe riflessioni. E mi è stato chiaro che sono sempre andata avanti così. Perchè c'è una fase in cui l'insoddisfazione porta al ripiegamento: un movimento di crescita si è fermato mentre fino allora lo sentivi pieno di sviluppo e resti sconcertata, non vorresti rassegnarti, ma hai l'impulso a rincantucciarti da qualche parte come se non valesse la pena restare in lizza. E' il periodo più duro perchè non accade niente: tutto appare un espediente, una ripetizione accademica, un ribadire. Così ci rinunci, e intanto avviene un cambiamento di pelle come nei serpenti. Io nella vita ci sento di questi momenti in cui sei costretta a spogliarti non solo dei vestiti, come a dire di un'identità più convenzionale e sociale, fino a restare nuda, ma poi anche quella nudità va sostituita con un'epidermide più fresca, più sensibile, meno coriacea. Ti rinnovi anche all'interno della tua identità più vera"
Si tratta, come è stato scritto da Maria Luisa Boccia, di un percorso di "presa di coscienza" in cui pensiero ed essere coincidono. E si tratta di una presa di coscienza femminile e femminista in grado di creare "una duplicità di coscienza sul mondo", laddove la cultura patriarcale ne prevede solo una e maschile .
Ma, secondo me, una tale presa di coscienza non sta solo dalla parte del femminile, non è l'altro polo rispetto al maschile. Anche perché non ha bisogno di essere collocato in un punto filosofico preciso. Soprattutto non ha bisogno di ricorrere alla logica bipolare. E' un'esperienza umana di liberazione, che cerca sbocchi, ma non è detto che li trovi: perché lo sbocco che cerca non è la quadratura del cerchio né "la verità ad ogni costo", ma una liberazione autentica. Il suo è un percorso possibile che lei fa, e si accorge che altri non fanno. Ed è difficile comprendere se non si è in un percorso di liberazione e di presa di coscienza simile al suo.
Carla Lonzi, come è già stato bene espresso da Debora Spadaccini, mostra di "non essere volta all'inserimento culturale, bensì mossa da un'esigenza di vita per andare avanti" e di avere una sua personalissima "capacità di stare nel vuoto non solo di identità offerte dalla cultura maschile, ma anche dell'identità femminista" . Esigenza di vita e vuoto di identità sono effettivamente due ingredienti fondamentali del percorso di liberazione di Carla Lonzi, consapevole, come afferma sempre Spadaccini, che "la libertà diventa un mito quando si identifica in una serie di contenuti e quando, in questo modo, il contenuto che pure costituiva un salto di essere, da ponte diventa un assoluto che ostacola il dirsi di una verità soggettiva" .
A differenza di Spadaccini, io credo che il contributo più importante di Carla oggi non sia tanto nella "verità soggettiva ma tutt'altro che opinabile", in fine rintracciata, ma semmai nello strumento di liberazione da lei individuato. In quei "passaggi di esperienza" che le interessava cogliere. Nel tortuoso percorso da lei svolto per cercare se stessa e una migliore e più approfondita relazione con i suoi interlocutori e interlocutrici. E nel fatto che non vi sia, alla fine dei conti, una verità scoperta, o da scoprire, né soggettiva né oggettiva, ma solo possibili percorsi di vita autentica e liberata. E non è poco.
"Quello che manca - scriveva nel diario - è proprio l'autocoscienza e il passare attraverso tante fasi. Ognuno sembra incarognirsi in una che diventa sua tipica" .
La liberazione, a differenza della libertà, non è un obiettivo raggiunto, ma una aspirazione constante che prevede un autentico processo di crescita interiore, di autocoscienza. Paragonandosi a Teresa D'Avila così scriveva, in forma poetica, nel diario, il 6 febbraio 1974: "Mi ritrovo nei tormenti/interiori senza perché/nei patimenti e nei dubbi/generati dall'anima stessa/via via che cresce./Lei si chiedeva/Proviene da Dio o dal Demonio?/E io: Sono me stessa?/Si ammalava moriva/di quella pena poi risorgeva/e sgrammaticatissima/ne scriveva" (p.550).
Lo scrivere sgrammaticatissimo è la scrittura privata, quella dettata non da fini artistici ma da un'autentica esigenza dell'anima. Esigenza di autenticità da cui si sviluppa il desiderio di stare in relazioni più significative, avendo scoperto dell'altro/a qualcosa di inaspettato.
Il 28 febbraio del 1974 Carla scrive nel Diario: "il passaggio attraverso sé rende meno ciechi verso l'altro" . E il 24 maggio 1976, dopo due anni di intensa attività "sgrammaticatissima", riconosce in sé un nuovo bisogno:: "la risonanza adesso per me consiste nel miglioramento e approfondimento dei rapporti, della comprensione reciproca, più che del riscontro puntuale. Mi dà un senso di presenza nel mondo" .
Per realizzare la propria presenza nel mondo non le basta il sentirsi riconosciuta, la realizzazione di sé: vuole stare in relazioni di autenticità e reciprocità con altri esseri umani.
Il diario di Carla Lonzi abbonda di descrizioni di relazioni di autenticità tra "esseri", termine usato da Carla per indicare le persone in carne ed ossa, non solo i loro pensieri astratti. Le persone che appaiono nel diario sono in relazione autentica tra loro. Sono alla ricerca di quel miglioramento, approfondimento, ovvero di un dialogo effettivo tra loro. E tale dialogo - che è, ad esempio, la relazione tra Carla e Sara, o tra Carla e Pietro, o anche tra altre amiche di Rivolta per come viene compresa da Carla - nel diario non viene raccontato a posteriori, ma rappresentato nel suo svolgersi reale, tra conflitti e rappacificamenti, prese di posizione e ripensamenti, dispiacere e gioia del ritrovarsi: viene espresso per come si presenta nel quotidiano, giorno dopo giorno, nelle pagine di vita vera.

Una amalgama particolare

"Capire - fare parte
capire di fare parte
non c'è altro
io - la mia porzione di cecità
io - la mia porzione di luce"

Nel diario appare evidente come il termine interlocutore sia riferito a chiunque di noi abbia il coraggio di porsi in maniera attiva e partecipe nei confronti della vita. Chiunque abbia il coraggio di dissentire da miti e dogmi culturali, e di esporsi autenticamente nelle relazioni interpersonali.
Porsi come interlocutore e interlocutrice nella direzione di autenticità, ovvero per come si è, senza costruirsi muraglie intorno, presuppone un lavoro non indifferente di personale individuazione (che è diverso della costruzione perché si svolge dall'interno). Tale lavoro risulta essere già in stato avanzato nel diario pubblicato (1972-1977) di Carla Lonzi, avendo alle spalle anni e anni di presa di coscienza di sé, compiuta dapprima attraverso la scrittura privata, le poesie, e poi attraverso la partecipazione attiva al femminismo, le prese di posizione autonome e originali e un instancabile lavoro di autocoscienza personale. Oltre alla autocoscienza svolta collettivamente e di cui il gruppo di Rivolta Femminile è uno degli iniziatori in Italia.

In conclusione non mi resta che ribadire che è nella sua "vita vera", - fatta di tanti e sofferti passaggi di esperienza - che io vedo il contributo più originale, forse non ancora sufficientemente compreso, del processo di liberazione di Carla Lonzi.
Per provare a rintracciare più approfonditamente questo interessante percorso di liberazione è necessario leggere e rileggere il diario e, possibilmente, il resto della produzione privata di Carla Lonzi. Quella quotidiana, privatissima di cui Carla nel diario ammetteva di vergognarsi, e che pure (come già lei stessa affermava) va valorizzata: perché esprime qualcosa di più articolato, complesso e completo, che può aiutarci a fare chiarezza su una esperienza difficile da sintetizzare. Non è possibile ridurre ad un istante fermo ciò che invece sta in un processo in continuo movimento e cambiamento, tra persuasioni, paure, emozioni, riflessioni, ripensamenti: "con tutte le complicazioni e amplificazioni nervose" , come scriveva lei il 13 febbraio 1974.
Per saperne di più di questa esperienza così intensa non resta che sperimentarla in prima persona: passaggio dopo passaggio, per arrivare "al miliardesimo attimo" in cui toccando questa terra posso sentire l'oro" , come è capitato a lei.
Le modalità, e i contenuti saranno solo nostri, da Carla potremmo imparare la "tensione di vita", "l'intensità". E alcuni piccoli suggerimenti pratici: al risveglio ogni mattina trascrivere i sogni sul proprio diario, e poi magari rileggerli dopo mesi, o anni; scrivere lettere ad amici e amiche, anche senza spedirle, per fare emergere quello che è mancato, i non detti, i fraintendimenti della relazione; e poi osservarsi dentro con molta attenzione e poco giudizio.
Io ci sto provando.
E, intanto, mi piace confrontarmi e dialogare con gli scritti dove Carla ha affidato la sua testimonianza.
Sarebbe bello potere leggere anche qualcos'altro della produzione privata di Carla, in maniera da potere permettere nuovi dialoghi tra Carla e le tantissime donne di oggi, assetate di autenticità come lei.
Inoltre ripubblicare i suoi scritti e leggere i suoi inediti potrà metterla in una luce più autentica, abbastanza (spero!) da aiutarci a non fraintenderla, a cogliere di lei sia la sua "porzione di luce" che la sua "porzione di cecità". E a restituire ai suoi scritti il senso che lei stessa aveva voluto dare.
Scriveva nel diario il 3 febbraio 1974:
"nei miei scritti c'erano dignità, castigatezza, commozione oltre che sdegno e dolore che ne facevano una amalgama particolare, non un atteggiamento ideologico e strafottente. Però non so quanti saranno ad accorgersene" .
Io ci sto provando... ad accorgermi di lei.
E, attraverso lei, passando da me, a divenire meno cieca verso gli altri.

BIBLIOGRAFIA
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- Taci, anzi parla. Diario di una femminista, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978;
- Vai pure, dialogo con Pietro Consagra, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1980:
- Scacco ragionato, Scritti di Rivolta Femminile Prototipi, Milano 1985;
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Aa. Vv.,
- É già politica, testi di Marta Lonzi, Anna Jaquinta, Carla Lonzi, Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1977;
- La presenza dell' uomo nel femminismo, testi di Maria Grazia Chinese, Carla Lonzi, Marta Lonzi, Anna Jaquinta,Scritti di Rivolta Femminile, Milano 1978.
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- L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990.
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Marta Lonzi e Anna Jaquinta, Biografia in Scacco ragionato Poesie dal '58 al '63, Scritti di Rivolta Femminile, Milano, 1985.
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