Libreria delle donne di Milano

21 Novembre 2009

Proponiamo la presentazione e l'intervista alla regista Marina Spada,
realizzate da Luciana Tavernini, in occasione di OMAGGIO AD ANTONIA
POZZI POETESSA E FOTOGRAFA (Milano 1912 -1938) nell'ambito della VI
edizione de Il giardino delle muse. Viaggio nell'universo creativo
femminile, realizzata dal Comune di Corsico, dalla Civica Scuola di
Musica e da Comteatro dal 9 al 24 maggio a Corsico.
Nella serata del 12 maggio è stato proposto un teaser dell'ultimo
film di Marina Spada Poesia che mi guardi, presentato il 9 settembre
2009 alle Giornate degli autori della Mostra internazionale d'arte
cinematografica di Venezia e si parlato con la regista di Antonia
Pozzi e della poesia, del film, del suo lavoro e dei suoi progetti.

Presentazione della regista Marina Spada
a cura di Luciana Tavernini

Vi presento Marina Spada, regista conosciuta soprattutto per l'ultimo
film Come l'ombra, presentato nel 2006 ai festival di Venezia e di
Toronto, che ha vinto e continua a vincere, sia come film che per la
regia, numerosi premi in Italia e all'estero: a Bobbio e a Foggia, al
Festival du Cinéma Méditerranéen di Montpellier, ai festival
internazionale dell' Uruguay e dell'Argentina, al festival di Ajaccio
e, quest'anno, ai Rencontres du Cinéma Italien a Toulouse.

Insomma un film che ha suscitato grande interesse per l'originalità e
purezza delle immagini e per la novità del soggetto, dove una storia
privata con al centro due donne ci permette di entrare nella Milano
della quotidianità e della nuova immigrazione.

Caratteristica dei film della Spada è quella di restituire il senso
degli incontri che accadano in ogni vita e costituiscono una nuova
nascita, se sappiamo riconoscerli e dar loro credito.

Marina Spada ha infatti alle spalle un ormai quasi trentennale lavoro
nel campo cinematografico: ha iniziato nel '79 come assistente alla
regia in RAI e in film, come quello di Benigni e Troisi Non ci Resta
che Piangere.

Negli anni '80 ha collaborato con le principali case di produzione
pubblicitaria e diretto numerosi documentari e servizi televisivi.

Da metà degli anni '90 alterna il lavoro di docente presso la Scuola
di Cinema di Milano con l'attività di regista.

Tra i suoi lavori ricordo i videoritratti di Arnaldo Pomodoro,
Fernanda Pivano, Francesco Leonetti, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice,
Mario De Biasi, il cortometraggio L'Astice, con cui ha vinto numerosi
premi, e il lungometraggio Forza Cani del 2002, una delle prime
esperienze di produzione indipendente e digitale realizzate in Italia,
che abbraccia con uno sguardo attento le giovani generazioni della
Milano delle periferie e dei centri sociali. Marina è una donna che sa
stare tra i giovani e promuovere le loro capacità, in un impegno a
cogliere i mutamenti dell'umanità viva della città e a dare un
contributo al cambiamento, come ha fatto nell'ultimo cortometraggio La
stanza di Glo, realizzato dalla sua équipe per la Casa delle donne
maltrattate di Milano, nell'ambito del progetto di sensibilizzazione
presso le scuole.

Vedremo fra poco alcune scene del film su Antonia Pozzi, Poesia che mi
guardi ma prima vi accennerò a qualcosa che lo ha reso possibile e
ad alcune caratteristiche che accomunano la biografia scritta da
Graziella Bernabò e il film di Marina Spada.

Sono stata infatti testimone indiretta del loro incontro avvenuto
grazie a Nilde Vinci dell'Associazione Lucrezia Marinelli[i], che dal
1989 documenta e promuove film a regia femminile e cura ogni mese la
presentazione di un film e di una regista presso il Circolo della rosa
- Libreria delle donne di Milano. Nilde che conosceva il desiderio di
entrambe di un film sulla Pozzi e ne ha parlato a Graziella in
occasione del conferimento del premio Rosa Camuna della Regione
Lombardia alla memoria della poeta Gabriella Lazzerini, che aveva a
lungo partecipato all'Associazione di donne di Corsico Galassia e di
cui Graziella ed io avevamo curato un'antologia.
Forse che a Corsico venisse organizzato una serie di incontri proprio
sulla Pozzi non è un caso.

Vorrei ora mettere in luce 4 elementi che rendono, secondo me,
particolarmente interessanti e innovativi biografia e film.
In entrambi seguiamo lo svolgersi della ricerca, incontriamo i
documenti, e l'interpretazione proposta è guidata dall' l'empatia, una
forma complessa della conoscenza come ci insegna la filosofa Laura
Boella[ii] che riprende diverse pensatrici (da María Zambrano a Edith
Stein a Hannah Arendt e altre), dove il mettersi nei panni altrui non
è mai sovrapporsi ma, utilizzando l'immaginazione, diventare capaci di
vederne e mostrarne la vita, lasciando che colui o colei di cui stiamo
parlando resti una persona e non diventi personaggio, non resti dunque
imprigionato nella nostra interpretazione. Non troviamo dunque
l'oggettività asettica, a volte mortifera, in cui chi ricostruisce le
vicende finge di non esserci e neppure l'immedesimazione/proiezione
con cui si fa diventare simile a noi la persona di cui si parla.
In entrambi, biografia e film, si mostra il contesto relazionale,
sottolineando le figure femminili, familiari e amicali; non si dà a
intendere che la protagonista fece tutto da sola ma, come la sua fu
una poesia e una fotografia dell'incontro con le persone e le cose, si
presentano quegli incontri che hanno determinato svolte significative,
io direi una rinascita, cioè il porsi in contatto con la propria
origine e ricominciare a pensare il mondo.
Un terzo elemento è l'attenzione al problema del prezzo che paga una
donna quando desidera interloquire, restando fedele a se stessa, con
un mondo, come quello accademico, fortemente connotato da un simbolico
maschile, che si considera universale e di cui ora sappiamo la
parzialità, incapace allora di cogliere l'originalità di un sentire
fedele all'esperienza dell'essere donna giorno dopo giorno, un
pensiero espresso in poesia con impegno e rigore perché è in gioco
la possibilità di stare sensatamente al mondo e di modificarlo.
Infine sottolinerei l'amore per la poesia considerata un linguaggio
necessario per cogliere la realtà e restituircene il senso al di là
del chiacchiericcio, ad esempio di tanta stampa e TV, che invece ci
fanno vedere un falso sfavillio che a volte ci stordisce. Nella
biografia la grandezza della Pozzi ci viene mostrata proprio
dall'analisi attenta dei suoi testi che riusciamo così a godere nella
loro profondità, nell'apertura all'altro, nella capacità di "rubare
l'anima alle cose" .
Marina Spada, non solo ha usato versi di poesia per intitolare i
suoi film precedenti, (Forza cani da Nanni Balestrini e Come l'ombra
da Anna Achmatova) ma nel primo uno dei protagonisti inchioda versi
sulle pareti della sua stanza in una fabbrica dimessa e nel secondo la
protagonista legge la raccolta della poeta russa, perché già scontato
e i versi finali di A molti (1922) chiudono il film.

Inoltre le inquadrature dei suoi film hanno la necessità e il rigore
dei versi di una poesia: così devono essere, nulla si può aggiungere
né levare. Come per le poesie e le fotografie della Pozzi c'è un
incontro tra realismo e simbolismo. Sono il risultato di una grande
conoscenza tecnica e di un costante e impegnativo lavoro di precisione
per restare fedeli a sé e alla realtà in uno sforzo continuo per
vederla e mostrarla, non facendosi sviare dal rumoroso e luccicante
già detto, già visto.


[i] L'Associazione Lucrezia Marinelli, che ha sede a Sesto San
Giovanni (Milano), è composta da sette donne che hanno scelto di fare
politica usando gli strumenti offerti dal pensiero della differenza,
quale viene studiato, approfondito e diffuso dalla Libreria delle
Donne di Milano, e dal cinema realizzato dalle registe. Tra le molte
iniziative segnalo il ricchissimo centro di documentazione e
l'aggiornato sito http://www.lucreziamarinelli.org/index.html.

[ii] Laura Boella, Sentire l'altro. Conoscere e praticare l'empatia,
Cortina, Milano 2006

Intervista a Marina Spada a proposito del film Poesia che mi guardi sulla poeta Antonia Pozzi

Corsico 12-5-09

Luciana Tavernini

Puoi introdurci alla visione di questo "assaggio" del film sulla Pozzi?

Quello che vedrete è un cosiddetto teaser e dura 7 minuti perché il
film sta partecipando alle selezioni di vari festival e deve essere
inedito. Ma l'interesse per la Pozzi è crescente e molti chiedono di
vedere delle cose e perciò ho montato questo piccolo pezzo.

Ho voluto fare questo film essenzialmente per dare giustizia a lei:
sono passati settanta anni dalla morte, ci sono voluti moltissimi anni
perché lei fosse riconosciuta. Si deve moltissimo a suor Onorina Dino
che, da quando era giovane, si è dedicata a far conoscere l'opera e
la grandezza di Antonia Pozzi, facendo un lavoro filologico enorme
da sola. E questo è già miracoloso in sé.

Luciana ha parlato dell'incontro con l'altro e il cinema è fino in
fondo incontro con l'altro. Il cinema non si fa da soli, si fa con una
marea di gente: chi fa fotografia, chi porta i panini, chi lucida il
tavolo, chi mette la lampada, chi porta via quello che urla perché gli
son venuti i nervi, gli attori.

Io ho capito che in fondo faccio questo lavoro perché mi piace
scambiare, nel senso che, se tu rimani solo con te stesso, diventi
l'imperatore del tuo mondo, ma il mondo fuori è un'altra cosa.

L'incontro con Antonia Pozzi è stato uno degli incontri più importanti
della mia vita perché mi ha cambiata. Fare film cambia se ti vuoi far
cambiare. Io faccio questo lavoro proprio per essere cambiata nel fare.

Che caratteristiche ha "Poesia che mi guardi"?

Sono molto contenta di questo film, è quello che volevo, ci abbiamo
messo tre anni. Questo film ha valore al di là della mia persona
perché ad esempio ci sono i filmati inediti dell'archivio Pozzi in cui
c'è Antonia. Me li ha dati Suor Onorina Dino e sono completamente
inediti. Quindi nel film non c'è un' attrice vestita da Antonia Pozzi
che si muove: c'è Antonia Pozzi. Non volevo togliere valore a questo.
Ho cercato di fare un lavoro onesto senza sovrappormi anche se ho
dato un'interpretazione. Già il titolo la

dice lunga: "Poesia che mi guardi" è il titolo di una sua poesia che
ha a che fare anche con me che lavoro sullo sguardo.

Nel film volevamo fare un'opera di vita, non di morte, e quindi
abbiamo fatto un'opera di aggiornamento e di necessità nell'oggi della
poesia. Questo film è il risultato di una serie di miracoli. Per
esempio, dopo due anni di scrittura è venuta Simona Confalonieri ad
aiutare me e Marella Pessina. Lei vive a Pavia e ha visto per la città
i manifesti con le poesie degli H5N1

Abbiamo guardato su internet il loro sito e il loro riferimento
cinematografico per la poesia di strada era il mio primo film "Forza
cani". Quindi ho pensato: sono loro. Ci siamo messe in contatto, ci
siamo visti.

Perché gli H5N1 ti hanno colpito?

Perché loro fanno ciò che Antonia non ha fatto. Antonia non faceva
leggere le sue poesie perché si vergognava, non si sentiva apprezzata.
Era un periodo storico in cui la poesia non era molto apprezzata,
erano i fantastici anni Trenta in cui spiravano venti di guerra, in
cui vi era la grande rimozione del soggetto umano, per cui in
letteratura veniva apprezzato, nell'ambito in cui lei si collocava -
cioè la scuola banfiana milanese- per lo più il romanzo storico perché
adatto a rappresentare la crisi, mentre la poesia era considerata
limitata rappresentazione del proprio ego. Antonia in questo e per
questo aveva delle remore. Io l'avvicino alla figura di Frida Khalo,
grande pittrice messicana, che nelle sue opere racconta la sua vita,
il suo quotidiano, come in un diario per immagini. Le poesie di
Antonia sono un diario in poesia, di ciò che pensa, vede. La poesia
vive perché nasce dall'immagine, la poesia dà immagine. Per un
regista, almeno per me, è l'immagine stessa che crea poesia; inoltre
lei è stata una grande fotografa. Io ho fatto undici ritratti video di
grandi fotografi italiani quindi Antonia è dentro il mio percorso.

Com'è nato il tuo interesse per la Pozzi e l'idea di realizzare il film?

La prima persona che mi ha parlato di Antonia Pozzi è stata la mia
psicanalista (ho fatto dieci anni di analisi). Anche lei è poetessa.
Io avevo appena finito di fare il mio lungometraggio "Come l'ombra" e
non volevo entrare nello strano meccanismo del sentirsi obbligati a
farne subito un altro. Io vivo grazie allo stipendio della Scuola di
cinema, un modesto stipendio da insegnante, ma che mi permette di
decidere; posso scegliere i film da girare, se decido di girarli e se
ha senso che li giri Ho potuto, così, ribaltare il meccanismo e fare
un altro tipo di lavoro su Antonia Pozzi, che mi è stato proposto
dalla sua biografa, Graziella Bernabò, che mi ha telefonato su
consiglio di Nilde Vinci dell'Associazione Lucrezia Marinelli; dopo di
che ci siamo incontrate. Ero già stata alla Libreria delle donne di
Milano a cercare i libri, poi tutto era stato tutto un po' sospeso per
il grande boom che ha fatto Come l'ombra. Mi sono trovata a frullare
in giro su aerei per il mondo come un pacchetto con appresso le poesie
di Antonia Pozzi. E' un grande miracolo tutto questo. Mi sono trovata
in una situazione strana: quando d'improvviso ti si accendono i fari
addosso è una situazione non bella perché tutto acquista una carica
eccessiva, non sana. Per cui tutti mi dicevano - sei contenta che sei
stata a Venezia?- e io scoppiavo a piangere, mi è venuta la
depressione per sei mesi. Io faccio questo lavoro perché mi piace
farlo e imparo delle cose, facendolo, e quindi ho trovato un miracolo
che Antonia Pozzi mi abbia pescata e mi abbia detto - tirati fuori da
quel circo Barnum e facciamo dell'altro, leggiamo le poesie - .

Oltre ad Antonia Pozzi, quali sono le protagoniste e i protagonisti
del film?

Dunque ci sono due ragazzi e una ragazza e c'è Maria, l'attrice coi
capelli biondi, che fa me, nel senso che pone ai ragazzi le domande
che ho posto io ad Antonia, a suor Onorina, a Graziella, agli H51N1
perché ho lavorato a stretto contatto con tutte queste persone. Io non
ho voluto fare un'opera di invenzione sulla sua vita fantasticando di
storie strane su presunti amori e altro perché non sono vere. Sarebbe
stato facile fare dello scandalismo su una donna di famiglia ricca,
borghese, negli anni Trenta che muore suicida in maniera poetica,
sdraiandosi, piena di sonniferi, davanti all'abbazia di Chiaravalle.
Volevamo invece fare un'opera di giustizia sulla sua vita ma,
soprattutto, sulla sua opera che risente ovviamente anche della sua
vita. Per cui in primo piano in questo lavoro c'è la sua poesia.

Milano ha una grande importanza nei tuoi film ed anche in questo. Sei
d'accordo?

Sì, Milano è sicuramente un altro personaggio del film. Io giro senza
meta per Milano guardandola, e spesso e volentieri, per scelta,
Milano diventa un personaggio dei miei film. C'è stata la volontà
filologica di andare a ritrovare tutti i suoi luoghi come erano
allora: la casa dove abitava Antonia Pozzi, il Liceo Manzoni, dove ho
girato nella parte dell'istituto che esisteva quando lei lo
frequentava, perché, dopo la guerra, ne è stato costruito un nuovo
pezzo. Oppure il palazzo dell'Università dove insegnava Antonio Banfi,
che non è lo stesso dove ha sede l'Università Statale oggi. E'
diventato tale solo dopo la seconda guerra mondiale. Banfi, allora
insegnava al secondo piano dell'edificio all'angolo tra Corso di Porta
Romana, allora corso Roma , e via Rugabella, il famoso palazzo di
Milano dove, fino a poco tempo fa, c'erano i vigili e si andavano a
prendere i certificati elettorali se non arrivavano a casa. La mia
produttrice, Renata Tardani, ha cercato di avere i permessi, ma il
palazzo era inagibile perchè comprato da una banca ed in restauro. Non
ho potuto fare altro che riprendere dall'esterno le finestre del
secondo piano.

Quando la sceneggiatura mi è sembrata a posto, sono andata a parlarne
con suor Onorina e Graziella Bernabò perché volevo un'approvazione che
non è dovuta ad insicurezza ma dal fatto che stavamo facendo un'opera
che volevo avesse un senso profondo e che volevo condividere. Mi sono
trovata molto bene a discutere con loro perché mi hanno dato molti
spunti, hanno sottolineato degli aspetti, quindi il film l'ho sì fatto
io, ma è il risultato dell'incontro di tutte le persone che ci hanno
lavorato con me.

Quali problemi vi sono stati nell'accostare immagini e poesie? Nella
mostra qui a Corsico sono state accostate alcune fotografie scattate
da Antonia ad alcune sue poesie, tu come hai proceduto?

Avete visto le aule del Liceo Manzoni, sul cui sfondo veniva letta
la poesia Canto della mia nudità, scritta nel '29 quando lei era al
liceo ed era iniziato il suo innamoramento per il suo professore di
latino e greco. E' una poesia scritta sull'onda della sua adolescenza:
quella che io chiamo l'ormone selvaggio. Non avrei mai messo l'attrice
nuda davanti allo specchio. Sarebbe stato facile, quello mi viene già
detto dalle parole. Ho preferito andare nel luogo che le ha suggerito
quei sentimenti.

Ci hai parlato già del rapporto con i giovani del film ma anche nei
film precedenti tu hai dimostrato attenzione alle giovani generazioni.
Anche qui li poni al centro. Vuoi parlarcene

Anche Antonia è giovane, muore a ventisei anni, forse è per questo. Io
cercavo una strada per il film e non la trovavo e non mollavo finché
non l'avessi trovata. Ero furente perché lei si era ammazzata, ero
davvero inferocita con lei. Il suicidio è sempre un fatto che mi
scuote moltissimo: quando sei così sensibile, intelligente,
talentuosa e ti volti intorno e vedi una mediocrità sconvolgente, non
è facile. Io sono convinta che, se Antonia Pozzi avesse tenuto duro,
sarebbe entrata nella Resistenza e si sarebbe confrontata con una
realtà che sarebbe andata al di là di quella in cui era costretta a
vivere. Stiamo parlando degli anni Trenta, quando le donne erano
considerate da educare tramite la maternità. Io non ho avuto figli e
mi occupo dei figli degli altri. Sarebbe conclamata come una delle
voci più grandi del Novecento. Lo si sta capendo solo da qualche anno,
è rimasta nell'ombra per molto tempo perché è una donna, perché il
padre ha fatto un'operazione censoria sulla sua persona e sulle sue
opere. Col senno di un'adulta capisco anche che il padre ha cercato di
proteggerla dai pettegolezzi di un ambiente ristretto. Conosco una
donna di una novantina d'anni che si era iscritta all'Università ed è
stata allieva di Banfi dal '40 in poi, e lei mi ha riferito che
Antonia era già morta da due anni e si continuava a spettegolare
sulla faccenda. Ma certo questa censura non ha giovato alla sua opera.

Hai incentrato i tuoi ultimi due film su figure femminili, hai
mostrato un protagonismo femminile e la forza che hanno le donne di
relazionarsi sia tra loro che con gli uomini.Questo per te è una
novità o è una consapevolezza che hai avuto da sempre? Anche il tuo
prossimo film è su delle donne del passato, del Medioevo. La ricchezza
del mondo femminile, anche del passato, che tu proponi che significato
ha avuto per te e che significato pensi abbia per il pubblico?

Ho in programma due film. Uno sulle teologhe medievali perché nel
Medioevo c'è stato un grande movimento teologico femminile, rimosso
dalla Storia. Forse qualcuno ha sentito parlare delle Beghine, ma
oggi di loro arriva solo un'immagine dispregiativa; mentre, per
esempio, Giovanna d'Arco fu influenzata proprio da quell'ambiente.

L'altro ha un titolo dei miei, molto "di mercato": Metafisica per le
scimmie. E' un lungometraggio su una donna quarantacinquenne che fa
formazione aziendale, insegnando a usare la filosofia per manipolare.

Perché racconto le donne? Perché sono contraria alla sparizione delle
donne dalla Storia. Io intendo il mio lavoro come testimonianza e
quindi vado a testimoniare ciò che scopro. E poi le donne sono più
interessanti. Vorrei tanto trovare un uomo che mi interessi a livello
intellettuale, che mi dica cose che non so e non lo trovo. Trovo
essenzialmente delle donne che mi insegnano qualcosa. L'ho sempre
saputo ora comincio anche a dirlo.

Vorrei informazioni sull'Archivio Antonia Pozzi.

Suor Onorina Dino è la curatrice dell'Archivio perché la famiglia
Pozzi ha lasciato negli anni Sessanta la memoria di Antonia in eredità
alle suore Preziosine. Il materiale è stato ben conservato ed è
accessibile su autorizzazione di suor Onorina. Per fare il film sono
stata chiamata dalla biografa ufficiale , Graziella Bernabò, e sono
andata da suor Onorina perché, curando l'Archivio da quarant'anni,
poteva darmi molte informazioni interessanti. Suor Onorina Dino,
quando era una giovane studentessa di lettere nonché aspirante suora,
ha conosciuto Lina Cavagna Pozzi, la madre di Antonia, e si è laureata
con una tesi sulla poetessa. Ha raccolto dalla voce della madre la
testimonianza su ciò che era Antonia, e la sua è l'unica voce che sa
davvero. A Pasturo esistono la casa e la camera di Antonia, com'era
allora (i quaderni, i libri postillati, gli album di fotografie ecc.)
e spesso la casa è aperta per i visitatori. Per maggiori informazioni
si può visitare il sito internet: www.antoniapozzi.it.

Pensando ad altre poetesse, schiacciate dal loro ambiente, mi è venuta
in mente Silvia Plath. Anche voi avete avuto questa suggestione?

Non c'è solo la Plath perchè, purtroppo, le poetesse suicide sono
tante. Penso ad Alfonsina Storni, morta suicida in Argentina nel '38,
lo stesso anno di Antonia. Per una donna seguire un suo percorso
artistico è molto difficile, soprattutto se non sei nel coro e non
celebri il potere imperante negli anni Trenta, come adesso per altro.
Vi sono anche somiglianze tematiche tra la Plath e la Pozzi.

Come mai avevi scelto la Ghiaurov come attrice che non assomiglia né a
te né ad Antonia?

L'ho scelta perché l'ho vista a teatro e mi è piaciuta. E' un'attrice
molto ieratica. Vado spesso a teatro per vedere gli attori perché fa
parte del mestiere.

Nel film viene usato il termine "imperdonabile"che era stato proposto
da Cristina Campo ma che Laura Boella ha riferito anche a Etty
Hillesum, Simone Weil e ad altre grandi donnne. Che cosa significa
"imperdonabile"?

Imperdonabile è colei che non è in sintonia con le categorie
dominanti nel tempo in cui vive, che è più moderna; e Antonia Pozzi è
estremamente moderna e quindi è imperdonabile. Se non ti uniformi non
sei perdonato.

Ci hai detto che il film ti ha cambiato? Che cosa si è modificato in te?

Si è approfondito. Quando hai a che fare con le parole di una poeta di
questa grandezza, non puoi permetterti di essere superficiale: devi
misurare bene le immagini che fai e perché le fai. Devi darti dei
paletti entro cui stare con grande coerenza. Devi fare un servizio a
lei non a te. Devi tenere sotto controllo il tuo narcisismo, capire se
quello che stai facendo è autocompiacimento o davvero serve a quello
che racconti. Ad esempio, io odio la poesia "Il bambino finto" perché
non condivido questo dolore che lei ha avuto, mi innervosisce che lei
sia stata così male. Ma ho il dovere di essere onesta e calarmi nei
suoi panni: devo essere al suo servizio, non al mio.