| Il
saggio è molto ricco di informazioni e presenta diverse traduzioni di testi
poetici delle afgane emigrate in Iran., una realtà che conosciamo davvero
poco. Vanzan inoltre sottolinea l'importanza dell'autoespressione e la strategia
di cambiamento adottata: "le afgane stanno lanciando messaggi all'interno
della loro comunità, con la speranza che questi possano rimbalzare in Afghanistan,
dove molte tradizioni "culturali" devono essere ridisegnate. Solitamente
l'esilio è un'esperienza umiliante e traumatica, ma le scrittrici afgane
si muovono in uno spazio liminale trasformandolo in una dimensione creativa e
liberatoria che consente loro di scrivere liberamente, costruendo nuovi parametri
di auto espressione." Anna Vanzan insegna Sociologia della comunicazione
e Islam presso l'Università degli Studi di Milano e Cultura islamica allo
IULM. Luciana Tavernini
Numero
di dicembre 2008 della rivista El Ghibli Il doppio esilio.
la poesia delle rifugiate afgane in Iran Anna Vanzan http://www.el-ghibli.provincia.bologna.it/id_1-issue_05_22-section_6-index_pos_1.html La
migrazione afgana in Iran risale alla fine del XIX secolo. Il fenomeno si è
intensificato a partire dagli anni '70, a causa dei noti, tragici avvenimenti
accaduti nel paese centrasiatico, che in breve tempo ha sperimentato l'invasione
sovietica e il feroce regime dei Taleban. L'Iran rappresenta da sempre un'attrattiva
per gli Afghani in migrazione, specialmente per gli appartenenti al gruppo etnico
degli Hazara, che condividono la stessa religione degli iraniani (islam sciita)
e parlano una lingua pressoché identica al persiano (la dari). La lingua
comune è stata un fattore cruciale nel facilitare la formazione di una
generazione di ragazzi e ragazze afgani che possono giovarsi del sistema educativo
iraniano. Queste facilitazioni formative si estendono anche alle donne, tanto
che, sebbene la larga maggioranza delle afghane (costituenti un terzo della migrazione
dal loro paese sull'altopiano) siano impegnate in attività domestiche quali
il ricamo e il cucito, un buon numero di loro può dedicarsi ad attività
culturali di vario tipo, inclusa la letteratura. Questa nuova generazione
di afgane istruite e maggiormente sicure di sé può perseguire la
strada della letteratura, componendo perlopiù poesie in cui danno sfogo
alle loro ansie, aspirazioni, timori e preoccupazione per la loro condizione di
donne in diaspora. La poesia nella società afgana. Le donne poetesse La
poesia, soprattutto orale, è sempre stata la maggiore forma di espressione
culturale in Afghanistan, rappresentando altresì un modo per comunicare
idee, inclusa la protesta socio-politica. Da tempo immemore l'Afghanistan
ha ospitato tenzoni poetiche dove gli artisti potevano competere in eloquenza
e cultura improvvisando liriche, composte secondo i canoni estetici e letterari
dettati dai maestri della letteratura persiana. Data la struttura fortemente
patriarcale della società afgana, non c'è da meravigliarsi che la
produzione poetica femminile sia inferiore - quantitativamente - a quella dei
loro colleghi, nonostante le donne abbiano cominciato a poetare almeno fin dal
X secolo, quando la figlia del governatore di Balkh, Rabi'a, componeva liriche
in arabo e in persiano. Divenne famosa, tanto che le sue poesie venivano recitate
pubblicamente nei circoli letterari: fu in una di queste occasioni che Rabi'a
declamò alcuni versi in cui confessava di amare uno schiavo di suo fratello.
Questi, sentendo il nome della sua casata in relazione a quello di un servo, si
infuriò a tal punto da ordinare che la sorella venisse condotta nell'hammam
e le fossero tagliate le vene. Ma, prima di morire, Rabi'a scrisse col proprio
sangue alcuni versi sulle pareti del bagno, sia in dedica al suo amato sia come
atto d'accusa al fratello assassino. Si potrebbe arguire che il destino di
Rabi'a anticipi la piaga patita nei nostri giorni dalle donne afgane, costrette
ancor oggi ad usare il sangue per esprimersi. E' una realtà che solo poche
afgane siano riuscite ad imporsi sulla scena letteraria, come testimoniato pure
da una recente antologia dedicata alle poetesse d'Afghanistan, da Rabi'a ai giorni
nostri, che elenca solo una sessantina di nomi di artiste. Inoltre, la bio-bibliografia
di queste scrittrici indica che solo recentemente le loro opere sono state pubblicate,
e che la maggioranza di loro ha dovuto lasciare la madrepatria a causa degli sconvolgimenti
politici e sociali in cui l'Afghanistan è stato coinvolto a partire dagli
anni '70. Donne afghane in Iran Come già detto, l'Iran è uno
dei paesi preferiti dai migrati afgani, dal momento che i due paesi condividono
lingua, religione e secoli di storia comune. Tuttavia, l'atteggiamento ufficiale
della Repubblica Islamica d'Iran verso gli afgani ha subito notevoli variazioni.
Durante gli anni dell'invasione sovietica, l'Iran accoglieva gli afgani quali
"fratelli musulmani che scappavano da un regime anti islamico". Dopo
la sconfitta dell'Armata Rossa, e dopo i tumulti a seguito dei quali si imposero
i Taleban, le autorità iraniane hanno cominciato a divenire sospettose
nei confronti degli afgani, considerati possibili strumenti di instabilità,
manovrati da potenze straniere, e inevitabilmente destinati ad aumentare la frizione
sociale, creando tensioni fra la popolazione autoctona. Nonostante ciò,
un gran numero di afgani emigrati, incluse le donne, hanno potuto beneficiare
del sistema di istruzione iraniano, fiore all'occhiello della Repubblica Islamica.
Sebbene le afgane abbiano, comunque, delle innegabili difficoltà di
accesso alle risorse educative iraniane, tuttavia è altresì certo
che esse, così come molti loro compatrioti, non avrebbero avuto alcuna
possibilità di istruirsi nella loro madrepatria. Inoltre, se consideriamo
il fenomeno da una prospettiva di genere, è evidente che le afgane non
solo hanno avuto più opportunità educative in Iran, ma hanno anche
beneficiato della generale atmosfera, promossa dalle iraniane, di consapevolezza
di genere e di avanzamento culturale, sociale ed economico. In Iran, le afgane
possono vivere in una società islamica tradizionale dove le donne costituiscono
il 62% della popolazione studentesca universitaria, e dove esse possono esercitare
praticamente qualsiasi professione, dai gradi più alti dell'insegnamento
alla direzione di associazione femministe ed educative, dalla carriera medica
alla conduzione di organizzazioni non governative. Nonostante, infatti, le donne
iraniane siano sempre in lotta per i loro diritti, il loro avanzamento e la posizione
acquisiti all'interno della società sono tali da non poter passare inosservati
da parte delle afgane, che sono state profondamente colpite dal successo delle
sorelle d'Iran. Le iraniane s'esprimono prevalentemente attraverso la letteratura
- la loro affermazione in questo campo s'è trasformata nell'evento più
significativo sulla scena letteraria delle società islamiche contemporanee
- e, di conseguenza, non sorprende il fatto che pure le afgane si siano rivolte
alla letteratura quale mezzo per dare voce ai propri sentimenti, esperienze, aspettative
e paure per il futuro. Grazie all'aiuto dei circoli letterari fondati in Iran
da migrati afgani (quali il Centro Culturale degli Scrittori Afgani a Mashhad
) e alle loro attività (che vanno dalla pubblicazione di riviste all'organizzazione
di festival letterari), le afgane sono divenute un nuovo fenomeno socio-culturale
che sfida lo stereotipo della "donna afgana passiva e segregata". A
Tehran, nel settembre 2005, al Terzo Festival Letterario (Qand-e farsi) per scrittori
rifugiati afgani, la maggioranza dei partecipanti e due terzi dei 28 finalisti
erano costituiti da donne, nove delle quali hanno vinto uno dei tredici premi.
(Olszeswka, 2005: www.badjens.com/afghan.lit.html). Sono donna e afgana in
Iran: il doppio esilio Come facilmente intuibile, il fardello dell'esilio è
uno dei temi più comuni nella scrittura delle rifugiate afgane, un tema
condiviso con i loro colleghi maschi con cui esse sperimentano le perdite causate
dalla guerra e il trauma della marginalizzazione etnica. Nonostante le loro condizioni
di vita siano assai migliori in Iran che in Afghanistan, gli afgani soffrono dei
limiti e delle restrizioni in quanto rifugiati e della sfiducia generale degli
iraniani nei loro confronti. E' innegabile che moltissimi iraniani abbiano forti
pregiudizi verso gli afgani, da essi giudicati inaffidabili, bugiardi, inclini
al furto e coinvolti nel traffico di droga. Tali pregiudizi sono comuni anche
tra gli intellettuali iraniani: nel 1991, il poeta afgano Mohammad Kazem sentì
il bisogno di pubblicare una poesia in un giornale in cui accusava gli iraniani
d'essere indifferenti nei riguardi delle condizioni dei rifugiati afgani, (Olszewska,
2007, 211). Questa iniziativa sollevò delle reazioni controverse fra gli
intellettuali iraniani, con il risultato di far aumentare sia il livello di consapevolezza
nei riguardi della presenza afgana sia l'appoggio per gli autori afgani che, da
allora, hanno cominciato ad essere invitati ai festival letterari, con conseguente
maggiore facilità di accesso al mondo dell'editoria per pubblicare i loro
lavori. Nonostante questo, molti afgani in Iran sono ancora sottoposti a forme
di razzismo, e la maggior parte degli scrittori afgani ne sono consapevoli. Essi
scrivono delle pene sofferte in qualità di esiliati, pur costituendo ormai
la seconda generazione di emigrati. Ad esempio, Fa'eqeh Javad (Kabul, 1975), che
polemicamente (?) aggiunge al suo nome il soprannome "Mahajer" ("immigrato",
o"rifugiato"), esprime la nostalgia usando ripetutamente toponimi afgani: A
Kabul A te mia città senza chiar di luna Piena di gentilezza, col
tuo silenzio pieno della notte, e la tua notte senza fine E le tue ginocchia
senza alcuna forza rimasta D'improvviso il tuo disagio mi rendono febbricitante
e sanguinante Alzati amor mio! Lo so Con l'orgoglio che ho nel cuore Metti
la tua mano callosa nella mia E alzati dal tuo posto..sì, ce la fai.
(Mirshahi, 2008, 78) La condizione di emigrante accentua la nostalgia di
Fa'eqeh Javad e il suo amore per la terra natale, sentimenti che esprime in una
lunga poesia, "
e penso all'amore con tutta la mia giovinezza"
(..va man ba tamam-e javani be 'eshq fekr mikonam), nella quale le città
dell'Afghanistan giocano un ruolo centrale nell'animare una lunga lista di sentimenti
ed oggetti che inducono la poetessa a pensare all'amore. Kabul, Qandahar, Herat,
Mazar divengono, nell'immaginazione poetica, sorta di amanti che la scrittrice
audacemente ospita sul suo materasso. (Mirshahi, 2000, 80-82). Il tema dell'esilio
senza fine e la costrizione a dovere perennemente migrare è fortemente
sentito anche da Mahbubeh Ebrahimi (Qandahar, 1975), forse la poetessa afgana
più famosa in Iran. In una delle sue poesia, "La frontiera" (Marz),
ella indugia sul dolore provato quando, giunta al confine e prossima ad espatriare,
si ritrova dilaniata tra la madrepatria e la nuova terra che l'attende: [
]
da questa parte c'è una poesiola spezzata ed amara nella mia gola dall'altra
parte la poesia fiorisce sulle labbra di Qandahar [
] da questa parte,
accanto al confine, sta seduta l' aspettativa dall'altra parte, sulla riva
del fiume è scoppiata la primavera (Mirshahi, 2006: www.bukharamagazine.com/treatise_print.php?tre_id=312) Ebrahimi
ritorna all'angoscia della migrazione nella poesia "L'aeroporto" (Forudgah).
E' in compagnia di qualcuno che sta partendo, una triste situazione che Ebrahimi
trasforma nell'allegoria dell'intera diaspora afgana, che costringe lei e i suoi
compatrioti a vivere una vita scandita solo da numeri e burocrazia. In un'umida
serata priva di luna e stelle, qualcuno sta trascinando due vecchie bisacce e
vent'anni di stanchezza, pronto a viaggiare sei ore, incurante addirittura della
destinazione finale, animato dall'unica certezza dei numeri che contraddistinguono
il suo volo e il sedile sull'aereo. (Mirshahi, 2006, ibid.). Qualcuno parte, ma
è la stessa Ebrahimi che viene lasciata sola, abbandonata, a causa della
forzata migrazione di un suo affetto. E' indubbio che siano proprio le donne
afgane a pagare il prezzo più alto della tragedia afgana. Solitudine, povertà,
dolore per la fame sofferta dai figli, e, soprattutto, il disperato bisogno di
qualcuno cui appoggiarsi, sono i temi dominanti di questa produzione poetica.
Secondo l'omonima poesia di Mahbubeh Ebrahimi, il "Mattino" (Sobh),
per una afgana, significa indossare il ciador e uscire in cerca di pane e latte,
lavare panni sporchi, e quindi finire prigioniera in una stanzetta, oppressa dalle
nuvole nere al suo interno. Tuttavia, la poetessa incita le donne alla resistenza,
raccomandando la poesia come un mezzo per superare gli ostacoli e non venire travolte
dall'infelicità: [
] recita un sonetto (ghazal) e non morire sotto
le mani e i piedi del dispiacere, oh canzone! (Mirshahi, 2006, ibid.). Si noti
bene, la poesia di Ebrahimi, così come la produzione poetica della maggioranza
delle autrici afgane, non sacrifica prosodia e metrica a favore del contenuto,
anzi, le artiste sono ben attente a rispettare le convenzioni e le regole letterarie
pur esprimendo l'urgenza del loro lamento e della loro protesta. Queste poetesse
hanno una padronanza assoluta dei canoni millenari della poesia persiana, anche
se, talvolta, compiono incursioni nella she'r-e now, la nuova poesia che meno
si cura di immagini retoriche e rime, privilegiando piuttosto i contenuti. La
novità di questa produzione poetica afgana al femminile sta nei concetti
espressi e nel nuovo, rivoluzionario modo in cui le afgane si pongono al centro
della scena. E' evidente che le circostanze sociali, storiche e politiche, nonché
i contatti ravvicinati con il movimento delle donne d'Iran, abbiano stimolato
la consapevolezza delle donne afgane per le istanze di genere, istanze, peraltro,
che nella loro poesia sono ancora intrise di bisogni primari e basilari. Ad
esempio, Simin Hosseinzadeh, arrivata in Iran da Kabul nei primi anni '90, scrive
nel suo testo poetico "Dal retro della fortezza della jihad" (Posht-e
sangar-e jihad): [
] non dire che fra le prerogative femminili meritiamo
anche quella di rimanere segregate in un angolo povere, umili, disprezzate,
senza alternative ci sono due orfani che mi chiedono di dare loro un padre che
possa proteggerli e portare loro da mangiare che posso dire loro, come posso
lamentarmi a volte devo fare da padre, a volte sono solo un madre. (Mahajer,
2004, 275). Tuttavia, Hosseinzadeh è orgogliosa delle proprie origini
e dell'eredità a lei lasciata dalle donne afgane: Sono una donna, vengo
da una tribù dell'Afghanistan Cammino seguendo il sentiero di Dio, come
altri viaggiatori Continuo a camminare per mantenere viva La memoria di
Nahid e Halali (ibid.) Simin Hosseinzadeh quindi trova energia per la sua battaglia
quotidiana dalla memoria di Nahid e Halali, due donne martirizzate durante la
guerra civile in Afghanistan. Questa eredità di memoria la rende moralmente
costretta a continuare a vivere, nonostante le difficoltà che deve fronteggiare
ogni giorno, per non vanificare il sacrificio delle consorelle. Un'altra autrice,
Zahara Hosseinzadeh, applica la metafora della poesia per esprimere la sua condizione
di donna in lotta contro la difficoltà quotidiane, legandola alla metafora
del cucito, dal momento che tanto la poesia quanto il cucito sono "occupazioni
da donne". Nella sua "Il leopardo fra le parentesi (Palang tu-ye parentez),
Zahra Hosseinzadeh racconta di una ragazza brava a cucire che si riempie la vita
di filosofia e poesia, ma, al contempo, si sente come un leopardo fra le parentesi,
che siano aperte o chiuse. Per molto tempo, a causa sia di altre persone sia di
carenze personali ("devi riconoscere che tutti noi siamo peggiorati"),
non è stata capace di scrivere altro che un frammento (qet'eh). E non c'è
altro che possa fare, se non essere paziente ("impara il libro della pazienza
dagli uccelli") mentre cuce abiti nuovi per il fidanzamento (www.kabotarechahi.persianblog.ir/). Nonostante
la delusione per l'indifferenza della gente (gli iraniani?), Zahra Hosseinzadeh
non vuole arrendersi, ma piuttosto cambia strategia, scegliendo occupazioni tradizionali
quali il cucito e il ricamo (le più comuni attività fra gli afgani
rifugiati in Iran) come mezzo per mantenersi e, al contempo, seguire una carriera
letteraria. Anche se "fra parentesi", è pur sempre un leopardo,
una creatura energetica e capace di dar battaglia. Questa nuova coscienza
di genere rende le donne afgane più baldanzose, al punto da spingerle ad
usare immagini e linguaggi in un modo che non ha precedenti nella storia della
letteratura afgana al femminile. Ad esempio, Mariam Torkemani scrive: Vengo
dal mondo della libertà E la statua della libertà Ha baciato
molte volte la mia essenza di donna [
] ho scoperto che il paradiso sta
ai piedi di una madre anche quando le mie sopracciglia sono diventate sempre
più sottili un giorno il paradiso mi apparterrà così
che sarò in grado di indossare abiti larghi sputando fuori un bimbo raffreddare
le fiamme dell'inferno perché non ho baciato altri altari (Mohammadi,
2006: www.jadidonline.com/story/11052007/fq/afgan_poets) Questi audaci
versi hanno molteplici significati: da un lato, Torkemani proclama il diritto
d'ogni donna di essere felice anche se sterile, contrariamente al luogo comune,
diffuso nelle società islamiche e/o tradizionali, che "il paradiso
sia ai piedi di una madre". Pare cogliere una ribellione contro la religione
(islamica), nelle parole di Torkemani, ma in realtà il suo biasimo non
è rivolto contro la religione di per sé, ma piuttosto contro le
tradizioni e le superstizioni che spesso inficiano la religione. D'altro canto,
Torkemani afferma di provenire da una cultura che riconosce il diritto alla libertà
delle donne, per cui non c'è bisogno di chiedere aiuti esterni (ovvero
occidentali) per restituire alle afgane diritti e libertà. Questi concetti
sono espressi con un linguaggio forte, quasi violento. La poetessa non dà
alla luce un bambino, ma lo "sputa" (tof kardan). Un atto che compare
anche in un'altra poesia di Mariam Torkemani, così come lo sputare per
disprezzo contro qualcosa/qualcuno è un'immagine che ricorre in altre poesie
di donne afgane. Ad esempio, la faccia di Maral Taheri diventa uno sputo quando
cammina per la strada con un ragazzo sconosciuto, in profondo spregio verso la
gente che la considera"ancor meno apprezzabile del fazzoletto rosso di [mia]
madre". Al contempo, Taheri sfida la società che considera inconcepibile
il fatto che una ragazza cammini liberamente per la strada con un amico dell'altro
sesso (Mohammadi, 2006, ibid.) In alcune occasioni la critica pervade la poetica
di queste autrici, al punto tale da trasformare il componimento in un manifesto
di protesta contro la condizione della donna. Scrive Zahra Hosseinzadeh nella
sua "Era proprio la mia altra metà" (Derast nimeh-ye man bud): [
]
mia madre mi ha venduto per cinque shahi la mia penna verde e il gessetto
sono rimasti a scuola e la linea dei miei occhi si è trasformata in
un'ombra scura a dodici anni avevo già due bimbi fra le mie braccia mio
figlio è diventato petulante come il padre mentre mia figlia, da subito,
è stata proprio come l'altra metà di me seduta sullo scivolo,
gli occhi fissi sulla strada (silenzio, lacrime) e mio marito mi ha notificato
il divorzio ma è venuto a trovarmi per prendermi in giro ho una protesta
da rivolgere a Dio [
] (www.kabotarechahi.persianblog.ir). La poesia
menziona alcune delle piaghe che affliggono le afgane. A causa dell'estrema povertà,
spesso le ragazzine sono venduta dalle stesse famiglie e vengono private del diritto
all'istruzione (il tasso di alfabetizzazione fra le donne afgane è solo
del 21%). Diventano madri giovanissime (il tasso demografico nel paese è
di 6.75 figli per donna), e il marito ha il diritto di ripudiarle a piacere, senza
garantire loro alcuna forma di mantenimento. In altre parole, le donne afgane
sono considerate come oggetti, o bottino di guerra. In questo grigio panorama
le ragazze non hanno futuro, possono solo perpetuare il tristo destino delle loro
madri. Inoltre, le afgane sono disilluse dalle promesse dei loro uomini - peraltro
non mantenute- di cambiare la situazione, e l'Afghanistan rimane un paese violento
e pericoloso proprio perché i suoi uomini non rinunciano a vendette e rappresaglie: Con
lo schioppo in spalle Mi hai accolta Scarruffato e coperto di stracci Questo
non sei tu Si era deciso Che un uomo su un cavallo rosso
Tu invece
mi hai messo in testa Una corona di boccioli di papavero Fiori rossi? E
farfalle mezze morte Sono cadute a terra Lasciami andare Mi fai paura Hai
nascoste nelle tasche mine Che uccidono la gente Hai buttato il tuo cuore
in una buca I tuoi baci hanno la tua voce Che mi arriva stanca e roca: Vieni,
andiamo a casa. Se mi baci Le tue mine saranno disinnescate I tuoi fucili I
tuoi papaveri Il tuo bacio Diverranno bianche colombe Con un delicato
bocciolo nel loro becco. (Ebrahimi, 2007: www.atiban.com/article.aspx?id=1375). Coraggiosamente,
Mahbubeh Ebrahimi denuncia le cause maggiori che tengono alta la tensione in Afghanistan,
ovvero l'abuso di armi e l'economia basata sul traffico di droga, aggravate dal
fatto che tali attività sono compiute dagli stessi afgani. Le donne hanno
paura di ritornare a casa, perché l' Afghanistan è uno dei paesi
al mondo maggiormente infestato da mine anti uomo in cui i bambini possono incappare,
rimanendo uccisi o menomati orribilmente, solo toccando una bambola, lasciata
per terra, che è in realtà solo uno di questi spaventosi ordigni
camuffati. Per ironia della sorte, questa poesia è stata pubblicata nell'ultima
collezione di Ebrahimi, poco prima che la stessa e il marito decidessero di ritornare
in patria. Ma le afgane non si limitano a una critica sterile, se pur vibrante,
esse hanno le idee chiare sui loro desideri, soprattutto in materia di affetti
e sentimenti. Come scrive Maral Taheri: Immagino la fortuna di avere un uomo Che
ogni giorno mi porge un fiore Attraverso la finestrella dell'ospedale E
mi invita a ballare (Mohammadi, 2006: www.jadidonline. com/story/ 1105200/fq/afghan_poets) Le
donne afgane sono anche affamate d'amore, un bisogno di cui parlano usando varie
tecniche, plasmando le convenzioni poetiche persiane, scagliando grida di protesta,
oppure usando immagini innovative. Spesso, le poetesse combinano varie di queste
modalità, ed esprimono i loro tumultuosi sentimenti usando le consuete
(e, a volte, abusate) immagini della letteratura persiana classica per chiedere
il cambiamento, esprimendosi, al contempo, con un linguaggio franco e perfino
aggressivo. Ecco come Ziagol Soltani (Herat, 1957) esprime la sua condizione: Il
flauto (Neylabak) Stanotte liberami dalla verità dello specchio Chiamami,
perché la notte sta per finire, e l'alba è già qui In
questa spiaggia dove ho confinato me stessa Lascia che io mi riconosca L'inverno
ha lasciato una cicatrice azzurra sulle mie spalle Invitami alla verde stagione
primaverile Che ne sai della paziente melodia del mio silenzio? Fammi accordare
con il flauto L'infausto bruciare della fiamma sta scritto sulle ali della
falena Fammi andar via dalla buia moltitudine della creazione Sono già
stata condannata al tormento della segregazione Stanotte liberami dalla verità
dello specchio (Mirshahi, 2000, 127) In questo testo Soltani usa alcune
delle più comuni figure della poesia persiana, quali la falena che si brucia
le ali sulla fiamma, o il flauto e lo specchio, modulandole per esprimere il lamento
di una donna segregata che vuole essere liberata dal suo confine invernale per
assaggiare il verde della primavera. Un critico iraniano sostiene che le donne
afgane scrivono d'amore sotto la doppia influenza delle poetesse iraniane, specialmente
quella di Forugh Farrokhzad (1935-1967), la poetessa iraniana più amata
(Mohammadi, 2007: www.jadidonline.com/story/12022007/akmf/forough). Nonostante
questa affermazione sia imbevuta di un certo chauvinismo iraniano, è indubbio
che la scrittura di Farrokhzad abbia influenzata gran parte della poesia persiana
scritta nelle ultime decadi. Il suo parlare semplice e franco a proposito di soggetti
considerati tabù dalle società tradizionali ha ispirato le ultime
generazioni di poetesse in Medio Oriente a in Asia Centrale, per cui è
logico aspettarsi di trovare la sua influenza nelle afgane cresciute ed educate
in Iran. Alcune delle immagini qui incontrate, quali quella espressa da Javadi
(gli amanti ospitati sul suo materasso), da Ebrahimi che è "prigioniera
in una stanzetta", e da Taheri che cammina baldanzosamente per strada con
il suo ragazzo, evocano l'immaginario e le provocazioni per cui Farrokhzad è
giustamente famosa. L'uso predominante della prima persona singolare nella
produzione poetica qui in esame e la chiara indicazione che l' "io"
narrante è sempre un soggetto femminile, debbono un tributo proprio a Farrokhzad,
la prima iraniana che "parla come una donna e come un individuo" (Hilmann,
1990, 148). Le poetesse afgane, quindi, hanno imparato la lezione di Farrokhzad,
come si evince da questi versi: Due vergini congelate si persero nel vento S'innamorarono
nella notte delle promesse perdute (Mirshahi, 2000, 74). Questa lirica
di Fa'eqeh Javad ci ricorda altresì altre audaci vergini vaganti, ovvero
le co-protagoniste di Donne senza uomini, il celebrato romanzo di Shahrnush Parsipur,
che probabilmente le afgane d'Iran ben conoscono. Tuttavia, l'idea dell'esilio
intrecciata a quella dell'amore porta l'indelebile marchio delle poetesse afgane,
la cui anima è afflitta dal peso di una distanza insormontabile. Come nella
lirica seguente: Il segno (Neshati) Brucio le mie labbra E invio le
ceneri A te
Tehran, l'autostrada della melodia la musica
degli uccelli il mio cuore, brucia le tue labbra e spedisci le loro
ceneri a me. (Mirzahi, 2006: www.bukharamagazine.com/treatise_print.php?tre_id=312) In
questo poema, Shakirieh 'Erfani lega inestricabilmente l'amore con il dislocamento,
in quanto i sentimenti d'amore sono ormai irreparabilmente colpiti dalla perdita
e dalla privazione. Queste donne afgane sembrano o troppo lontane dal loro
amato, o destinate a sperimentare solo relazioni destinate a disilluderle, che
si concludono con un abbandono: Un vecchio piano (Yek tarh-e qadimi) Tu
Credi Di essere passato accanto a me Tranquillamente Una volta
Non
sei tornato Guarda, questa città è stata ridotta in rovina (www.kabotarechahi.persianblog.ir/) In
questi versi, Zahra Hosseinzadeh si identifica con una città devastata,
perché le donne d'Afghanistan condividono lo stesso destino del loro paese,
entrambi traditi e sfruttati da uomini crudeli. Anche l'amore materno è
frustrato, in quanto i bimbi afgani sono stati inviati a combattere una guerra
eterna che non ha nome (la guerra contro i Sovietici, contro i Taleban, la guerra
civile
): Amore ('eshq) [
] il tuo respiro febbricitante è nel
mio incubo quotidiano che mi chiama Sei andato incontro ad acque gelide ti
ho cercato in tutti i quotidiani del mattino e della sera o tu sei nascosto
dal mio amore nelle pieghe delle pagine [anni e anni di guerra hanno incendiato
quelle gelide acque] non sono riusciti a farti tacere e tu non stai
correndo via da me ti ho nutrito nel mio grembo questo amore è
l'amore di Leila è l'amore di una madre è l'amore della terra e
tu sei le bacche di pino sparpagliate che torneranno nel mio grembo (Mirzahi,
2006: www.bukharamagazine.com/treatise_print.php?tre_id=312) L'amore di Shakirieh
'Erfani per il figlio scomparso nutre la speranza disperata, rafforzata dalla
ostinata convinzione che il figlio non stia deliberatamente lontano da lei, perché
lei lo ha nutrito nel suo ventre. Le donne afgane amano appassionatamente e per
sempre, come la leggendaria Leila, ma si aspettano un ritorno dal loro sacrificio.
Spesso, però, esse sono abbandonate dai loro uomini, o intenzionalmente,
o perché questi sono costretti a farlo a causa delle circostanze drammatiche
in cui versa l'Afghanistan. Conclusione L'esperienza di diaspora in Iran
ha inevitabilmente cambiato l'identità politica e culturale delle donne
afgane. Se, da una parte, l'esilio ha riformulato la relazione delle rifugiate
con la madrepatria cui - nonostante le difficoltà - esse guardano con struggente
nostalgia, dall'altra il movimento delle donne d'Iran ha significativamente influenzato
la percezione delle questioni di genere da parte delle emigrate. Nella scrittura
della poetesse afgane questi cambiamenti sono espressi in una tensione dialettica
tra ciò che le donne hanno perduto e l'ansiosa ricerca di ridefinire la
loro cultura, nonché se stesse. Sebbene le afgane condividano lingua
e tradizione letterarie con gli ospitanti iraniani, questi ultimi non sembrano
essere l'obiettivo finale della loro produzione letteraria. Piuttosto, le afgane
stanno lanciando messaggi all'interno della loro comunità, con la speranza
che questi possano rimbalzare in Afghanistan, dove molte tradizioni "culturali"
devono essere ridisegnate. Solitamente l'esilio è un'esperienza umiliante
e traumatica, ma le scrittrici afgane si muovono in uno spazio liminale trasformandolo
in una dimensione creativa e liberatoria che consente loro di scrivere liberamente,
costruendo nuovi parametri di auto espressione. Questo non significa che le
afgane abbiano trovato il paradiso in Iran. Come già detto, in Iran le
afgane hanno maggiori opportunità educative di quanto potrebbero avere
in Afghanistan, anche se queste opportunità non sono sempre accessibili
ai rifugiati. Nonostante molti iraniani guardino con un certo disprezzo gli afgani,
molti intellettuali e artisti dell'altipiano sono ben consapevoli del problema
che i rifugiati debbono fronteggiare, tanto che si registrano numerosi film di
autori iraniani dedicati a queste problematiche. In particolare, Mehrad Talebnia
Farid ha rappresentato, nel suo Bambini aìfgani (Bachcheha-ye afgan, 2002)
la triste storia di una giovane maestrina iraniana che organizza una classe privata,
ma economicamente affrontabile, per i piccoli rifugiati afgani. Per farlo usa
una stanza in affitto, che alla fine la maestra dovrà chiudere perché
non è in grado di pagarne la pigione. Nella scena finale, l'insegnante
esorta gli alunni, soprattutto le bambine, a non rinunciare all'istruzione, a
sforzarsi di continuare a studiare, perché questa è l'unica via
in cui essi possono ottenere progresso e libertà. Le ragazze afgane
che non si sono arrese e continuano nonostante le difficoltà, riescono
ad avere i loro lavori pubblicati da riviste on line o in antologie. Ora questi
testi possono scavalcare il confine, uscire dalla diaspora, cominciare a disegnare
una nuova mappa di immagini letterarie, ma anche di una nuova politica di coscienza
di genere. Al momento, anche se le afgane potessero tornare a casa, la possibilità
di una serena vita familiare e sociale, per non parlare di quella culturale e
letteraria, è alquanto remota. Nel frattempo, rimanendo in Iran, possono
gettare, all'interno della loro comunità, le fondamenta per un dialogo
che deve oltrepassare il confine per ricostruire il nuovo Afghanistan.
1
Mirshahi, 2000. 2Su questo argomento v. Hoodfar 2004 e Rostam-Povey 2007. 3Markaz-e
farhangi-ye nevisandegan-e Afghanistan. Mashhhad ospita una delle maggiori comunità
afgane in Iran. 4 V. Tober 2007 5Citato anche in Olszewska, 2007: 218-219). 6
Vecchia moneta usata sia in Afghanistan che in Iran. 7Ovvero Faizeh e Munis,
nel capitolo 6.
Bibliografia Ebrahimi, Mahbubeh (2007) Badha khwaharan-e
man-and (I venti sono mie sorelle). Tehran: Sure Mehr. www.atiban.com/article.aspx?id=1357.
Hillman, Michael C. (1990) 'An Iranian Finally Speaks as a Woman and as an
Individual' in Iranian Culture. A persianist View. Lanham. University press of
America: 145-172. Hoodfar, Homa (2004) 'Families on the Move: The Changing
Role of Afghan Refugee Women in Iran' Hawwa, 2, 2: 141-171. Mahajer, Najaf
'Ali (2004) Farhangnameh-e zanan-e parsiguy (Dizionario delle donne parlanti persiano).
Tehran: Avahdi. Mirshahi, Mas'ud (2000) She'r-e zanan-e Afghanestan (Poesie
delle donne d'Afghanistan). Paris: Khavaran. Mirzahi, Zakiyeh (2006) "She'r-e
zanan-e Afghanestan" (Poesia delle donne d'Afghanistan) Bokhara 44: 337-339.
Rpt. in www.bukharamagazine.com/treatise_print.php?tre_id=312. Mohammadi,
Reza (2007) 'Forugh Forrukhzad, sha'er-e ta'sir-gozar' (Forugh Farrozkhzad, la
poetessa ispiratrice).www.jadidonline.com/story/12022007/akmf/forough. ---(2006)
'Zanan-e sha'er-e sunnat-shekan" (Poetesse che spezzano la tradizione). www.jadidonline.com/story/11052007/fq/afghan_poets.
Olzeswka, Zuzanna (2007) 'A desolate Voice': Poetry and Identity among Young
Afghan Refugees in Iran Iranian Studies. Special Issue: Afghan Refugees40, 2 :
203-224. --- (2005) 'Stealing the Show: Women Writers at an Afghan Literary Festival
in Tehran' September 2005/Sharivar 1383. www.badjens.com/afghan.lit.html. Parsipur,
Shahrnush (1998) Donne senza uomini (Zanan bedun-e mardan), trad. it. di Anna
Vanzan, S. Marino, AIEP, 2000. Rostam-Povey Elah (2007) 'Afghan Refugees in
Iran, Pakistan, the U.K. and the U.S and Life after Return' Iranian Studies. Special
Issue: Afghan Refugees 40, 2: 241-261. Tober, Diane (2007) 'My Body is Broken
Like my Country': Identity, Nation and Repatriation among Afghan Refugees in Iran'
Iranian Studies. Special Issue: Afghan Refugees 40, 2 : 263-285.
|