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Riportiamo
il capitolo "Inviolabili" (pp.75-98) dal libro La politica
del desiderio di Lia Cigarini (Pratiche editrice, Parma 1995). Il
libro (ormai esaurito) è nei nostri affari di cuore (costa 6 €)
e può essere ordinato
tramite email.
Inviolabilità
del corpo femminile Pratiche politiche, processi, leggi
Nell'ottobre
del 1988 il Centro Donna di Livorno organizza un incontro sull'Inviolabilità
del corpo femminile - Pratiche politiche, processi, leggi. A tema, principalmente,
la legge sulla violenza sessuale presentata in Parlamento, "a nome
delle donne", da molte parlamentari. Fra gli altri interventi ricordiamo
quello di Luisa Muraro, sulla possibilità di continuare a significare
e praticare l'estraneità invece che spingere illusoriamente le
donne a rivolgersi alla legge, e quello di Grazia Zuffa, senatrice del
PCI, firmataria della legge (se pure con una posizione diversa da quella
della maggioranza delle parlamentari, su questioni importanti come la
querela di parte, ad esempio), interessata soprattutto a rendere visibile
il conflitto politico delle donne, di modo che ognuna responsabilmente
dica ciò che pensa fuori dal falso unanimismo che si richiama a
un generico "le donne pensano questo".
Di seguito gli interventi di Lia Cigarini.
Per una ragione
di pratica politica delle donne, non vedo questo incontro come un tentativo
estremo di correggere una legge sbagliata, ma come un,incontro che metta
in risalto che questa non è una legge delle donne, perché
buona parte del movimento autonomo delle donne, in questi dieci anni,
in varia misura, si è dichiarata contro questa legge, e sempre
di più quando si è dimostrato che la procedibilità
d'ufficio non era necessaria a qualificare il reato.
La gravità del reato non è determinata dalla forma del procedimento
ma dall'entità della sanzione.
Non è la legge delle donne: deve essere chiaro che se una donna
non denuncia non è una donna colpevole verso il suo sesso. lo farei
altre cose per ricostruire l'immagine di me dopo uno stupro. In una circostanza
del genere io non denuncerei, sceglierei le mie compagne, per analizzare
con loro quello che mi è successo, altre forme di protesta pubblica,
non certo il processo. Non mi sembra adatto a ribadire l' inviolabilità
del mio corpo.
Questo incontro, dunque, è importante per significare che i sensi
di colpa non portano le donne avanti: siamo uscite da questa economia
di miseria. Non è sulla colpevolizzazione che noi agiamo. Ho sentito
con molto piacere quello che ha detto Margherita Iallonardo: noi non dobbiamo
andare in fonderia per dimostrare l'esistenza del sesso femminile, e non
dobbiamo denunciare per significarla. Abbiamo una ricchezza di sapere
e di pratica che fa esistere il sesso femminile, essa non deve essere
dimostrata con questi atti autodistruttivi.
Mi aspetto, quindi, dall'incontro, la registrazione degli spostamenti
che si sono operati tra le donne con la discussione che c'è stata
sulla legge. Mi interessano gli spostamenti, anche quelli che possono
avvenire qui.
Vorrei sentire, infine, sull'inviolabilità del corpo femminile
quali pratiche politiche facciamo. La questione della legge sulla violenza
può essere un esercizio critico di come si possa fare una pratica
giuridica diversa.
Sapevo che Annalisa Diaz e Grazia Zuffa erano per la querela di parte,
così come altre parlamentari comuniste. La maggioranza invece,
si sa, è per la procedura d'ufficio.
Quello che contesto a tutte è di avere tirato fuori la legge dalla
mattina alla sera, dopo lo stupro siciliano, senza una consultazione tra
le donne e senza discussione tra le giuriste.
Le parlamentari potevano poi prendere le decisioni che volevano, ma era
corretto politicamente, prima di ripresentare la proposta di legge, dopo
anni di silenzio e dopo una sconfitta (ricordate il progetto Bottari,
l'emendamento Casini, ecc.), organizzare una consultazione tra le donne
che non fosse una consultazione di sigle ma appunto degli incontri come
questo. Non si può pensare che delle donne facciano le deputate
stando a Roma al Parlamento e basta.
Si sono presentate elettoralmente come rappresentanti delle donne e noi
l'abbiamo contestato, ma se loro ci credono devono trovare dei canali,
dei modi per comunicare con la complessità del movimento delle
donne. In questa mancanza di ascolto vedo la responsabilità politica.
A proposito della domanda di Luisa Muraro che diceva: "In fondo la
parte che noi consideriamo più viva del movimento non si è
mai interessata delle leggi, perché lo dobbiamo fare ora?".
Credo perché alcune giuriste, avvocate come me, hanno iniziato
una pratica sociale di donne nel diritto. Per tanti anni ho considerato
che l'essere delle donne dentro e fuori dal diritto, cioè dentro
perché alcune regole le coinvolgono, fuori perché una gran
parte dei rapporti delle donne tra di loro e dei rapporti con gli uomini
non sono regolati dal diritto, mi costringeva a fare l'avvocata in maniera
neutra. A me era impedito di pensare il diritto da questa collocazione
delle donne, che era anche la mia collocazione, perché anch'io
ero nel diritto col nome del padre, ecc. Inoltre tutto il lavoro giuridico
emancipazionistico non mi interessava perché tendeva a omologare
le donne agli uomini.
Quando, invece, la mia posizione politica ha coinciso con la passione
giuridica? Quando ho sentito maturare la possibilità di iscrivere
nel diritto il sesso femminile.
Non genericamente, ma ho sentito maturare dei principi fondativi, perché
le relazioni, gli scambi tra donne aumentavano. Luisa chiede: "È
necessaria la mediazione? Cioè è necessario che l'iscrizione
simbolica dell'esistenza del sesso femminile passi dal diritto?".
lo, giurista, dico di sì. Posso essere naturalmente contraddetta
da una donna, per esempio di tendenze anarchiche, che dice "no, questa
mediazione a me sembra inessenziale". Farà altre mediazioni,
oppure nessuna.
C'è, a partire dal proprio desiderio, una pluralità di scelte
politiche e una pluralità di mediazioni attraverso linguaggi diversi
che possono essere quello del lavoro, quello del lare vuol dire anche
registrare ufficialmente. Con questo mezzo si vorrebbe imporre alle istituzioni
un certo rispetto per le donne e insieme aiutare queste ad affermare la
propria esistenza sociale. Ma questo fare leggi, e suscitare speranze
nelle leggi, è un mezzo che fa nascere una strana confusione. Che
cosa abbiamo a che vedere noi con il ruolo di "legislatore"?
Che cosa lega noi a questo ruolo, alla sua logica, ai suoi interessi manifesti
o nascosti?
Abbiamo visto in questi anni che la nostra marginalità, diventando
autonomia dal mondo maschile, presa di coscienza e di parola, e arricchendosi
con rapporti più significativi tra donne, si è tradotta
anche in forza sociale.
Il cambiamento decisivo da realizzare riguarda il rapporto uomo/donna.
La sostanza di questo rapporto sono fatti materiali e culturali che si
radicano dove nessuna legge arriva. Un nuovo modo di fare politica è
stato inventato dalle donne proprio per arrivare a quelle radici. Secondo
noi è meglio andare avanti in questo senso anche sul problema della
violenza sessuale. Bisogna che gli uomini smettano di considerare il corpo
femminile come se fosse a loro disposizione. L'immagine della nostra "disponibilità"
pervade la società e noi stesse l'abbiamo dentro. Noi vorremmo
confrontarci su queste cose, realizzare dei cambiamenti di questa natura.
Ma non vediamo in che modo, se va avanti un discorso in funzione del progetto
di legge. Chiediamo perciò che sia ritirato. Altrimenti quelle
che, come noi, non sono d'accordo, si trovano costrette al dissenso e
all'opposizione.
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