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Milano, aprile 2012
Unoccasione da cogliere: linvenzione della vecchiaia di
Marirì Martinengo Approfitto
del tema della serata del 14 aprile 2012, al Circolo della rosa, dedicata al libro
di Marina Piazza, Letà in più. Narrazione in fogli sparsi
(Ghena, 2012), per tirare fuori dai documenti contenuti nel mio computer, alcune
mie riflessioni sulla vecchiaia, risalenti al 2008. Allora, desiderando discuterne,
avevo chiesto ad alcune coetanee se avrebbero partecipato a qualche incontro sullargomento,
ma ne avevo ricevuto orripilati rifiuti: tuttal più qualcuna si era
detta disposta a ragionare sulla vecchiaia della madre che assisteva, mai della
propria. Questo atteggiamento mi ha convinto ancora una volta di più
che sulla propria vecchiaia siamo restie a riflettere. Così, in mancanza
di confronti, sono rimasta fino ad ora con i miei ragionamenti solitari. Eppure
bisogna pensarci nella relazione. A differenza di altri argomenti, come per
esempio la bellezza o la forza, non abbiamo prodotto pensiero originale sulla
vecchiaia, né elaborato strategie e strumenti femminili per affrontarla
e ridefinirla. Essa giace ancora soggetta al giudizio patriarcale: manchiamo
di una cultura della vecchiaia costruita da donne. Questo stupisce perché
noi che, trentenni, negli anni 70, abbiamo aderito al femminismo, ormai
siamo sulla soglia dei settanta (io lho superata), e a questo cè
da aggiungere che la nostra epoca assiste ad un aumento del numero delle persone
anziane dovuto al progressivo prolungamento della vita, soprattutto delle donne.
E un fenomeno proprio di questi ultimi decenni: la mia mamma, che è
vissuta più di novanta anni, non avendo mai conosciuto persone molto anziane
(madre, padre, marito, zie essendo morte sui sessanta/settanta anni) guardava
sbigottita al protrarsi della sua esistenza e incredula dinanzi al proprio disfacimento.
Cè da aggiungere che oggi la vecchiaia non riguarda solo chi
la vive ed esperisce, ma anche le più giovani, che essendo chiamate a curare
parenti, madri soprattutto, o amiche anziane, si trovano a dover fare i conti
con essa. Però io qui desidero prendere in considerazione solo la riflessione
di ciascuna su se stessa e sul proprio mutamento (sarei tentata di usare il termine
mutazione) e di affrontarlo, perché è da qui che comincia il ribaltamento
necessario. Secondo me si tratta di un lavoro di bilanciamento, di un gioco di
equilibrio, come stare sullasse di equilibrio della palestra: da una parte
il riconoscimento e laccettazione dei limiti che il nuovo stato va via via
imponendo e dallaltra il recupero, o meglio, linvenzione (nel senso
latino di invenire) di potenzialità insospettate. La vecchiaia impone
indubbiamente un restringimento nellazione, ma si può osservare che
è età compiutamente umana perché richiede dipendenza e relazioni.
Il sapersi limitate spinge a pensare orizzonti altri, a cercare oltre, accettare
confini è conoscenza che stimola a osare altro. Ogni perdita o diminuzione
è compensata da guadagni. Non è volersi consolare, ma scoprire le
sconosciute potenzialità di questo periodo della vita, che per la prima
volta ci troviamo a disposizione. Non sprecarlo, non dissiparlo, avere coraggio
e studiarsi di utilizzarlo a vantaggio proprio e altrui. Ne abbiamo il tempo,
adesso siamo signore del tempo. La
vita la creiamo noi donne a noi il compito di redimerla nella sua fase più
fragile ed esposta. Nelletà avanzata bisogna mantenersi al meglio,
senza inseguire ridicolmente parametri di gioventù, questo vuol dire non
fare sforzi per restare giovani, ma usare le energie per vivere bene
lo status in cui ci si viene a trovare, indubbiamente figlio di una scelta: si
sceglie di diventare vecchi. Aver cura sì del proprio corpo, salute e presenza,
ma offrirsi senza disagio allo sguardo altrui come alcune signore, che sulla spiaggia,
in costume da bagno, accolgono placidamente il sole sulla pelle grinzosa e sulle
carni flosce; signore apprezzabili soprattutto in questi nostri anni caratterizzati
da un culto fanatico della giovinezza e della forma. Ritengo sia necessario
valorizzare la donna che invecchia con grazia e coscienza della propria finitezza,
valorizzare anche quella che invecchia male ma, pur piena di acciacchi, affronta
i disagi con coraggio e auto-ironia. Acquistiamo sensibilità per questo
stadio della vita indubbiamente problematico, ma che può riservare gradevoli
sorprese, come ad esempio la raggiunta capacità di guardare il mondo in
tumulto, affacciate alla finestra o, sdraiate in poltrona, prendere con distacco
le misure delle persone e delle cose e amarle tutte e comunque di un amore più
grande sapendo che si dovranno fra non molto lasciare. Non cè
più il tempo frammentato e affannoso del periodo lavorativo e delle pressanti
incombenze familiari, ma tempi lunghi, distesi, favorevoli al pensare e al progettare.
Consideriamo con fermezza e senso di realtà letà avanzata
o avanzatissima per fuggire dai luoghi comuni e per non scivolare in atteggiamenti
e parole distruttive per sé e per altre. Non usare laggettivo vecchia
come epiteto dispregiativo. Queste sono solo alcune spigolature, alla buona;
certamente insieme, con il nostro pensare in relazione, potremo riscattare questo
ininterrogato periodo di vita, e scoprirne le potenzialità. Il nostro
tempo richiede di pensare lestendersi quasi illimitato dellesistere,
sconosciuto alle generazioni precedenti, ce lo chiede la constatazione che la
vecchiaia, come la bellezza, è cosa che riguarda più donne che uomini
e può diventare una ricchezza, una melagrana succosa, piena di frutti,
un kairòs imprevisto. Non
è facile adattarsi alla condizione di anzianità sia perché
su di essa pesa il giudizio negativo patriarcale sia perché compaiono segni
di debolezza e di fragilità. Certamente
vorrei delle carezze che nessuno mi fa più, contatto di corpi, apprezzamenti,
ma cerco di sentirmi sempre ben accolta e accettata. E
poi ci sono i nipoti, il mio futuro, guardarli crescere e godere, sollevata ormai
da responsabilità cogenti verso di loro, della poro giocondità spontanea. |