Libreria delle donne di Milano
Wattwil, 2 maggio 2007

"Ancora non è apparso ciò che saremo" Lettera aperta a Papa Benedetto XVI
Ritorno agli antichi greci? Il dipinto di Raffaello La scuola di Atene mostra al centro Platone e Aristotele che discutono. È conservato ai Musei Vaticani.
di Ina Praetorius

Caro signor Ratzinger,
finalmente ho trovato il tempo di leggere la sua famosa lezione di Ratisbona [1], della quale si è discusso tanto animatamente nei mesi scorsi. Mi piace. Per molti versi lei ha ragione. Mi ha colpito il modo in cui riesce a presentare al grande pubblico questioni tanto complesse dal punto di vista della storia della spiritualità. Tuttavia, come potrà immaginare, ci sono punti sui quali le nostre opinioni divergono. In particolare, trovo problematico il suo concetto di "ragione", che si richiama all'immagine del mondo nell'antichità greca, e la relativa interpretazione della verità immutabile (cristiana). In questa lettera vorrei comunicarle le mie
riflessioni e spero con ciò di aprire un dialogo proficuo.
Sono d'accordo: una ragione "che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture". Anch'io sono convinta che i credenti musulmani, per i quali noi occidentali siamo "gli infedeli", con ciò ci comunicano qualcosa di importante. Quello che ci vogliono dire è: l'umanità non può convivere in pace se quei miliardi di persone che in un susseguirsi di generazioni abitano quest'unica terra insieme a innumerevoli altri esseri viventi non si interrogheranno sul SENSO DEL TUTTO, e lo faranno
pubblicamente.
Lei è convinto che il SENSO DEL TUTTO si paleserà nella "profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia".(3) "L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco" così scrive "non è stato un semplice caso" (3). Lei sostiene che al contrario sia Dio stesso ad aver voluto con questo "reciproco contatto" (3) comunicare a noi umani qualcosa che vale fino a oggi e varrà in futuro, ovvero questo: "non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio" (2).

Anche io ne sono convinta: DIO potrebbe ad esempio non volere che ci uccidiamo o insultiamo o ancora ci puniamo a vicenda solo perché apparteniamo a tradizioni diverse. In questo DIO si è in un certo modo legato a ciò che noi umani chiamiamo "ragione" secondo la concezione cristiana della rivelazione.
Se io in questo momento conoscessi solo il Suo discorso di Ratisbona e oltre a ciò non sapessi nulla di Lei, sarei quasi entusiasta. Penso infatti che oggi ci sia bisogno di individui che, come Lei, dicano con autorità: una ragione che rinchiude la questione del SENSO nel regno dell'opinione soggettiva, scade "nell'ambito della discrezionalità personale ed è semplicemente insufficiente" (6). Mi sorprenderebbe tuttavia la nostalgia con la quale ripensa "[al] tempo della vecchia università dei professori ordinari" (1), quando, come Lei ben ricorda, era ancora possibile "una [vera] esperienza di universitas". (1).

All'epoca, nel 1959, quando Lei insegnava teologia a Bonn, io avevo tre anni. Era il periodo della restaurazione del patriarcalismo borghese. Mia madre era una delle pochissime donne che insegnavano in un'università. Non teologia ma musica. All'epoca alla facoltà di teologia di Bonn non c'erano ancora donne. Soltanto dieci anni dopo, nel 1969, una donna vi conseguì il dottorato: Helen Schüngel-Straumann. Così descriveva i suoi anni di studio nella Tubinga degli anni '50: "Allora ero l'unica ragazza. Non c'erano donne che studiavano teologia. Fui costretta a dare l' esame preliminare insieme ai novizi: dovevo in qualche modo essere separata da loro pur rimanendo nella stessa aula. Fu perciò disposto un paravento e io dovetti sedere a un banco sistemato in fondo all'aula. Proprio non sapevano cosa farne di me."[2]
Mi meraviglia che lei abbia vissuto questi anni Cinquanta come un tempo in cui "noi [potevamo] formare un tutto e lavorare nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione" (1). Può un'università rappresentare il "tutto dell'unica ragione", se nasconde le donne che vogliono dare un esame di teologia dietro il paravento? Ancora oggi lei è convinto che le donne non possano essere ammesse al sacerdozio cattolico e impone questa convinzione, che secondo lei trova un fondamento nel logos divino, con estrema intransigenza, per non dire con violenza. Come giustifica questa imposizione in rapporto alla ragione? La ragione naturale di cui lei parla, se è ragionevole, non può farsi posto senza bisogno dell'imposizione? Eppure lei nel suo discorso cita l'imperatore cristiano Manuele II come modello non violento per quell'islam, in cui a suo parere si annida la violenza: "chi […] vuole portare qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia…" (2).
Lei non può non notarlo, e del resto la cosa è conosciuta da tempo, io non ho solamente letto il Suo discorso di Ratisbona ma sono anche molto ben informata al riguardo; ad esempio so che la sua impressione, secondo cui l'antica università degli ordinari respira spirito universale, nonostante i suoi membri di sesso femminile non abbiano ancora voce in capitolo, non è "casuale" (3). Infatti, secondo il concetto ellenistico di "ragione" che è anche il suo, le donne dovrebbero lasciare l'attività teologica agli uomini. Questo a detta del suo adorato Platone: "Certo molte donne sono migliori di molti uomini sotto molti aspetti ma nel complesso la donna è inferiore all'uomo." [3].
Non solo al presunto sesso debole i filosofi della Grecia classica hanno assegnato una posizione definitiva. Il mondo nella sua totalità appariva loro come una sorta di piramide, in cui ognuno, dagli schiavi a Dio, dai padroni di casa agli animali domestici, sapeva qual era il suo posto e quale la sua funzione. Le schiave lavorano (e vengono violentate dai signori se questi ne hanno voglia), gli uomini comandano. Le donne danno alla luce bambini, gli uomini si pavoneggiano. Le turche puliscono la casa parrocchiale, i Papi dicono la verità, ad esempio sulle turche e sulle studentesse di teologia. Forse Lei vuol dire un'altra cosa quando parla di "ciò che è veramente greco" (3). Ma cosa intende allora se non il mondo gerarchico nel quale neppure il DIO VIVENTE può più cambiare nulla e dove ai più alti livelli c'erano gli uomini liberi di Atene dei quali Lei sembra ritenersi il successore.
Ora per favore non dica che Lei è, come Gesù, servitore di noi tutti. Questo paternalismo ipocrita lo conosciamo da tempo e lo troviamo insopportabile.

Anche se concordo con Lei sul fatto che una ragione dimentica del senso "è pericolosa per l'umanità" (6) ringrazio tuttavia i miei avi e le mie ave illuminate perché hanno dato inizio "all'auto-limitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant"(5). Il pericolo dell'arbitrio, e qui mi trovo d'accordo con Lei, risiede in quest'altro concetto di ragione proprio dell'illuminismo europeo. D'altra parte proprio l'illuminismo apre alla possibilità di riflettere in modo moderno, al di qua della presunta certezza metafisica, sulla condizione del mondo e sul SENSO DEL TUTTO. Martin Lutero, Immanuel Kant e Adolf von Hamack possono anche aver considerato le donne non diversamente da Lei, loro però, insieme a molte donne istruite, hanno avviato un dialogo al quale oggi partecipo anch'io senza dovermi costantemente opporre all'apprezzamento apparentemente ragionevole secondo il quale sarei destinata a tacere da Dio e dalla natura.
Senza la critica alla ragione dell'Illuminismo che, come Lei giustamente afferma, influenza il pensiero spingendolo sempre più in direzione di una "de-ellenizzazione del cristianesimo"(4), non potrei distinguere tra le interpretazioni datate di determinati pensatori greci e il ragionevole SENSO DEL TUTTO, verso il quale ci muoviamo insieme ogni giorno. Questo SENSO DEL TUTTO, la PIENEZZA di DIO, ci viene incontro di continuo, ci sorprende, ci strappa alle false certezze, rovescia i potenti dai loro troni, ci fa risorgere, e dà alle donne la libertà di nutrire il mondo nel modo in cui è stato loro dato: come madri e come scienziate, come profetesse, mistiche, oppure come sacerdotesse. La FORZA SPIRITUALE di Dio, di questo sono certa, soffia già anche tra le mura del Vaticano. Con leggerezza va oltre
l'immagine del mondo, solo parzialmente ragionevole, degli antichi greci, per venirci incontro nelle vesti di un INTER-ESSE AMOREVOLE dell'uno per l'altro e nei confronti di un mondo pacifico.

Caro signor Ratzinger, anche Lei sembra avere la percezione che "l'AMORE sorpassa la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19)" (4).

Per scoprire lo spirito dinamico della tradizione abramitica, che talvolta si sente nelle Sue parole, c'è bisogno oggi - e ce ne è bisogno per un dialogo fruttuoso tra le culture - innanzitutto di questo: la "de-ellenizzazione del cristianesimo" (4). Inoltre c'è bisogno di un concetto di ragione che nasca radicato in un senso e si trovi comunque al di qua delle speculazioni metafisiche degli antichi greci. Questo concetto di ragione non esiste ancora, ma sta germogliando. Infatti, con l'aiuto di DIO, molti uomini e donne lavorano a questo progetto per il futuro; un esempio tra tutti sono le traduttrici e i traduttori di una nuova edizione della Bibbia in una lingua che tiene conto della differenza [4].
Le sarei grata se volesse rispondermi,
con i miei più cordiali saluti,
Ina Praetorius.

[1] Il 12. settembre 2006 Papa Benedetto XVI tenne un discorso all' università di Ratisbona che ha suscitato un'ampia discussione soprattutto per la sua interpretazione controversa dell'Islam. Il discorso è documentato tra l'altro in http://www.sueddeutsche.de/muenchen/artikel/855/85770/ dokumentiert. I numeri di pagina tra parentesi citati nella mia lettera si riferiscono a questo link della "Süddeutsche Zeitung".
[2] Gerburgis Feld et al. (a cura di), Wie wir wurden, was wir sind. Gespräche mit feministischen Theologinnen der ersten Generation, Gütersloh 1998, 115.
[3] Platone, La repubblica.
[4] Ulrike Bail et al (a cura di), Bibel in gerechter Sprache, Gütersloh 2006.

Traduzione di Daniela Porcu, Valeria Premoli, Martina Romano, Valeria
Sanna, Monica Carù, Claudia Costa, Federica Mauri, Paola Fumagalli, Stefano
Calcagno