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17.01.05
Le capo-vergini
del martirio
Manuela
dviri
"Doveva
essere ben profondo quel pozzo (...) giù giù giù
(...) il centro della terra non dovrebbe essere tanto lontano (...) e
se attraversassi tutta la terra? arriverei dalla parte opposta (...)".
(da "Alice nel Paese delle meraviglie")
Una mattina
di metà gennaio, era appena tornato il sole, mi sono trovata catapultata
al centro della terra, nel mondo alla rovescia, dalla parte opposta, nel
"sancta sanctorum", la prigione israeliana che custodisce le
"suicide", le donne martiri palestinesi, le "kamikaze"
vive. Sono qui, e vive, perché hanno cambiato idea all'ultimo momento
o sono state arrestate o non ci sono riuscite. Vivono da allora a poca
distanza delle più belle ville israeliane, nel cuore della zona
più fertile d'Israele, il Sharon, nell'omonima prigione. Sono custodite
dentro una sorta di labirinto, dietro sette, forse otto tra porte di ferro
e cancelli, al di là di lunghi corridoi a cui pochi hanno il permesso
di accedere, e ai quali si arriva scendendo e risalendo scale e contro
scale.
A ogni porta che si chiudeva, quella mattina di metà gennaio, a
ogni giro di serratura, la interprete che avevo accanto si girava verso
di me con occhi sempre più spaventati.
B. la guardia non armata ("da noi non usa portare armi"), una
giovane donna bionda dall'aria tranquilla, descrive così le sue
"ragazze":
"Sono trenta, tra i 17 e i trent'anni, sposate e nubili, con figli
e senza. Le loro sono storie da mille e una notte. Alcune di loro hanno
riscattato in questo modo un padre/fratello/marito/amante collaborazionista,
altre sono sfuggite così alla morte per delitto d'onore, per altre
ancora, psicologicamente fragili, è stato un bel modo di suicidarsi
diventando, contemporaneamente, eroine della patria. Quasi tutte provengono
da famiglie di livello socio- economico basso.
"Per me però sono solo normali ragazze, non voglio sapere
che cosa hanno fatto, né giudicarle o tanto meno odiarle, perché
non riuscirei più a prendermi cura di loro".
"Come
sono organizzate?"
"Molto
bene, con tanto di elezioni democratiche (durante le quali le ci furono
feroci risse , raccontarono allora i giornali n.d.r.) ; hanno persino
scelto due capigruppo che fanno anche da portavoci, una per Hamas e la
Jihad, una per Al Fatah e i martiri di Al Aqsa (i due gruppi non vanno
molto d'accordo). Le due cape scelgono anche chi - e se, quando e come
- verrà intervistata, e io non assisterò all'intervista.
"Lei può chiedere e scrivere tutto quello che vuole. Adesso
esco, ma solo per cinque minuti, per portare uno dei loro bambini dal
pediatra.
"Questa è la cucina dove si fanno da mangiare, questa è
la lavatrice, potete fotografare ovunque tranne che nelle celle per una
questione di privacy... se ha bisogno di me, mi chiami pure".
Non ne ho
avuto bisogno.
Per convincerle mi ero portata due "Vanity Fair" con copertine
maschili (le donne senza velo, pensavo, non sarebbero state particolarmente
gradite). Richard Gere è stato subito riconosciuto (Mentana, mi
dispiace, no) e gli incontri sono stati autorizzati molto rapidamente.
Gere è poi sparito misteriosamente in una delle celle, da cui non
è più riapparso.
Con le intervistate - che, di due che erano in programma, sono diventate,
cinque ore dopo, otto - mi sono incontrata nella saletta del direttore,
senza alcuna guardia visibile, e poi fuori, nel cortile interno accanto
alle celle. L'atmosfera era tranquilla, senza drammi.
A casa, la sera, sono crollata.
E queste sono alcune delle loro storie.
Gruppo A: Hamas-Jihad
Ayat Allah (miracolo di Dio) Kamil, di Kabatya, 20 anni.
Baid Yaam, Campo profughi "Ballata", 26 anni.
Haula Hashash, 19 anni, di Nablus e Raida Jadana,
Ayat:
"Sono nata a Kabatya, ma ho vissuto tutta la mia infanzia in Arabia
Saudita. La vita in Saudia era magnifica per una donna, lì sì
che si vive nello spirito dell'Islam, li sì che la donna viene
trattata come la più preziosa delle pietre. Poi, dopo un anno in
Giordania, sono tornata in Palestina, con i miei otto fratelli e sorelle".
"Come
sei diventata martire?"
"Per
la mia religione. Sono molto religiosa".
"Ma
il Corano non parla di donne shaid (martire)".
"Per
la guerra santa (Jihad) non c'è differenza tra uomini e donne".
"Secondo
il Corano il martire maschio verrà accolto in paradiso da settantadue
splendide vergine, e la martire femmina?"
"La martire femmina sarà la responsabile, la direttrice, l'ufficiale
delle 72 vergini, la più bella delle belle".
"E
come e quando ti è venuta l'idea di immolarti per la patria e diventare
la capo-vergine?"
"Ho
chiesto a Dio misericordioso, di aiutarmi, e lui mi ha mandato l'idea
di fare ufficiale richiesta alla persona giusta, ( che nel mio caso è
stata una ragazza come me), la mia richiesta è stata accettata
e mi sono arruolata".
"E
quindi, se ci fossi riuscita, avresti potuto uccidermi..."
"Avrei
preferito uccidere soldati, non civili, non mi sarei mai fatta esplodere
apposta tra malati, in un asilo o in un gruppo di anziani".
"Ma
io non sono malata né vecchia né bambina, e poi quando esplode
la bomba non guarda tanto per il sottile, avresti potuto uccidermi facilmente..."
"Pazienza.
Vuol dire che era il tuo destino, o quello del fotografo o dell'interprete
che sono con te, dipende... io non posso cambiare il destino..".
"Come
molti altri, israeliani e palestinesi, sono anni che lavoro per un futuro
migliore, anche vostro. Io faccio il possibile per aiutarvi, per aiutarti,
mi uccideresti ugualmente?"
"Il
destino è destino, non guarda a quello che fai o sei
"
Qui s'intromette
la amica Yaam, fazzoletto nero, occhi di fuoco:
"Anche l'esercito israeliano non distingue tra uomini e donne, vecchi
e bambini, noi non abbiamo un esercito organizzato, non ho nulla contro
di te personalmente, ma la guerra è così, e ogni palestinese,
uomo o donna, è un soldato".
"Avete
sogni per il futuro? E che sogni?"
Ayat:
"Che il mondo diventi islamico, un mondo in cui vivremo tutti in
pace gioia e armonia, tra esseri umani, animali, fiori, piante e pietre.
L'Islam porterà la pace persino tra i vegetali e gli animali ,
l'erba e i sassi .... E tu potrai rimanere ebrea, quello che vuoi, non
importa, ma in un mondo islamico".
"E
come passano, nel frattempo, aspettando il perfetto mondo islamico, le
vostre giornate?"
Yaam:
"Ci alziamo alle cinque e preghiamo cinque volte al giorno: la preghiera
della mattina, di mezza-mattina, di mezzogiorno, di metà-pomeriggio
e sera. Tra una preghiera e l'altra leggiamo versetti del Corano; e poi
abbiamo i nostri digiuni, non tutti importanti come il Ramadam, ma pur
sempre digiuni. Oggi, per esempio, siamo a digiuno, che tra l'altro fa
anche molto molto bene alla salute. Nel tempo libero studiamo ebraico
e anche russo da una ragazza russa che si è convertita all'Islam".
Ayat:
"L'importante è fare sempre qualcosa, non stare senza far
nulla, essere sempre attive".
"È
proprio quello che mi preoccupa. Sono contenta di avervi incontrate qui
e non per la strada".
Le
due sorridono:
"È il destino"
"E
non riesco proprio ad accettare che con quel viso angelico e quegli occhi
innocenti siate capaci di esplodere in mille pezzi e uccidermi..."
Yaam:
"Se ti avessi incontrata per la strada e ti avessi vista ferita o
bisognosa di aiuto ti avrei aiutata. Anche con le guardie, qui, siamo
in ottimi rapporti, ma fuori è un'altra storia, è un campo
di battaglia. Nulla di personale, ripeto. E la risposta è la conversione
all'Islam".
"C'è
chi crede la stessa cosa della Bibbia, del Vangelo, di Budda
"
Ayat:
"Si sbagliano".
Haula: "Sono figlia del mio popolo e, fino a quando ci sgozzerete,
noi dovremo reagire. Questo è il nostro paese, non il vostro, è
tutta lì la differenza" dichiara.
Raida (l'unica
con il capo scoperto) :
"Io in verità non ho fatto niente. E se avessi saputo come
andava a finire non avrei fatto neanche quel niente che ho fatto. E adesso
mi sono pentita. No, non è la prigione che mi ha cambiata. Sono
cambiata io, da sola. E poi ho tanto nostalgia della mia mamma. Sono la
più giovane della mia famiglia e malgrado abbia 22 anni, adoro
dormire raggomitolata nel suo grembo. Mi manca tanto. Quando mi hanno
arrestata ero proprio nel suo letto, accanto a lei... non vedo l'ora di
tornarci, di tornare a dormire lì nel lettone con lei.
Prima, io facevo l'estetista, e a dir la verità ho anche orrore
del sangue".
Qualcosa
di grosso deve aver pur fatto anche lei per essere qui , mi dicevo poco
convinta, mentre mi avviavo verso il secondo gruppo, quello delle meno
religiose, le Fattah.
Gruppo
B: Al Fatah, Martiri Al Aqsa
Kahira
Saadi e Chamor Teoraia
Nel cortile
del secondo gruppo mi aspettava Kahira Saadi, una delle celebrità
locali.
Kahira, velo grigio, occhi tristissimi, ha ventisette anni ed è
già madre di quattro figli.
È la responsabile di un attentato in cui sono morte quattro persone
e ne sono rimaste ferite ottanta. Tra i morti, Zipi Shemesh, incinta di
cinque mesi, e suo marito Gad. Erano andati a fare una seduta di ultrasound,
e avevano lasciato a casa, con la baby sitter, le loro due bambine : Shoval,
sette anni, e Shahar, tre. I visi delle due bellissime bimbe bionde, così
piccole e così disperate, li ho ritrovati in un'antica pagina d'archivio
in internet.
Kahira è stata condannata a tre ergastoli e altri ottant' anni.
"Kahira,
dimmi la verità, i morti non ti perseguitano la notte?"
"No,
e poi l'attentatore si sarebbe fatto esplodere anche senza di me, io,
fisicamente non ho ucciso nessuno".
"Quanti
anni hanno i tuoi figli?"
"Sei,
otto, undici e dodici anni".
"E
con chi vivono adesso?"
"Con
mia suocera, anche mio marito è in prigione".
"Non
sei pentita di aver rovinato, oltre alla tua, la loro vita?"
"L'ho
fatto per difenderli. Non sono pentita, siamo in guerra. Però,
forse non lo rifarei. È stato un impulso" mi ha risposto Kahira
con aria truce.
"Perché
mi odi?" le ho chiesto in quel momento , spaventata da quegli
occhi e da quello sguardo.
"Ma
io non ti odio . Ma tu, invece, tu mi odi?"
"No.
Neanch'io".
"Eppure
dovresti... perché?"
"Credo
che la vera ragione di quello che hai fatto sia diversa da quella ufficiale".
"E
hai ragione, anche se le ragioni non te le dirò".
"E
poi penso che tu stia pagando abbondantemente. Chi viene qui a trovarti?"
"Per
i primi due anni non è venuto nessuno, adesso stanno cominciando
a venire i miei figli".
"Hai
avuto il coraggio di dirgli che da qui non uscirai mai?"
"No,
e confido che Dio in qualche modo risolva il mio problema; io, ripeto,
non ho ucciso fisicamente nessuno, quel giorno".
"Che
cosa hai fatto?"
"Ho
aiutato l' attentatore ad entrare a Gerusalemme, gli ho dato dei fiori
da tenere in mano"
"quando?"
"non
mi ricordo la data esatta , mi ricordo solo che era il giorno della festa
della mamma, per quello gli avevo preparato i fiori"
"Allora
era febbraio, era lamed b'shvat "secondo il calendario ebraico"
"come
fai a ricordartelo così bene?"
"Perchè
mio figlio è stato ucciso di lamed b'shvat , il giorno della festa
della mamma"
L'ho vista impallidire, quasi barcollare.
"No , non sei stata tu, era il 1998" ho aggiunto "e
mio figlio era soldato, era in Libano; il tuo attentato è stato
nel 2002. Di certo, però, abbiamo un anniversario in comune"
Khaira
mi ha guardato con uno sguardo che non riuscirò mai a descrivere
e non ha aggiunto una parola. Anche il lnguaggio umano ha i suoi limiti.
Chamor
Theoraia
L'ultima intervista, alla giovane donna che nella mia memoria è
rimasta impressa come "la suorina" per la sua aria dimessa e
il suo modo di portare il fazzoletto come il velo delle suore di una volta
(tutta una questione di moda, mi ha spiegato lei), è stata per
me anche la più difficile.
Credo che mi abbia colpito e spaventato soprattutto il contrasto tra il
suo viso da bambina, tutto un sorriso, con le fossette e le guance paffute
, e le sue convinzioni, totali, estreme, crudeli. Mentre la intervistavo,
Khaira, in piedi, accanto a lei, ascoltava e ogni tanto mostrava segnali
di disapprovazione. Poi di tanto in tanto si allontanava per tornare con
un bambino in braccio, un'amica, un'altra "martire" o aspirante
martire da intervistare.
Chamor Theoraia, crede con assoluta convinzione che tutti gli ebrei israeliani
debbano tornare ai Paesi da cui sono arrivati. "Tu in Italia, tu
in Germania, tu in Marocco!" punta il dito su di me (Italia), sul
fotografo (Germania) e sull'interprete (Marocco).
"E
che fare di chi viene dall'Iran , dalla Siria, dal Libano, dalla Libia,
Paesi che di certo non accetterebbero noi ebrei indietro?"
"Quelli
che vadano in America! Anzi, meglio che ci andiate tutti, in America"
risponde senza alcun dubbio.
Poi aggiunge che lei non crede in alcuna probabilità di accordo
tra i due popoli, che gli ebrei sono tutti traditori, che va bene fare
la pace, ma perché a sue spese? E che riprendersi la terra rubata
dai sionisti è molto più importante della vita dei suddetti
o della sua stessa. E che, purtroppo, l'hanno presa prima che potesse
esplodere, però...
Poco importa che avessi letto la sua storia vera, quella per la quale
era stata processata (niente di particolarmente patriottico, si era data
al martirio per una storia di amore contrastato dalla famiglia e poi all'ultimo
momento, quando era già pronta , vestita con la cintura esplosiva
con l'aggiunta di 35 chili di chiodi, ha cambiato idea ed è stata
arrestata ), a quel punto non ce l'ho fatta più.
Ho spiegato
alle ragazze che mi attendevano per chiacchierare (compresa la madre del
bambino appena tornata dal pediatra) che ero stanca e che "sarà
per la prossima volta". Alcune mi sono sembrate persino deluse. Poi
ho promesso di spedire l'intervista a una delle martiri e mi sono segnata
con cura il suo numero di cellulare al campo profughi (tra pochi mesi
sarà libera).
Il mio non gliel'ho dato; non mi sembrava il caso, viste le circostanze.
Sono ottimista, ma non pazza.
Fuori, mai ho tanto goduto l'improvvisa pioggia come quel giorno, e più
tardi, a casa, il mio letto dove ho dormito, quella notte di metà
gennaio, per ben 14 ore di fila, senza un sogno.
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