Libreria delle donne di Milano

Interventi del convegno SCUOLA: UN TEMPO PIENO DI VITA. Milano, 25 settembre 2004

INTERVENTO di Paola Galimberti
mamma del coordinamento di zona 8

Sono una mamma di cinque figli. Tea che va al nido, Maria che inizia la materna, Margherita che inizia le elementari, Pietro che fa la terza e Nicola che frequenta la seconda liceo. Sono una mamma che lavora, all’università, in biblioteca, e sono una mamma sola, almeno nell’organizzazione della vita familiare dal lunedì al venerdì. Vorrei iniziare raccontando una giornata qualunque della mia vita, una giornata come le vostre, in cui, forse, i problemi quotidiani si moltiplicano per via del rapporto uno a cinque. Credo sia importante ricordare come noi genitori milanesi ci relazioniamo al tempo e a questa città, e come il tempo a seconda dei momenti venga diviso, moltiplicato, sottratto, annullato, polverizzato in queste giornate che sembrano cortissime per durata e pure lunghissime per intensità. I tempi dei miei bambini scandiscono la mia vita, ma sicuramente il fatto che abbiano età così diverse influenza la scansione del tempo nella nostra famiglia. Non c’è un tempo per tutti, ciascuno ha il suo, ed è importante, nel limite del possibile, tenerne conto.

Fra le 6 e le 7 le tre bambine si svegliano, le lavo, le vesto, facciamo colazione, poi si sveglia Pietro che devo vestire mentre è ancora nel letto, e usciamo di casa dopo che per trenta volte ho chiamato Nicola, sperando che un rigurgito di coscienza lo faccia alzare per arrivare in tempo a scuola. Alle7,45 lascio Tea al nido, alle 7,55 Margherita e Pietro al prescuola delle elementari, alle 8 Maria al prescuola della materna. Posteggio la macchina e vado all’università. Alle 3,45 esco dal lavoro spesso saltando la pausa e comunque prendendo sempre permessi, vado a prendere Maria alla materna, poi Margherita e Pietro alle elementari (da Tea va una baby sitter perché altrimenti dovrei uscire troppo presto) e cominciano gli accompagnamenti a nuoto o tennis, oppure a nuoto e tennis. Riesco a fare la spesa nell’ora in cui i bambini fanno attività sportiva. Recupero tutti i bambini e torniamo a casa. Tutti fanno il bagno e cerco di preparare la cena. A questo punto arriva immancabile la telefonata di Nicola che torna dagli allenamenti a Milano 2 e che vuole che vada a prenderlo alla metropolitana (“perché insomma io a lui non ci penso mai”). Una volta su due (vale a dire un giorno sì e uno no), carico tutti in macchina e vado a prenderlo. Quando finalmente siamo tutti a casa faccio da mangiare fra le proteste generali perché “insomma non è mai pronto”. Intanto Tea è arrivata al limite, dopo mangiato la porto subito dormire perché non ce la fa più. Finiti i cartoni alla televisione tutti devono andare a letto. Il tempo dopo le 9 sarebbe quello che potrei finalmente dedicare allo studio e alla lettura. Purtroppo spesso sono così stanca che mi addormento sui libri. In questo ultimo anno mi sono permessa il lusso di uscire almeno una volta alla settimana per andare alle riunioni del coordinamento della zona 8, lasciando i bambini addormentati a Nicola che mi chiama puntualmente al telefono appena uno di loro si sveglia. Questa è la quotidianità per me, quando non ci sono comitati di gestione o consigli di scuola, riunioni di classe o assemblee dei genitori, feste di Natale o di fine anno, colloqui con educatori, insegnanti o professori, visite mediche di vario tipo il tutto moltiplicato per cinque. Tutto è calcolato al centesimo di secondo. Il più piccolo granello di sabbia nell’ingranaggio fa saltare tutto il meccanismo, e questa è sicuramente la parte più pesante, il dover riprogrammare tutto perché l’impianto continui a funzionare.

In questa organizzazione la città, questa città, non è di nessun aiuto. Vogliamo che i nostri figli si muovano, giochino, stiano insieme ad altri bambini, ma la maggior parte degli spazi, parchi e giardini, non sono decorosi, non è questo che vogliamo offrire ai nostri figli. Molte case non hanno i cortili, e comunque se c’è un cortile magari non ci sono bambini. Allora proprio ora, a settembre, inizia la corsa ai corsi (di nuoto, tennis, danza, judo calcio, atletica, pallacanestro) quando ci siamo accaparrati il corso, ci sembra sempre che non sia buono abbastanza per i nostri figli, che i compagni non siano all’altezza… Spesso dobbiamo spostarci in macchina o coi mezzi, perdendo la dimensione della vita all’interno del quartiere, togliendo ai nostri figli la possibilità di muoversi autonomamente e di crearsi una rete di relazioni nella zona in cui vivono.

Ogni scelta comporta una rinuncia...
Lo diceva sempre la mia prof. di greco il giorno prima di uno sciopero. In effetti non vado al cinema o a teatro. Non esco mai la sera (soprattutto ora che mi permetto il lusso delle riunioni del coordinamento). Ma questo non è grave. Una punta di disagio la provo invece quando Pietro mi chiede di giocare a Monopoli e io non riesco mai a giocare una partita fino in fondo perché c’è sempre qualcos’altro da fare, o quando Nicola mi chiede di stargli seduta vicino mentre fa latino e io devo rispondergli che l’esercizio lo guardiamo dopo quando l’ha finito (mentre lui vorrebbe solo qualcuno che gli fa compagnia). In questi casi mi sento inadeguata. Allora ogni tanto capita che faccia saltare tutto l’impianto, che mandi al diavolo corsi e impegni e che mi sieda sul divano a giocare al ristorante o alle mamme ai giardini con le bambine e pazienza.

Ho scelto con convinzione di stare vicino ai miei figli cercando di capire come funzionavano le strutture educative in cui vivevano gran parte della loro giornata, senza di me. Ho studiato i programmi, i progetti educativi, i meccanismi burocratici. Ho cercato di entrare in queste strutture per potervi partecipare nel limite degli spazi concessi ai genitori. Sono presidente del comitato di gestione del nido, del consiglio di scuola della materna, sono nella commissione cultura delle elementari e nella commissione biblioteca del liceo, nonché nel coordinamento della zona 8 e nel coordinamento delle superiori (ahimè unico genitore, forse perché si pensa che arrivati al liceo la scuola riguardi solo i ragazzi) e, fin dalla sua fondazione, in Chiedo Asilo. Normalmente leggo e scrivo i documenti per le riunioni sul tram, spesso in piedi perché non c’è posto. Devo dire che tutto ciò richiede tempo e cura. Ma ne è valsa la pena perché mi ha permesso di prendere coscienza di ciò che facevano i miei figli, di avere un più stretto contatto con le persone a cui li affidavo. Quando lascio i miei figli nelle loro scuole, sono tranquilla, a volte persino contenta. E se lo sono io, c’è una buona possibilità che lo siano anche loro. Quando si è cominciato a parlare di riforma, prima di rifiutarla, ho voluto leggerla. Leggere i programmi, le ipotesi organizzative, le circolari. Come genitore non sentivo il bisogno di una scuola spezzettata, di un’ulteriore frammentazione nella vita già così frenetica dei miei figli. Non credo che sia utile, non credo che a loro faccia bene girare come trottole da uno laboratorio all’altro, da un gruppo di recupero a uno di eccellenza, da una maestra all’altra; non credo che a loro faccia bene perdere il riferimento della classe con i suoi tempi di lavoro e i suoi tempi di noia, con il tempo di aiutare i compagni che non hanno ancora finito e di rendersi conto che anche questo è un modo di lavorare. Non mi piace che nella classe di Margherita (che parte quest’anno con bimbi che frequentano 40 ore e bimbi che frequentano 27 ore) ci siano cinque bambini che due giorni alla settimana se ne vanno all’una, e mi piace ancor meno che in quei due giorni dei bambini di prima elementare debbano fare un’unica tirata fino alle 13. Ora che so, non sono più così tranquilla. Se vedo un’insegnante che appoggia la riforma non riesco a non guardarla con diffidenza e pregiudizio. Il nuovo sistema scolastico è stato costruito all’insegna della sottrazione. Si sottrae il tempo alle compresenze, si sottrae il tempo della ripetizione dei programmi di storia e di geografia, si tolgono (al liceo) le ore per le supplenze e la programmazione. Si tolgono anni alla laurea riducendo i programmi a uno studio sterile e mnemonico da pagina a pagina. E questa scuola sarebbe pensata (se mai dietro ci sta un pensiero) per le famiglie, per i ragazzi, per i bambini, per tutti i bambini? Perché mai noi genitori dovremmo accettarla?

Ultimamente mi sono accorta di essere molto in ansia, di non avere più quella fiducia che avevo prima verso la scuola, e ho avuto la reazione di cercare di sopperire di persona. Certo,le persone restano le stesse, ma mi rendo conto che vengono via via private degli strumenti per potere insegnare come hanno sempre fatto. Ho cominciato a comprare per Pietro racconti che abbiano come sfondo la storia (magari quella che non farà mai alle elementari), a prendere libri su Archimede, Galileo, a parlare con lui di città, regioni stati e continenti, ma so che casa mia non è il luogo dove imparare queste cose. Ho preso contatto con la bibliotecaria della scuola elementare per cercare di portare avanti un progetto di rilancio della biblioteca, per organizzare percorsi di lettura, per acquistare nuovi libri laddove nella riforma non si fa neppure menzione della letteratura per l’infanzia. Ho preso contatto con il liceo per organizzare corsi di alfabetizzazione informativa, per cercare di insegnare ai ragazzi come muoversi nel mondo dell’informazione, come ricercare le informazioni, come valutarle, come sceglierle. Ho proposto agli insegnanti del biennio del liceo un bel percorso di lettura cogliendo uno spunto interessante della fondazione Mondadori…. Ho cercato di influenzare le letture di Nicola proponendogli i miei libri ma anche accettando di leggere i suoi, di ascoltare la sua musica proponendogli la mia. Lo scambio è stato proficuo. Siamo sicuramente in contrasto su un sacco di cose e i litigi non si contano, ma esistono dei punti di contatto, e il rapporto è dialettico.

Credo che un discorso a parte vada fatto per i ragazzi che frequentano le superiori. Il primo giorno di scuola di Nicola il preside del liceo ha fatto un discorso molto bello, il cui succo era: informatevi, chiedete, parlate con i vostri ragazzi di ciò che fanno a scuola, perché non c’è nessuno fuori di qui a cui importi qualcosa di come impiegano il loro tempo. L’ho trovato un consiglio saggio e realistico, ma troppo amaro. Cercare di sopperire individualmente è una risposta che ha dell’onnipotente e alla fine è fallimentare. Fuori della scuola c’è la società, e la società siamo noi. A noi importa della scuola e siamo qui a ridiscutere il tempo come fatto collettivo e sociale; a riaprire delle domande che riguardano la scuola, ma anche la nostra vita.

Certamente tutto ciò che è successo durante lo scorso anno scolastico ha dato modo a molti genitori e anche a molti insegnanti di prendere coscienza, di risvegliarsi, di riunirsi per discutere, per pensare, e questa mi sembra una cosa buona, ed esattamente il contrario di ciò che si voleva ottenere. Credo che riunioni come queste siano importanti perché le idee circolino, perché si possa avere una visione che (almeno per noi genitori) vada al di là dei risultati scolastici dei nostri figli.

Il tempo per ringraziare
Questo è un tempo che da qualche anno a questa parte ho deciso di prendermi a tutti i costi. Tutti i giorni affidiamo i nostri figli a delle persone che se ne prendono cura. Io sono stata fortunata, perché le persone a cui ho affidato i miei figli se ne sono sempre prese molta cura, così come si sono prese molta cura di noi genitori,delle nostre ansie, dei nostri dubbi. Credo che il loro lavoro meriti un ritorno che non è certo monetizzabile o riducibile al regalo di Natale o di fine anno. E’ invece il far capire che capiamo quello che stanno facendo, e magari scriverlo, è il ringraziarle per l’impegno, la cura, la professionalità, la pazienza di ogni giorno nonostante tutto, è anche comprendere le ragioni di uno sciopero che magari ci scombina tutta l’organizzazione. Anche agli organizzatori del convegno, a Retescuole credo vada rivolto un grazie enorme per il lavoro di diffusione e circolazione delle informazioni e per la possibilità di confronto. Comunque vada questo tempo è stato ben impiegato.