Libreria delle donne di Milano

Una maestra per Sofri

Di Vita Cosentino

Ci sono fatti e fatti: alcuni fanno sensazione, occupano tutta la grande stampa e restano nelle parole e nei commenti, altri perdono immediatamente consistenza e scompaiono. Il criterio non è sempre lo stesso. Stavolta una lettera di una quarta elementare è arrivata in prima pagina. Riporto la lettera per intero, perché chiede un favore al Ministro della P.I. (che poi ora è una Ministra). Indirettamente chiede anche a noi che leggiamo appoggio perché la richiesta sia esaudita. E continuare a parlarne può essere d'aiuto.
Dice: "Egregio Ministro della pubblica Istruzione, siamo alunni della quarta A della scuola elementare Piaget circolo Anna Magnani, di Roma e vorremmo informarla che la nostra maestra di italiano, storia, geografia, immagine, musica, Gisella Donati l'anno prossimo deve andare in pensione. Lei è la nostra maestra dalla prima elementare e qualcuno di noi la conosce da più tempo perché era la maestra della sorella. Un'altra cosa che lei non saprà, Ministro, è che noi ogni anno abbiamo cambiato l'insegnante di matematica e invece Gisella Donati è rimasta sempre con noi. Noi gentile Ministro le chiediamo di farla rimanere con noi fino alla quinta, anche se ha quasi settanta anni perché quando insegna non è vecchia. È una persona che insegna bene e ci fa divertire. Abbiamo capito in questi anni che lei adora i bambini e ci tratta come figli: lo ha sempre fatto e sempre lo farà. La preghiamo signor Ministro la faccia rimanere ancora un solo anno con noi per terminare il ciclo. Le stiamo chiedendo un favore anche perché per un anno la maestra non dà fastidio a nessuno e noi siamo tranquilli La ringraziamo e ci scusi di questa lettera." (Repubblica 27-5-08)
Il fatto è stato commentato da Adriano Sofri (Repubblica 3-6-08), e quel giorno ho ricevuto svariate telefonate a segnalarmi il suo articolo: finalmente qualcuno riconosceva l'importanza delle maestre! per esempio, quando diceva: "La democrazia italiana ha bisogno di maestri, come dice Zagrebelsky, e in particolare di maestre, come dicono i bambini della quarta elementare Piaget di Roma". Mi sono precipitata a leggerlo e ho trovato pienamente condivisibile la tesi di fondo, espressa nell'ultima parte dell'articolo con queste parole: "Quando le illusioni sull'amalgama multiculturale sono cadute, e però si mostra il ceffo delle reciproche secessioni, il luogo in cui si può ancora immaginare un incontro di civiltà e di persone, e una simpatia pentacostale, è la scuola elementare pubblica".
Io sono una così convinta della bravura e dell'importanza delle maestre che, per farle conoscere, ho realizzato, assieme a quattro maestre e un maestro, due registe e un produttore, con pochissimi mezzi, il film-documentario L'amore che non scordo - storie di comuni maestre, regia di Manuela Vigorita e Daniela Ughetta. Lo stiamo facendo circolare in un cofanetto edito dalla Libreria delle donne di Milano e in proiezioni in sale cinematografiche là dove riusciamo.
Dovrei, quindi, essere contenta della coincidenza con Adriano Sofri, eppure non riesco a rallegrarmene davvero. Anzi, ci sento un vizio di fondo. La spia è che le argomentazioni a sostegno della sua tesi sulla scuola pubblica di base si appoggiano pressoché esclusivamente al libro Cuore di De Amicis. E continua a ripetere: c'è bisogno di qualcuna o di qualcuno che riscriva il libro Cuore! Così nel suo ragionare, intanto che riconosce l'importanza fondamentale della maestra - "Dalle madri, o dalle maestre (o, chi l'ha in sorte, dalle madri maestre: io ne ebbi una) si imparano i comandamenti essenziali", dice - il suo pensiero si orienta, fin dal titolo Ecco perché ci servono più maestre da libro Cuore, sulla mancanza e su quello che dovrebbe esserci, come se non fosse capitato niente nei centotrenta anni che ci separano dall'opera di De Amicis, come se non ci fosse niente nella realtà del presente. Eppure il fatto è lì e lo sta commentando, ma non gli rimane vicino. Non si chiede per esempio perché quella maestra a settanta anni vuole ancora insegnare e che senso dà al suo lavoro. Non pensa neppure alle altre maestre: chi sono, cosa pensano, cosa dicono. Il fatto svapora, forse in eccezione, forse in pretesto per dire la sua da intellettuale.
Il vizio di fondo è qui. È il problema di intellettuali - uomini - che non riescono ad avere uno sguardo sul presente, a vedere quello che c'è già, quando si tratta di donne. Così tutto si rovescia di segno: mentre celebra la figura della maestra, toglie realtà a quelle migliaia di maestre che quella figura incarnano nell'oggi con un pensiero, con un intento, con un piacere. Forse ciò che di più significativo è capitato in questo mondo che è cambiato è che in ogni campo una donna non è esecutrice di volontà altrui, non è supplente di qualcuno che non c'è. Pensa e dà un senso a quello che fa.
Le maestre sono donne e sono parte integrante di questo cambiamento. Sono anche consapevoli di quel lavoro di incontro di civiltà e di esseri umani, che Sofri auspica e che loro portano avanti ogni giorno, pur tra mille difficoltà.
A fronte di questa incapacità a vedere che ha caratterizzato molta cultura (per non parlare dei politici), a tratti mi prende una sorta di intima disperazione. Il mestiere dell'intellettuale non sarebbe piuttosto quello di dare consistenza alla realtà dei fatti, accompagnandoli con le parole? Oggi questo problema è cruciale perché finiamo per non sapere più niente della realtà in cambiamento che viviamo, se non interpretazioni che la distorcono. In più rischiamo di far finire in niente quel tanto che donne hanno portato, stanno portando, nel mondo con quella che è stata definite una rivoluzione incruenta.