Libreria delle donne di Milano

Verona 11 novembre 2011

Pina
Un film per Pina Bausch con la regia di Wim Wenders, Germania 2011

di Elisabeth Jankowski

Uomini e donne, gli uni schierati contro le altre, in una eterna differenza che nulla mai mitigherà. Il desiderio dell'incontro, la violenza, l'illusione, la consolazione e la tenerezza sognata. Molte scene accendono una memoria che è del corpo, come quella dell'uomo a cui qualcuno mette la donna in braccio ma lui la fa cadere. Forse non reggerà il peso dell'amore.
Le donne continuano ad avvicinarsi perché il loro desiderio d'amore è più forte dell'evidenza del reale. Immagini senza parole, gesti, passi, volti. Salgono da una profondità dell'esistenza che in me spettatrice fa risuonare corde che sento come vere. Pina Bausch non usa metafore, le cose sono come sono. Sono gesti che ricordano pezzi del mio vissuto che condivido con loro.
È proprio lì il punto del suo teatro danza. Non si tratta di individui protagonisti di una loro personale ricerca della libertà ma sono persone come me che entrano nel gioco della vita, sprovvedute forse, ingenue a tratti, timide e spinte dalla necessità di relazione.
Ciò che trovano non è mai definitivo ma sempre alimentato da un ulteriore desiderare. Quella sete di relazione non sarà mai soddisfatta, continua a muoversi vorticosamente come la danza in uno spazio di vetro dove la luce non basta ancora.
Angoscianti e contemporaneamente serene certe scene come quella della donna al guinzaglio che si spinge verso muri di cemento senza scampo mentre in uno spazio luminoso lontano passa una figura femminile vestita di rosso che sulla schiena porta un albero che la sovrasta di molto e fa credere in un mondo sereno.
Immagini liriche che toccano profondamente le nostre emozioni sono alternate da ricordi delle persone che hanno lavorato con lei. Rispondono a una domanda del regista. Wim Wenders usa sapientemente la stessa tecnica che usava Pina Bausch. Perché sono domande che lasciano libertà d'espressione. Così il ricordo, ancora vivo, cerca di ripercorrere la relazione che ognuno e ognuna di loro aveva con Pina. Diventa evidente che lei era stata capace di far emergere i desideri più profondi e di dare loro il coraggio di esprimerli. Sono ballerine e ballerini di origini diversissime e parlano nella propria lingua materna. Si capisce che per dire quelle cose ne hanno bisogno, perché solo nella propria lingua materna si può raggiungere quella semplice sincerità. La lingua materna è necessaria al nostro inizio e alla nostra fine. Le emozioni più vive sono esprimibili solo in quella lingua della natività.
Il desiderio di Wim Wenders di lavorare con Pina Bausch risale al 1985 quando Wim aveva visto lo spettacolo "Cafè Müller" a Venezia. Ma per molto tempo il regista non riuscì a partire con il suo lavoro perché sentiva di non aver ancora trovato una forma adeguata. Solo dopo l'esperienza della tecnica 3D il suo sogno si fece più realizzabile e a partire dal 2008 cominciò a parlare con Pina del progetto. Le prime riprese live nel Wuppertaler Opernhaus sono del repertorio 2009/10 del teatro: Cafè Müller, Le Sacre du printemps e Vollmond.
Nella seconda fase delle riprese fu filmato il "Kontakthof", sia nella versione "over 14" che "over 65". Poi il teatro diventa limitante e a un certo punto la danza esce dal teatro per emigrare verso la città. Wim Wenders ambienta le scene successive nei luoghi della città di Wuppertal, città natale di Pina Bausch e di Friedrich Engels.
La macchina da presa deve ballare con le danzatrici e con i danzatori, deve cioè stare sempre vicino al luogo del movimento. Solo in questo modo si ottiene la profondità dello spazio. Wim Wenders comunque dice che la terza dimensione, per lui, non vuole creare un'attenzione alla tecnica 3D ma vuole diventare invisibile in modo che l'arte di Pina possa emergere in tutta la sua potenza.
Dopo solo sei mesi d'intenso lavoro preparatorio comune Pina muore improvvisamente all'inizio dei lavori di ripresa. Le sue parole risuonano ancora nelle teste di tutti e negli spazi dei suoi luoghi. In quel drammatico momento di commozione i lavori si fermano ma dopo, a richiesta della compagnia, ricominciano le riprese che non possono non esprimere la ferita ancora aperta della sua mancanza e il più commosso impegno dei suoi danzatori e delle sue danzatrici che sono colti in un gesto estremo di danza-affidamento. Sorprendente, l'ammirazione sconfinata che Wim Wenders riesce a tributare a un'altra artista. Il frequente atteggiamento narciso di chi crea l'opera si sente del tutto assente.
Pina nasce nel 1940 con il nome di Philippine Bausch a Solingen vicino a Wuppertal, dove i genitori gestiscono una trattoria con alloggio. Pina e le sue sorelle e i suoi fratelli devono aiutare nell'azienda di famiglia dove lei ha l'occasione di incontrare i personaggi più diversi che lei introietterà a tal punto da poterli far emergere, più tardi, sul palcoscenico. Le persone arrivano e partono, parlano del loro amore, dei loro desideri, della Sehnsucht, delle loro angosce, ma restano anonime. Loro sono loro ma sono anche noi, sono io, sono Pina. A 14 anni la futura coreografa comincia a studiare danza alla famosa Folkwang-Hochschule di Essen con Kurt Joos che libera il balletto dalle catene della danza classica. Vince un premio e studia a New York alla Juillard School of Music, la Mecca della danza moderna dell'epoca. Lavora anche alla Metropolitan Opera e conosce soprattutto la musica jazz. In futuro per lei i generi musicali non avranno più importanza, mescola musica seria e leggera a suo piacere. Torna a Essen nella sua città e dal 1973/4 dirige il Balletto di Wuppertal che presto sarà chiamato da lei "Tanztheater". Il nome risale al 1920 ma lei ne fa immediatamente un programma innovativo. Presto svilupperà un genere completamente nuovo e con "Le Sacre du printemps" (1975) il suo lavoro, tutto nelle emozioni travolgenti e nella fisicità immediata fuori dai canoni, getta le basi per questo nuovo genere.
Una prima crisi arriva quando è chiamata al famoso teatro contemporaneo di Bochum diretto da Peter Zadek. Molti dei suoi danzatori gettano la spugna e lei deve lavorare solo con alcuni. L'esperimento frana sotto le proteste del pubblico ma Pina Bausch ha trovato il suo stile di lavoro: lei pone delle domande e la risposta sarà solamente nella danza, per mettere in moto il movimento più autentico di coloro che danzano. Questo Tanztheater, una autentica rivoluzione coreografica, d'ora in avanti sarà sempre un'interrogazione sui sentimenti umani più elementari. Al contrario della parola, la danza riesce a lasciare le risposte e le ricerche in un ambito preverbale, o non solo verbale. Diventano possibili risposte che la voce non avrebbe coraggio di nominare e la testa non dirige ma è il corpo che si fa promotore di esperienze godute o sofferte nell'infanzia e nei momenti di grande partecipazione esistenziale.
Il cinema riesce a portare l'arte all'esterno e Wim Wenders sceglie i luoghi della loro comune infanzia. Lui, nato a Duesseldorf da padre tedesco e madre olandese, vivrà la sua infanzia a Oberhausen-Sterkrade, il cuore della Ruhr industriale.
Le scene iniziali sono girate sull'ascensore che porta al museo del carbone che si trova a Essen, la città degli studi di danza di Pina, ed è situato all'interno di un impianto di industria pesante di dimensioni direi a 3D. Ormai dismesso e aperto al pubblico è diventato un luogo privilegiato dell'arte contemporanea e sostenuto dall'Unesco. Sia gli abitanti della città circostante sia i turisti in visita restano a bocca aperta nel percorrere questa città di lavoro che ormai non ha più gli assordanti rumori delle macchine ma un silenzio poetico che ricorda il passato drammatico degli operai della Ruhr.
Anche la scena con la danzatrice che esegue un assolo sulle punte è stata girata alla Zeche Zollverein/Kokerei dove il gioco fra danza classica e immersione in un mondo di lavoro operaio non può essere più forte. La scena all'interno di una costruzione tutta cemento armato con le finestre irregolari che incorniciano un lontano paesaggio industriale, è stata invece girata all'interno della casa Sanaa-Kubus (2002), progettata dall'architetta giapponese Kazuyo Sejima che era anche la direttrice della 12a Biennale d'architettura di Venezia nel 2010.
Moltissime scene sono state ambientate nel metrò sospeso per aria che scorre sopra il fiume Wupper di Wuppertal per esprimere uno dei suoi temi preferiti, "la leggerezza". Invece le danze all'incrocio fra strade di scorrimento e con sullo sfondo l'insegna di Mc Donalds sono più da attribuire a uno stilema tipicamente wenderiano.
Struggente anche l'ambientazione nella casa di vetro e sotto il ponte sull'autostrada vicino a Solingen.
Le scene di chiusura sono girate alla Halde Haniel, una montagnola artificiale alta 126 m dalla quale si vede la vicina Olanda e alcuni giganteschi impianti industriali della Ruhr. Il cratere di questa Halde in estate viene trasformato in arena per il teatro e dal 2007 il cerchio esterno è segnato da una serie di totem dell'artista basco Agustín Ibarrola. Suggestiva la danza attorno ai totem piantati in questo paesaggio lunare che segna un nuovo inizio postindustriale.