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ottobre
2012
Margherita
Braga ha allestito la vetrina del Circolo della rosa con le sue "case
della vita"
Il numero
101 di Via Dogana, politica mon amour, è illustrato dalle
"case della vita" di Margherita Braga.
da Via Dogana
101
Le
casette di Margherita Braga
Liliana
Rampello
Margherita
Braga è una donna singolare. Un'artigiana e un'artista in fusione
altrettanto particolare, per le sue inclinazioni, e per il suo stile,
estremamente sobrio e riservato. Compiuti gli studi artistici, dopo alcuni
anni di lavoro (grafica e dintorni), ha deciso che la sua grande predisposizione
al disegno (dapprima solo acquerello e tempera, più avanti l'olio)
le bastava come piacere personale, passione privata che avrebbe accompagnato
comunque la sua esistenza. E così in effetti è. Ha esposto
una sola volta, in una piccola libreria di Parma, la sua città,
e ora ha accettato un altro luogo particolare, Artiminori*, perché
spazio di un'amica, Alba Lingiardi.
Due cose mi hanno sempre attratto del (e nel) suo lavoro, la copia
e la miniatura, ma se si cerca di parlarne con lei in punta di teoria,
svicola, non risponde. Margherita può solo "raccontare"
quel che fa, non cerca significati, quelli possono rimanere in silenzio
nella mente: me lo spiega dicendomi perché le piace così
tanto, quando le piace tanto un pittore, copiarlo. E' il suo modo di stare
dalla parte di chi fa, di entrare dentro tutte le sfumature, dentro alla
singola pennellata, di imparare ogni variazione possibile dei materiali
e delle tecniche, di distinguere con la mano oltreché con lo sguardo,
un'opera dall'altra. Copiare è il suo codice d'accesso a quel che
vede, all'arte della pittura (non all'arte contemporanea, precisa), è
il suo modo di conoscerla con i sensi (lei dice: "è la stessa
felicità del tuffarsi", e un museo diventa così immediatamente,
nelle sue parole, un mare).
La copia entra in scena una seconda volta, e con tutti gli onori, anche
nella miniatura, ma sono io a permettermi di chiamare così quelle
che lei chiama semplicemente Le casette. La prima casa è
stata quella delle bambole, per sua figlia Ottavia, di 5 piani (una cassetta
di legno sopra l'altro, di quelle vecchie, alte, delle coop), un vero
condominio, con tutto, dalla carta da parati a ogni singolo mobile e soprammobile,
costruito dalle sue mani, compresi i sanitari, fatti col gesso, precisa,
e solo le piccole porcellane, piatti e bicchieri, acquistati. Ottavia
guardava, sognava ad occhi aperti, ma non giocava. Lei, Margherita, giocava,
perché lì aveva messo tutta la sua passione di ragazzina.
Poi sono venuti i "cartoni", con cui fabbricava castelli, macchine,
teatri. E poi ancora, a un certo punto, ha messo insieme miniatura e copia:
la casetta esterna, di legno dipinto, è diventata il contenitore
circoscritto e rassicurante delle sue emozioni, ma il contenuto, quello
che mette dentro alle casette è molto serio, non è più
un gioco, è il mondo dell'arte con tutto il suo caos. Come lei
pensa sia la vita. Ed ecco comparire, appese ai muri, le copie dei suoi
quadri preferiti, in piccolo, a rappresentare se stessa di fronte ai "grandi",
a loro volta rimpiccioliti. L'interno, lavoro tutto cerebrale, è
reso possibile dall'esterno, che tiene a bada con una forma precisa l'emozione,
la sua paura a "esporsi".
Questa forma esterna di solito è un bagno oppure la sala di un
museo, una galleria d'arte, ma sempre col bagno. Una specie di ossessione,
il gabinetto: per lei è il segno dell'impernanenza: "la creatività,
come la cacca c'è sempre", mi dice, la cacca fa capire che
si può fare e distruggere sempre tutto, di continuo. La creatività
è un flusso, il prodotto, allora, può essere abbandonato,
ogni cosa fissa è morta e a lei non interessa più. Nelle
casette c'è sempre una luce, per guardare, attraverso piccole aperture,
anche dietro la porta chiusa, per "spiare" la propria intimità
senza averne paura.
Mentre parlavamo mi sono venute in mente molte altre opere, ma soprattutto
mi sono venute in mente le "Poppenhuizen", due case alte più
di due metri, ogni piano in perfetta miniatura, che ho visto al Rijksmuseum
di Amsterdam, manufatti stupefacenti, fatti costruire, alla fine del Seicento,
a costo quasi del suo intero patrimonio, dalla ricca vedova di un mercante,
Petronella Oortman. Una diretta antenata di Margherita, ne sono sicura.
*Artiminori
è uno studio laboratorio milanese, in Conca del Naviglio, che ospita
iniziative culturali nell'ambito delle arti minori (manufatti tessili,
oggetti da collezionismo).
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