Libreria delle donne di Milano

Marzo 2002
Il fascino indiscreto della politica prima

Stefano Sarfati Nahmad

Partecipo alla vita politica della Libreria delle Donne e la mia breve storia politica è tutta dentro questa esperienza che consiste più che altro nel mettere in pratica nella mia vita quotidiana il frutto di 25 anni di lavoro politico delle donne della Libreria, un frutto che tuttora è in evoluzione proprio sul versante che mi riguarda maggiormente, donne e uomini nell'ordine simbolico della madre: io per esempio posso tollerare la disapprovazione di tutti gli uomini della terra se ho però l'approvazione di alcune donne.
In modo apparentemente distaccato da questa pratica politica ho firmato appelli e ora anche partecipato a una manifestazione per il ritiro israeliano dai territori occupati, la nascita dello stato palestinese, eccetera.
L'idea di partecipare a questa manifestazione in quanto ebreo me l'ha data, sebbene in un modo sfumato, Luisa e io l'ho proposta al gruppo di ebrei con cui sono in contatto che hanno immediatamente riconosciuto il senso di questa cosa e quindi accettato.

Il gruppetto di ebrei che partecipa alla manifestazione è composto da:
Stefania di Ancona, 56 anni portati con simpatia, look sessantottino, già volontaria in Africa, con un figlio;
Giorgio di Milano, 70 e passa anni, ex staffetta partigiana (aveva 14 anni), professore universitario;
Francesca, 38 anni, di Roma, lavoratrice part-time, una ragazza incerta, ma quando c'è da esserci c'è;
Claudio, di Roma più o meno stessa età di Francesca;
Marina, di Roma, più o meno stessa età di Stefania, lavora con i tossico-dipendenti e non riesce a smettere;
Paolo, di Roma, professore universitario sui settanta che è arrivato col fratello elegantino;
Valeria (il padre è ungherese), di Milano, più o meno l'età di Marina e Stefania;
Lia, fiorentina, della generazione di Stefania, Marina e Valeria, sintetica anche nei modi e nella figura, partecipa col compagno palestinese e il loro figlio minore (la maggiore avendo un conflitto);
io, che sto tutto il tempo sul fianco sinistro del corteo;
Sveva, romana, 36 anni, carattere dominatore, attaccata al palo centrale dello striscione fino a diventarlo, con un'utilissima esperienza di pratica politica nel sindacato. Il primo appello era stato organizzato da lei e la maggior parte dei partecipanti sono suoi contatti. Anche questa volta il suo lavoro organizzativo è stato decisivo, per esempio trovando la formula sullo striscione: ebrei contro l'occupazione (la versione italiana dello slogan internazionale) e poi concordando la nostra presenza nel corteo con i palestinesi e anche la nostra ubicazione: proprio dietro di loro. Quando srotoliamo il nostro striscione si crea subito un po' di tensione e un palestinese massiccio ci impone una distanza di sicurezza di almeno 10 metri dal gruppo palestinese. Lui resta vicino a noi in qualità di protettore. Nel corso del corteo non ci mollerà mai, terrà sempre una bandiera palestinese a sventolare sopra il nostro striscione, occuperà la posizione immediatamente a sinistra di Sveva. Solo dopo, con le interviste rilasciate a ogni pie' sospinto, capisco che il suo gioco è di fare il palestinese laico che vuole il dialogo con gli ebrei.

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Il corteo parte: il partigiano Giorgio si è già perso, Lia è al bar col figlio incontenibile, Marina non si sa, l'ilare Stefania è vicino a me e gli altri nelle vicinanze.
Intanto che camminiamo cominciano le chiacchiere visto che per la maggior parte non ci eravamo mai visti di persona e così i primi applausi non vengono notati e invece ci sono e sono proprio diretti a noi, sono tanti piccoli episodi ma sono continui.

Alla fine cedendo alle lusinghe della notorietà rispondo alla Zambrano dell'Unità e a una bella e mora giovane giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno che mi dice voi siete come i soldati israeliani obiettori di coscienza, vero? Io dico no, non centra, il senso nostro è di scavalcare il senso di colpa che paralizza gli europei e dire chiaramente una cosa che pensano tutti. A metà corteo giunge Neta Golan (un altro contatto di Sveva), attivista pacifista israeliana, appena scesa dall'aereo che è stata invitata a parlare sul palco alla conclusione del corteo e ora sta verificando con Sveva il suo discorso. Dopo un po' mi presento e rompo il ghiaccio facendo il nome di Amira Haas: anche lei, dice, vive a Ramallah ma non hanno mai il tempo per parlarsi. Come la maggior parte degli israeliani è seria ma non molto simpatica. Nel frattempo si è aggregata un'altra israeliana sui 45-50 anni, con una bella testa riccia nera e un cartello con una scritta contro il governo israeliano in ebraico da un lato e in italiano dall'altro. Poi arriva anche una giovane ragazza ebrea romana del ghetto che dice che aveva visto il nostro appello per questa manifestazione ma non sapeva come trovarci e vorrebbe partecipare alla nostra attività. Lei crede nel dialogo e vuole proporre alla rivista ufficiale della comunità di Roma di pubblicare in ogni numero la traduzione di un articolo di Haaretz come testimonianza di posizioni non acritiche nei confronti del conflitto israelo-palestinese. Le do il mio indirizzo e-mail. Ma ecco ormai in vista piazza Navona, l'arrivo. Appena il nostro striscione si affaccia sulla piazza ancora per metà vuota parte uno scroscio di applausi che quasi mi vengono le lacrime e mi sento un po' Mosè con in più il vantaggio di arrivare a destinazione. Un signore sdentato mi dice ma voi rispetto alla posizione della comunità ebraica romana come vi ponete, perché le dichiarazioni ufficiali erano piuttosto ostili. Io dico non lo so, sono di Milano comunque è vero, noi non rappresentiamo la comunità. Intuisco che una parte degli applausi è dovuto anche a questo: tanto più le reazioni dell'ebraismo ufficiale sono stizzite, tanto più il nostro gesto colpisce e suscita un'ammirazione che ha a che fare con un coraggio un po' cinematografico o letterario. In realtà credo che ormai siano proprio gli "ufficiali" a essere nella posizione più scomoda, dato che stanno andando verso un vicolo cieco.
Si sentono i vari discorsi sul palco ma prima che finiscano, io e la fida Francesca, che mi ospita, andiamo al ghetto perché ci è giunta la voce che è tutto blindato e in assetto difensivo. La piazza centrale è piena di manifestini con la bandiera israeliana e la scritta: Siamo tutti con Israele. Decine di ragazzotti muscolosi stazionano e parlano con la radiolina.
Da li andiamo a casa di Maxi, un mio amico di Milano che lavora a Roma ma che non ha voluto venire alla manifestazione. Lui tira fuori della palinka fatta in casa da contadini rumeni e mentre fa conoscenza con la mite Francesca io mi prendo una sbronza colossale. Tuttavia il mattina dopo, con la sempre più divertita Francesca, rivediamo Maxi in piazza S. Maria in Trastevere (capuccino e cornetto caldo) e sfogliamo i giornali. Liberazione: foto del nostro striscione in prima pagina con la timida Francesca che regge il palo sinistro. L'Unità: mezza pagina sulla manifestazione, gran parte dell'articolo sugli ebrei contro l'occupazione. Il Manifesto idem come sopra. Il Corriere invece dice che vicino a noi c'erano persone che bruciavano bandiere israeliane e urlavano ebrei nazisti, come per togliere senso alla nostra partecipazione. Se ne vadano cagare, stronzi (il fallico che è in me). La prima reazione è di mandare una smentita ma mentre Sveva mantiene il desiderio io cambio idea. Sono, come dire, pago. Ultimo tramezzino con Stefania e la tenera Francesca, che come se non bastasse mi accompagna in macchina alla stazione. Ho ancora mezz'ora e mi viene in mente di comprare la Gazzetta del Mezzogiorno. Articoletto sulla manifestazione che segnala la presenza di ebrei contro l'occupazione: … come dice Stefano "noi siamo come i soldati israeliani che si rifiutano di prestare servizio". Vatti a fidare delle more.