|
aprile 2012 Architetture
del desiderio, a cura di Bianca Bottero, Anna Di Salvo, Ida
Farè, Liguori Editore. di
Katia Ricci Ne
hanno discusso il 24 marzo alla libreria Ubik di Foggia Anna Potito della Merlettaia,
Antonio Clemente, architetto, professore di Urbanistica presso l'Università
di Pescara e presidente di Italia Nostra, sez. di Foggia, Anna Di Salvo e Franca
Fortunato della Rete delle Città Vicine. Erano presenti e hanno animato
la discussione Mirella Clausi, Lina Scalzo, Luciana Talozzi, Marisa Gizzio della
Rete delle Città Vicine e Laura Minguzzi del Circolo della Rosa di Milano,
convenute a Foggia anche per partecipare all'incontro delle Città Vicine
presso La Merlettaia. Nella presentazione del libro (pubblicata sul sito
della Libreria di Milano), che è nato dalle esperienze della Rete delle
Città Vicine, di architette del Politecnico di Milano, sindacaliste e altre
in varie città italiane e non solo, Anna Potito ha focalizzato l'attenzione
sulle azioni creative svolte dalle donne e uomini della Merlettaia con il concorso
di moltissimi abitanti a difesa della piazza Giordano, luogo centrale della vita
della città, per conservare la memoria, la storia, le abitudini e le relazioni
delle e degli abitanti. I tecnici, politici e architetti, non hanno tenuto in
nessun conto le proteste e le proposte, tanto che si è chiesta se siano
amici o nemici dei cittadini. All'urbanistica pensata come cura di un organismo
malato, la città, propone di sostituire la manutenzione per prendersi cura
dello spazio in cui si vive. Necessario pensare a una diversa organizzazione della
città regolata sui tempi del vivere, in particolare delle donne, che si
occupano della vita di tutti, figli e anziani genitori, sottratta alle regole
degli orari e degli spazi convenzionali. Ricreare quello spazio pubblico-
domestico, come nei nostri paesi di una volta e come accade tuttora nei paesi
del Gargano e del subappennino, dove le donne si preoccupavano di ripulire lo
spazio antistante la casa, quasi una continuazione dell'interno e luogo in cui
si imparava la convivenza. "Ho letto di recente- ha detto Anna Potito- in
occasione della neve e della spalatura, che in Germania, per legge, gli abitanti
sono tenuti a ripulire i marciapiedi in estate ed in inverno, tenuti a ripulire
dalla neve e dalle sporcizie. Mi chiedo: dobbiamo imporre per legge quello che
una volta era la civiltà della nostra gente?" Dalla conversazione
e dagli interventi dei presenti sono emerse alcune questioni, Tra queste
le più discusse sono state: la diversità di sguardo, il rapporto
pubblico-domestico, la responsabilità dei tecnici e la partecipazione,
che hanno mostrato la sostanziale differenza uomo-donna. Clemente, pur mostrando
una sensibilità per certi versi affine a tante espresse dal libro, avendo
messo in rilievo due concetti come cura e corpo, che nel tempo si sono trasformati
dall'attenzione al luogo in cui si vive e dalla metafora della città- corpo
a cura per una città- organismo malato, si è poi sottratto alla
sua responsabilità sia come tecnico, sia come uomo, rifugiandosi nel neutro
delle teorie e del tecnicismo. Sul rapporto pubblico domestico ha fatto l'esempio
di Piazza Giordano di Foggia, che nel taglio degli alberi, sostituiti da aiuole
fiorite e arbusti, nell'articolazione degli spazi e nell'arredo di sedute e lampioni,
è stata trattata come fosse uno spazio privato e domestico, pieno di orpelli
e decorazioni, senza tener conto che l'essenza del domestico è l'insieme
dei legami e della storia del luogo, che invece è stato completamente ignorato.
Clemente non ha parlato delle sue esperienze di architetto, ma soprattutto dei
problemi dell'urbanistica e del degrado della città di Foggia che cresce
a dismisura con palazzi informi, tanto da proporre di cambiare il titolo del libro
da Architetture del desiderio a Desiderio di architettura. Questo spostamento,
come ha rilevato Franca Fortunato, è un segno profondo della differenza
di sguardo: da una parte c'è la pratica delle donne di partire dal proprio
desiderio, dall'altra il desiderare qualcosa che non c'è, rifacendosi a
un modello di architettura. Molti, così come i giornali, tendono a vedere
ciò che non va nelle città, invece ci sono donne che vedono ciò
che non è immediatamente visibile e lo rendono visibile agli altri, donne
che non si propongono di raggiungere l'obiettivo immediato, ma di cogliere il
senso della realtà. Franca ha portato come esempi di differenza di sguardo
il conflitto con il direttore del Quotidiano di Calabria su cui scrive, il quale
le chiedeva di cambiare il titolo di un articolo "La 'ndrangheta ha dichiarato
guerra alle donne" in "Le donne hanno dichiarato guerra alla ' ndrangheta",
non comprendendo e oscurando la differenza femminile, per cui le donne non avevano
agito per un'idea di legalità né per sconfiggere la malavita, ma
per il bisogno di riappropriarsi della propria vita e per il desiderio di libertà.
Sono queste pratiche, ha detto, e l'opera delle insegnanti di scuola che stanno
scardinando la 'ndrangheta anche in comuni mafiosi. Infatti gli stessi figli di
mafiosi a scuola, guidati dalle insegnanti, dicono di volere una vita diversa.
Si è detta orgogliosa di essere calabrese, proprio in virtù di queste
azioni e anche di quelle donne che stanno denunciando padri, fratelli e mariti
mafiosi, a costo della propria vita. Altra questione importante emersa è
stata la responsabilità, alla quale Franca Fortunato e alcuni interventi
hanno richiamato i tecnici, architetti, urbanisti e ingegneri, spesso mossi da
interessi privati e di corporazione o da idee e modelli astratti. Analoga
è l'astrattezza di quegli amministratori che chiedono ai cittadini di partecipare.
Un candidato sindaco alle prossime elezioni amministrative a Catanzaro, racconta
Franca Fortunato, ha chiesto ai cittadini di presentare una lista di bisogni in
base ai quali avrebbe redatto il suo programma. Ma la partecipazione è
soggettività, è stare alle cose, intervenire a partire da sé,
altrimenti prevale l'atteggiamento della delega. Anna Di Salvo, sottolineando
l'apporto della Rete delle Città Vicine, che fa sì che chi ne fa
parte si sente "a casa nel mondo", ha puntato l'attenzione sul sapere
femminile che emerge dal libro e cha va immesso nella città per sentirla
come corpo vivente che deve essere continuamente accompagnato. E' importante cogliere
la differenza tra la politica delle donne e le pratiche partecipative: la prima
nasce dai desideri e dalla soggettività in relazione con altre/i, le seconde
sono normate e codificate e, per questo, si rivelano astratte rispetto ai contesti
specifici e ai reali bisogni delle e degli abitanti. Spesso progetti elaborati
anche insieme a questi ultimi sono stati poi stravolti dagli amministratori e
dunque è necessario pretendere di accompagnare i progetti per tutto il
loro percorso. Una pratica politica che ha segnato molti interventi della Città
felice a Catania è, come ha raccontato Anna Di Salvo, quella legata all'arte
con realizzazioni di performance e installazioni fatte non da artisti, ma insieme
ad abitanti, studenti e associazioni, che scoprono in tal modo l'amore per l'arte,
attraverso l'amore per la città e attraverso reti di relazioni e scambi
di esperienze. Non è un caso che ogni capitolo del libro è illustrato
da una fotografia di statue femminili inserite in monumenti cittadini a ricordo
che il tema della bellezza e dell'arte è strettamente legato alla politica
del territorio e segnata dal sapere femminile. |