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da filo di perle
Donne
di marzo ha ospitato il sociologo francese Alain Touraine che il 15 marzo
in una conferenza ha ripreso i temi del suo ultimo libro Le monde des
femmes (Il mondo delle donne), ancora non tradotto in italiano e pubblicato
nel 2006 da Fayard in Francia. Un libro, frutto di un lungo processo di
ascolto concretizzatosi in gruppi di lavoro e, poi, in sessanta interviste
che hanno consentito un radicamento forte nella realtà femminile
indagata. Giovani ricercatrici hanno permesso un lavoro scientifico che,
tra laltro, intendiamo adottare anche noi in una prossima inchiesta
(dal taglio un po più giornalistico) come redazione del Filo
di perle sul Lavoro necessario delle donne in Campania. Della
conferenza riportiamo una parte del resoconto certe di offrire, a tante
e a tanti, utili elementi di riflessione.
Io sono
una donna
Alain
Touraine
Le premesse
della ricerca
Molti filosofi e tanti sociologi ritengono superati e obsoleti concetti
come attore sociale o soggetto sociale. In questa
negazione si esprime un approccio che impedisce di comprendere quanto
avviene nella società e in quella sua importante parte che è
rappresentata dalle donne. Si tratta di una visione disperante simile
a quella che si affermava quando si negava che esistesse una coscienza
operaia sostenendo che essa non fosse altro che la conseguenza della totale
sottomissione dei lavoratori al capitalismo. Per smentire questa subalternità
e per rilevare lautonomia progettuale della classe operaia, sono
andato ad ascoltare e a rilevare le sue forme di espressione nei luoghi
di lavoro (fabbriche, miniere, catene di montaggio). Allo stesso modo,
per conoscere il pensiero e il vissuto delle donne, sono andato sul campo
a vedere adottando un metodo poco usato e riscoprendo che ciò che
le donne pensano e fanno è diverso (per non dire opposto) da ciò
che si dice dicano o facciano. Ho, abbiamo, ascoltato, donne differenti
fra loro (alle musulmane abbiamo riservato unattenzione particolare
che si è concretizzata in un lavoro complementare). Quando abbiamo
chiesto a quelle che abbiamo incontrato, di presentarsi, tutte hanno detto,
come prima cosa, di essere donne dichiarando come il loro obiettivo principale
fosse quello di costituirsi come soggetto aggiungendo come questa costruzione
del sé, possa avvenire o, fallire, soprattutto nel campo della
sessualità. Anche tra le musulmane abbiamo rilevato questa stessa
rappresentazione di sé pure in un contesto molto più complesso.
Tra gli intenti della mia ricerca non cera quello di parlare delle
donne (che credo non mi competa e non perché pensi che solo il
simile possa studiare il simile), ma quello di dimostrare, in primo luogo,
che le donne sono creatrici di una nuova cultura e, in secondo luogo,
di definire la natura storica e sociale del rovesciamento che esse propongono.
Le donne, agendo come attrici sociali, mettono in luce i loro obiettivi,
i conflitti che le coinvolgono e il desiderio di essere soggetti della
loro esistenza. «Sono una donna»: questa la battuta di esordio
di tutte. Non era solo la risposta a una domanda ma era anche la definizione
di un dato di fatto affermato con un tono che escludeva la possibilità
di definirsi in modo differente, per esempio come vittime (anche se molte
di loro avevano subito violenza e ingiustizie). Un dato di fatto e, insieme,
una volontà di essere che mette al centro della vita un determinato
rapporto con se stesse, la costruzione di unimmagine di sé
come donne. Siamo abituati a leggere e ad ascoltare discorsi elaborati
anche da donne che mettono in rilievo il dominio maschile e auspicano
nuovi diritti. Discorsi prigionieri delle ideologie o delle diverse strategie
politiche in mezzo ai quali si sente una voce affermare «io sono
una donna» che svela una realtà che non si lascia ridurre
a unanalisi obiettiva economica o genealogica. Il presente indicativo
io sono non approva né rifiuta alcuna interpretazione.
Non lo si può classificare né in basso né in alto.
Né a destra né a sinistra. Non è né pro né
contro. È un luogo a partire dal quale la percezione del contesto
risulta diversa da quella proposta dalle analisi basate su fattori che
prescindono dallesperienza delle attrici. Non vi è altro
punto di partenza possibile che lesperienza. «Sono una donna»
significa che intorno alla mia identità si costruiscono i miei
comportamenti e si coagulano i miei giudizi di valore che sono positivi
se rafforzano la mia consapevolezza di essere, in primo luogo, una donna
e, negativi, quando la occultano. Essere donna è unaffermazione
primaria che conferisce un carattere prioritario al rapporto con sé
rispetto a quello con laltro, cioè con luomo. Essere
donna per quelle che abbiamo ascoltato significa che loro esistono innanzitutto
attraverso se stesse e per se stesse e questo vale anche per quelle che
sono consapevoli di trovarsi in una condizione di dipendenza. Le intervistate,
pur non avendo alcun dubbio sulla differenza biologica e sul diverso ruolo
svolto dagli uomini e dalle donne nella riproduzione e pur sapendo quanto
centrale sia il ruolo della sessualità nella costruzione del sé,
affermano che centrale è proprio la soggettività. Non si
tratta di difendere la femminilità come un insieme
di comportamenti tipici delle donne e distinti da quelli degli uomini,
si tratta di avere al centro dei propri interessi un rapporto creativo
con se stesse.
Le donne
di oggi e le femministe di ieri
Queste donne, che sono spesso critiche nei confronti delle femministe,
vivono in una società che è stata trasformata proprio dal
femminismo. Come il movimento operaio si è potuto sviluppare solo
quando gli operai si sono mobilitati per la propria autonomia, così
laffermazione, in senso positivo, del proprio essere da parte delle
donne conferisce loro unelevata autostima e consente loro di diventare
protagoniste della propria vita. Laffermazione di sé come
attrice sociale rifiuta il prevalere di una concezione basata sulla mancanza,
sullalienazione, sullimpotenza. Le donne di oggi diffidano
di una visione esclusivamente negativa e manifestano una certa irritazione
verso il femminismo che sembra loro completamente integrato nel mondo
politico. È evidente che la denuncia generica o generalizzata del
potere maschile è assai diversa dallaffermazione di una coscienza
di sé. Io insisto molto su questo cambio di prospettiva che laffermazione
«io sono una donna» porta con sé, un cambio che non
riguarda solo alcune ma tutte. Le lesbiche dichiarate, per esempio, anche
se poche nel campione che abbiamo studiato, hanno rifiutato di rappresentare
il loro punto di vista particolare e hanno chiesto di partecipare alla
riflessione generale. Così pure le immigrate che, ovviamente, conoscono
i problemi legati allincontro tra islam e occidente, non hanno voluto
rimanere prigioniere di questa tematica. Bisogna ormai riconoscere che
le donne tradizionalmente rappresentate come sottomesse a desideri, regole
o funzioni imposte da altri, sono oggi capaci di agire per soddisfare
esigenze interiori e personali. «Sono una donna», nella sua
ovvietà, è laffermazione radicale di questa conquista
della soggettività da parte delle donne. Nel passato alcuni teologi
dubitavano perfino che le donne avessero unanima. Oggi le donne
sono consapevoli di essere attrici morali, libere, responsabili.
La nascita
della coscienza di sé
«Sono una donna» vuol dire: «Ho il diritto di esserlo
e di attribuire a questa figura il contenuto scelto da me, questa scelta
è una prova della mia libertà, della mia capacità
di definire me stessa, di comportarmi e di giudicarmi rispetto a me stessa».
Io non riesco a rispondere alla domanda che scaturisce da questa prima
constatazione: qual è lorigine di questo capovolgimento,
di questa conquista della società? Tutto il mio libro è
segnato dalla ricerca della risposta a questo interrogativo. So, sappiamo,
che questo capovolgimento non è illusorio, né è leffetto
di una manipolazione. Siamo davvero di fronte a un movimento culturale,
a un evento di massa, che travalica età e classi sociali e che
allude a un cambiamento profondo della nostra cultura. È ovvio
che nessuna ignora che le donne sono subordinate agli uomini e alle funzioni
attribuite loro dalla società conseguenti alla loro natura
ma lidentità che affermano non è solo il rifiuto del
dominio sociale ma è anche e, soprattutto, laffermazione
della soggettività e, quindi, della capacità di pensare,
agire, sperare per se stesse. Le donne parlano poco degli uomini o, comunque,
molto meno del previsto e tendono, sempre meno, a definirsi rispetto agli
uomini, ponendo laccento sulla necessità di spazi e di momenti
separati, non misti. I temi della differenza, delluguaglianza, della
mescolanza, della parità e, ancor più, dellandrocentrismo,
suscitano ancora passioni e discussioni, influenzano i cambiamenti legislativi
o gli ostacoli che a essa si oppongono, ma, sin dal primo incontro con
la parola delle donne, non si può non rilevare la distanza abissale
che sussiste tra tutti questi discorsi, pure importanti, e quello che
abbiamo ascoltato direttamente dalle donne.
Il diritto
alla differenza
La maggior parte dei discorsi che fanno le donne sono progressisti.
Criticano la disuguaglianza e rivendicano il diritto alla differenza.
Questa difesa simultanea delluguaglianza e della differenza ci sembra
il cuore del femminismo. Avremmo potuto chiedere alle donne di esprimersi
su questi grandi temi, invece le abbiamo lasciate libere di parlare di
ciò che volevano registrando una grande distanza tra questi vecchi
dibattiti e i discorsi di oggi. Una distanza che politicamente va rilevata.
Quando le abbiamo invitate a commentare lopinione secondo la quale,
essendo tutti gli esseri umani uguali, prendere delle misure particolari
in favore delle donne equivalga a violare il fondamento stesso delluguaglianza,
hanno osservato che la disuguaglianza tradizionale è presente e
pervasiva. Non tutte si sono espresse a favore delle pari opportunità
che ad alcune appare come un arretramento rispetto a unuguaglianza
completa. Riconoscere la differenza è, per loro, necessario. Pensare
la dualità sessuale, dicono, secondo la formula di Sylviane Agacinski
esige che si resti nella differenza, senza risolverla, pensando lalterità
senza pretendere di ridurla alla similitudine o allidentità.
Ammettere che i generi sono determinati socialmente non può e non
deve portare al rifiuto della differenza tra i sessi. Le donne non ignorano
la condizione di dipendenza che gli è stata imposta, ma oggi si
definiscono con naturalezza rispetto a se stesse. Questa constatazione
è importante per le donne ma anche per il pensiero sociologico
che oggi ha il compito principale di liberarsi di quella vecchia concezione
che lo portava a spiegare i comportamenti individuali e collettivi solo
attraverso lorganizzazione sociale, economica e politica. Per quanto
questo compito sia ingrato, cerchiamo, dunque, di fornire una risposta
sulla natura di questa coscienza di sé che non dimentica la consapevolezza
di esistere anche attraverso gli altri senza, però, farsene distruggere.
La donna riproduttrice, la donna riposo del guerriero, la donna educatrice
dei figli, la donna agente pubblicitario che espone il proprio corpo distrugge
la coscienza che le donne hanno di se stesse a tal punto che è
molto difficile intravedere in queste figure il desiderio di una volontà
di affermazione. La coscienza di sé come soggetto è, prima
di tutto, un dispositivo di protezione contro il sistema dominante. La
donna alla quale vengono imposti doveri e attività di servizio,
si ribella e lotta per salvare la coscienza di sé. Si rivolta e
sa far leva sui diritti allistruzione che ha acquisito grazie alle
femministe. Se si vuole attribuire davvero importanza ai movimenti di
liberazione della donna bisogna considerarli azioni condotte da esseri
liberi, consapevoli della responsabilità che detengono, in primo
luogo, verso se stesse. Il fatto che le donne continuino a essere vittime
di disuguaglianze e violenze, giustifica il perdurare dellattività
di denuncia ma, questa, avrebbe senzaltro più forza se si
basasse sulla coscienza femminile che si sviluppa nei territori liberati.
Il ruolo
delle lesbiche
Le donne si definiscono come tali ancor più quando sono lesbiche.
Le lesbiche, più che i gay, affermano limportanza della distinzione
uomo/donna rispetto a quella omosessuale/eterosessuale. Potremmo aggiungere
che limmagine dei gay prevale su quella delle lesbiche e che luomo
omosessuale viene descritto in termini classici maschili, mentre le donne
omosessuali vengono descritte come simili alle non omosessuali e più
stabili degli uomini nelle relazioni amorose. Uno dei punti di forza dellidea
del matrimonio gay è che immette luomo in un universo affettivo
che sembra essere quello delle donne privandolo, però, di una peculiarità
dei gay che ne ha consolidato linfluenza: la trasgressione, il gusto
del rischio e, anche, la sessualità brutale. Lessere lesbica
non è un rifiuto dellidentità femminile, che, anzi,
viene rafforzata dalla creazione di uno spazio esclusivo non misto per
le donne. Omosessuali o meno le donne si definiscono, prima di tutto,
come donne mettendo questo elemento identificativo davanti a tutti gli
altri: professione, nazionalità o altro. Questo spiega perché,
pur avendo i gay svolto un ruolo importante nelle azioni a favore della
libertà sessuale, siano state le lesbiche a spingere più
in là le riflessioni sulle donne e sullinsieme di un movimento
di liberazione che ha coinvolto tutte le categorie e tutte le pratiche
sessuali. Le lesbiche, come i gay, non possono essere considerate un terzo
o un quarto sesso. Essere lesbica non è una natura. È unesperienza
personale, oggetto di giudizi sociali, in genere, sfavorevoli, come accade
per tutte le condotte sessuali che separano il piacere dalla riproduzione.
Proprio perché sfuggono a questo ruolo riproduttivo le lesbiche
hanno svolto una funzione così preponderante nella decostruzione
della definizione di donna rispetto alluomo. Le lesbiche, pur rifiutate
e private di soggettività, si definiscono come donne soggetto di
unesperienza forte tanto da essere rivendicata come un diritto.
Rossella
del Prete racconta lesperienza di studio e di riflessione avviata
dallUniversità di Benevento sul tema delle pari opportunità;
le insegnanti di scienze della Federico II di Napoli sottolineano carenza
e discriminazione che subiscono le donne nelle professioni scientifiche.
Due aspetti, due punti di vista sul problema del deficit di presenza femminile
significativa in alcuni luoghi. Noi del Filo pensiamo e guardiamo da un
altro punto di vista la collocazione delle donne. Preferiamo registrare
il desiderio di partecipazione e lavorare su di esso per conoscerne la
fisionomia. Il problema non ci sembra infatti la scarsa presenza delle
donne nei luoghi di comando (che ci appare, senza facili schematismi,
conseguenza inevitabile di una società che discrimina), ma ci interessa
ricostruire gli itinerari di partecipazione, le acquisizioni che le donne
raggiungono nel loro rapporto con il lavoro, i problemi che ancora pone
linteriorizzazione di ruoli subordinati e di stereotipi limitanti.
In sintesi e con un tono un po provocatorio ci domandiamo: a che
serve stare nei luoghi della decisione politica e istituzionale se non
si toccano alla radice le ragioni di quei luoghi? Nellultimo numero
della rivista milanese Via Dogana, le redattrici registrano
la presenza di donne nella loro città ai massimi livelli. Sindaco
a Milano è Letizia Moratti. Presidente della Confindustria lombarda
è Diana Bracco. Leader dellopposizione del centro sinistra
è Marilena Adamo. Segretaria della Cgil lombarda è Susanna
Camusso. Presidente del Tribunale è Livia Pomodoro. Questa presenza
è figlia ambigua del femminismo. Ambigua perché da esso
deriva ma di esso non porta totalmente il segno. Particolarmente pertinente
ci sembra il commento di Lia Cigarini e Luisa Muraro che così scrivono:
« [
] questa mutata situazione della realtà domanda
uno sguardo nuovo e un senso di grandezza. Ci vuole uno sguardo acuto
e ingenuo, perché si sa che il nuovo, paradossalmente, risulta
invisibile a chi usa parole e criteri già fatti. Alla ripetitività
dellormai trito discorso della parità, che coltiva il rivendicazionismo
e non mobilita le risorse sorgive, si aggiunge loggettiva difficoltà
di raccontare la realtà che cambia quando il soggetto agente è
una donna, perché una donna, ha modi di agire non appariscenti
perché non seguono le forme più note e raccontate. Ci serve
un linguaggio che non faccia a pezzi, involontariamente, quello che le
donne, a cominciare da noi stesse, non separano (carriera e vita affettiva,
per esempio) e restituisca così allagire femminile il suo
segno».
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