31 Luglio
2009
A
colloquio con Pina Bausch tratto
da Il teatro di Pina Bausch di Leonetta Bentivoglio, Ubulibri, Milano 1985 La
danza Ma perché tendi a usare tanto poco movimento nelle tue
produzioni più recenti? Qual è il tuo rapporto con la danza, oggi?
Pensi di fare della danza o del teatro? Faccio del teatro oppure della
danza? Questa è una domanda che proprio non mi pongo mai. Io cerco di parlare
della vita, delle persone, di noi, delle cose che ci muovono... E ci sono cose
che con una certa tradizione della danza non si possono più dire: la realtà
non sempre può essere danzata, non sarebbe efficace, credibile. Ancora
oggi mi piace vedere della buona danza, ma il più delle volte sento che
lì dentro c'è qualcosa di sbagliato. Non tanto nell'idea della danza,
voglio dire, ma nella finzione, nell'armonia forzata. È più importante,
per me, guardare la gente per strada piuttosto che andare a teatro a vedere un
balletto. In tutte le mie ultime produzioni, mi sono sempre sforzata di conciliare
la danza con quello che sento, con quello che voglio esprimere. Ma non sempre
è possibile, non sempre trovo la strada per farlo. E mentre lavoro insieme
ai miei danzatori, e mi piace quello che mi mostrano durante le prove, mi dimentico
immediatamente della danza, non la sento più come un problema: il fatto,
intendo, che dovrei farli danzare. Perché dovrebbero danzare proprio in
quel momento? Mi chiedo. Perché farlo se non è necessario, se non
è naturale? La creazione
di uno spettacolo Come nasce, oggi, un tuo spettacolo? Faccio centinaia
di domande ai miei ballerini, e i ballerini rispondono e mi mostrano qualche cosa.
Io so quello che voglio da loro, so quello che sto cercando. Ma il problema è
che molte volte, anche con molte domande, non si riesce ad arrivare a nulla di
concreto... Fare domande è
sempre il punto di partenza per qualsiasi lavoro? Non si comincia mai con il movimento? Si
comincia sempre con delle domande. Ciascuno riflette e risponde. L'elaborazione
dei movimenti la faccio sempre in un secondo tempo. Ognuno viene interrogato e
risponde, e tutto ciò naturalmente porta via molto tempo. Ma per questa
fase mi sono sempre tenuta del tempo, anche perché solo una piccola parte
di quello che trovo potrà veramente essere utilizzato. Prendiamo
uno spettacolo, per esempio Nelken. Ti ricordi la prima domanda con la quale hai
cominciato a lavorare per Nelken? Forse ho chiesto del Natale. Chiedo sempre
del Natale. Non sempre, ma molto spesso. E ogni volta in maniera diversa. Quella
volta tutti i membri della compagnia mi hanno descritto il menu del loro pranzo
di Natale, che cosa sono abituati a mangiare. Poi ricordo di aver domandato se
qualcuno se l'era mai fatta sotto per paura, e poi, ancora, in quale momento,
per la prima volta, si erano sentiti un uomo o una donna. Da queste domande non
è uscito niente. Certe volte penso di aver fatto delle domande molto belle,
ma poi non provocano nessun effetto. Allora cerco di riproporre una domanda analoga,
ma in maniera completamente diversa, con una formulazione nuova. E poi ancora
diversa, finché talvolta arriva una risposta utile: ma solo così,
per vie traverse. Ma come è
possibile che dalle domande nasca uno spettacolo? È un problema
di composizione. Dipende tutto da quello che si riesce a fare con le cose. All'inizio
non c'è niente, ci sono soltanto risposte, frasi, piccole scene. E resta
tutto separato, frammentario. Poi, a un certo punto, arriva il momento in cui
comincio a collegare una cosa che mi è sembrata giusta con un'altra cosa.
E questa ancora con qualcos'altro, e poi una cosa con molte altre. Quando poi,
di nuovo, mi sembra di aver trovato qualcosa che effettivamente funziona, ecco
che ho già una piccola cosa un po' più grande. E a quel punto cerco
di andare in una direzione completamente diversa. Magari comincio le prove con
l'idea di andare verso una certa direzione, poi il lavoro si sviluppa, cresce,
molte piccole cose a poco a poco diventano qualcosa di più grande, e la
direzione cambia da sola. In ogni caso, a tutto quello che è stato trovato
viene data una forma diversa, niente resta informe; e questo perché ogni
cosa acquista differenti significati nel momento in cui viene posta in rapporto
con delle altre. Soltanto pochissime cose rimangono nello spettacolo nella stessa
forma in cui erano all'inizio. Qual
è per te il momento più problematico durante la creazione di uno
spettacolo? Ogni nuova creazione è un lavoro immenso, faticosissimo,
anche se è una fase bella, positiva. Durante ogni creazione è come
un flusso, un enorme flusso di idee che arriva ogni volta. Credo che il momento
più difficile, per me, sia quello in cui il periodo delle domande finisce,
e devo iniziare a lavorare con il materiale che è stato trovato. I
danzatori del Wuppertaler Tanztheater In base a quali criteri Pina Bausch sceglie
i suoi danzatori? A volte la scelta è veloce, a volte prendo molto
tempo per decidere. Ma non significa, nel secondo caso, che si tratta di una cattiva
decisione. La scelta dipende da tante cose... Certo, spero sempre che un danzatore
abbia una buona tecnica, ma questa non è mai l'unica cosa che cerco. Ricordo
che in Sud America qualcuno mi fece la stessa domanda e io risposi: se c'è
qualcosa che mi colpisce di una persona, sono gli occhi. Occhi che abbiano uno
sguardo triste, da clown... Non so spiegare. Direi che quando scelgo una persona,
accade perché sento di avere veramente voglia di conoscere questa persona.
Le persone facili e carine non mi interessano. Io voglio poter imparare qualcosa
da loro. Perché lavori sempre
con ballerini, e non con attori? È il rapporto con il corpo che
è diverso. I danzatori hanno un rapporto particolare con il loro corpo.
Sanno cosa significa essere fisicamente stanchi, esausti. Quando sei stanco, capisci
meglio cosa significa essere semplice, naturale. Ecco, è questo che cerco,
la semplicità. Gli attori invece, quasi tutti, anche quelli che pensano
di essere naturali, non lo sono. L'attore è sempre portato a produrre qualcosa
fuori da se stesso, fa sempre delle proiezioni. Invece, dovrebbe essere molto
chiara e netta la differenza tra l'essere se stessi e il fare delle proiezioni. La
vita intorno Che cosa, culturalmente, ti influenza di più nella preparazione
di uno spettacolo? Da dove attingi tutte le tue idee? Ci sono altre forme d'arte
che ti influenzano? Mentre creo qualcosa di nuovo, faccio sempre il possibile
per evitare di vedere qualsiasi genere di spettacolo. Ho sempre paura di copiare
qualcuno, di farmi influenzare. Io leggo, ma leggere è diverso. Nelle parole
non c'è alcuna forma teatrale. La lettura può farmi venire delle
idee, ma le immagini associate a queste idee stanno soltanto dentro alla mia testa.
A volte mi dicono che assomiglio ad altri registi. Ma in certi casi non ho mai
visto niente di questi registi, e in vita mia non ho mai fatto nulla per somigliare
a qualcun altro. Certo, capita che ti arrivino delle cose, dei fatti dall'esterno,
che ti influenzano nella creazione. Ma è la vita, quello che accade intorno,
che ha inevitabilmente un'influenza su di te. Ecco, non direi proprio che sono
i fatti artistici a influenzarmi. Io cerco di parlare della vita. È l'umanità
che mi interessa, sono i rapporti tra gli esseri umani. Ci sono tante persone
fantastiche che capita di incontrare. Ci sono mille contatti, anche minimi, casuali...
È un'influenza particolare, che ti entra nel corpo, e non sai dove va a
finire, e non sai cosa sarà capace di stimolare, di generare, eppure senti
che è importante... Nella vita di ogni giorno ci sono tante cose, informazioni,
apparentemente piccole, ma in realtà fondamentali... È soprattutto
l'esperienza quotidiana che ha un'influenza su di me. Le
etichette: teatro dell'esperienza, espressionismo, femminismo. Più volte,
infatti, è stato detto o scritto che il tuo è un "teatro dell'esperienza".
Sei d'accordo? Formule, etichette, definizioni: me ne hanno appiccicate
addosso talmente tante! È la solita preoccupazione dei critici: vogliono
analizzare, scomporre, rintracciare a tutti i costi parentele e classificazioni.
Ma non credo di essere dentro una categoria. E non voglio neanche stare in una
categoria. Parlando ancora di etichette,
molto spesso Pina Bausch è stat descritta come un'agguerrita femminista.
E questo perché talvolta, nei suoi spettacoli, il rapporto uomo-donna viene
rappresentato in maniera brutale, spietata. Ti consideri femminista? Per
carità! Io cerco di parlare degli uomini e delle donne in eguale misura.
Non riesco a guardare l'esistenza da un solo punto di vista. Quello che mi interessa
è l'essere umano, sono gli uomini e le donne. [
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