Libreria delle donne di Milano

Milano, 7 maggio 2010

Il corpo delle donne e un libro che suggerisce come non accontentarsi di 'fare' l'attrice


Donatella Massara

Da Konstantin Stanislavskij a … Marlon Brando. Indicazioni e suggerimenti per chi non si accontenta di fare l'attore ma vuole essere attore, Editoria & Spettacolo, Roma, 2006, di Ombretta De Biase, ha il merito di essere divertente, competente e utile. Inoltre mi ha suggerito l'idea che il basso livello di partecipazione agli spettacoli a cui le donne si prestano sia addebitabile, anche e non solo, alla situazione che l'autrice espone.
Uno dei motivi caldi del libro è, infatti, la critica a attori e attrici italiani:<< L'Italia, paese delle cento meraviglie, non si smentisce neanche in questo campo […] non possiede nella propria memoria storica la nozione e quindi la tradizione culturale di scuola di recitazione mentre ha vantato e ancora vanta grandi attori che possono però servire solo come modelli.>>
Guardando Il corpo delle donne di Lorella Zanardo c'è di che chiedersi come mai ci siano donne che sostengono una televisione di così insulso livello. Considerato che a noi donne piace essere brave, è strano che ci sia chi accetta di sottomettersi a livelli così bassi di professionalità. Dice Ombretta De Biase: in Italia fioriscono le veline e i velini promossi dagli spettacoli di varietà, dai talk show, dai grandi fratelli, alle fiction televisive, o al cinema. Sono quelli che per recitare si infilano nel registro della quotidianità. L'attore entra in scena come se fosse uscito fresco da casa sua, ignorando la concentrazione, lo spazio e il sé "magico", i momenti che gli aprono la strada per entrare nel personaggio, si accontenta di una recitazione superficiale, 'naturale', ma senza la ricerca archetipa, profonda, rituale che accompagna il grande teatro. Una bella caricatura di questo tipo di attore l'abbiamo visto nel film Il camaleonte interpretata da Michele Placido.
Ragionando con lei, l'autrice mi ha suggerito di fare caso a quante donne oggi sono considerate importanti maestre di recitazione. Sono acting-coatch dal sistema Stanislavskij in poi Greta Seacat, Francesca Viscardi Leonetti, Ivana Chubbuck, Kristin Linkater, Elisa Eliot, Liliana Duca, Perla Peregallo, Dossy Peabody, Susan Strasberg.
Fra i modelli italiani penso a Anna Magnani. Figlia senza padre, a sedici anni, per recitare e studiare all'Accademia, lasciava la nonna che l'aveva allevata, perchè la madre viveva in Egitto con il marito. Non si adattò mai a interpretare ruoli che sminuissero la sua identità di donna forte che fa valere la differenza sessuale, nella sua complessità di natura, intelligenza, pietas. E questa fedeltà, più che a sé, a un'idea non asservita di donna, è già visibile dai primi film, dove interpreta ruoli secondari ma significativi: Tempo massimo, La Cieca di Sorrento, del 1934 e Quei due del 1935. Nannarella aveva una vena drammatica che esprimeva con tutto il corpo. In epoche in cui era ancora semisconosciuta, la sua presenza scenica faceva già saltare ogni stereotipo. Questa capacità originale è in azione in tutti i suoi personaggi, anche nei film meno riusciti, e la spinge sempre oltre la quotidianità, dalla Rosa tatuata, con cui vinse l'Oscar, nel 1955, ai classici della storia del cinema Roma città aperta (1945) e Bellissima (1951). Meno noto ma straordinario, Nella città l'inferno (1959), tratto da un romanzo di Isa Mari, sceneggiato da Suso Cecchi d'Amico, con un cast quasi tutto femminile, dove l'attrice è al centro di una rete di relazioni fra donne che la sua presenza valorizza più che mettere in sordina. E così potrei proseguire per i suoi 51 film. Anna Magnani agiva la recitazione come tecnica, come presenza e come istinto dell'attore, un mistero, che risale ai primordi dell'umanità, rintracciabile nei riti ancestrali e di cui ci avverte Ombretta De Biase. Una personalità artistica come quella di Anna imponeva ruoli diversi a ogni film, pur restando definita dalla sua immagine: con i capelli spettinati, il trucco che le risaltava gli occhi scurissimi e le occhiaie (<<non toglietemi le rughe ci ho messo tanti anni per averle>> - aveva detto), la movenza delle mani, la risata, la carica di passione verso l' oggetto di desiderio.
Mi chiedo, allora, perchè queste ragazze che vediamo per televisione non sognino di diventare una grande attrice, come Anna? Forse si accontentano di quello che viene loro offerto, forse non hanno abbastanza stima di sé per volere raggiungere una posizione artistica, forse sono state convinte a non chiedere troppo all'ambizione artistica e a chiedere di più dal punto di vista del denaro, forse non devono permettersi di pensare, per non sottrarre attenzione allo spettacolo già così modesto che stanno sostenendo e, allo stesso tempo, forse pensano che qualsiasi lavoro, nel campo dello spettacolo, sia raggiungibile, con un giusto appoggio, la bellezza disponibile alla chirurgia estetica, qualche lezione di dizione.
Ecco che il libro, bello, svelto, appassionato e ironico di Ombretta De Biase grande conoscitrice del teatro, aiuta a capire. La spettacolarità del corpo delle donne, di cui è impossibile non vedere l'inesistenza dichiarata del profilo artistico, fa pensare che possiamo darne la colpa, anche, e magari rimediarci, alla mancanza di scuole italiane di recitazione simili a quelle che ci sono in Gran Bretagna, Francia, USA.