Libreria delle donne di Milano

il Pensiero, settembre 2011

NILDE IOTTI E TINA ANSELMI: SIGNORE DELLA PRIMA REPUBBLICA
Franca Fortunato

LEONILDE (chiamata da tutti Nilde) Iotti e Tina Anselmi, due donne che, come molte altre, fecero del loro impegno politico una scelta di vita, da vivere con passione, dignità e onestà. Entrambe, comunista l'una e democristiana l'altra, iniziarono la loro attività politica alla scuola dell'antifascismo. L'emiliana Nilde Iotti (nata a Reggio Emilia nel 1920) e la veneta Tina Anselmi (nata nel 1927 a Castelfranco Veneto) entrarono nella Resistenza, l'una sull'esempio del padre, ferroviere, socialista sindacalista antifascista, e l'altra dopo aver visto, diciassettenne, un gruppo di giovani partigiani impiccati dai fascisti. La prima partecipa organizzando i "Gruppi di difesa della donna", formazione antifascista del Pci, la seconda diventa staffetta della brigata Cesare Battisti. Entrambe insegnanti, laureate in Lettere alla Cattolica di Milano, dove Nilde entra per volontà della madre, rimasta vedova quando lei aveva 14 anni, entreranno, in tempi diversi, in Parlamento, dove con signoria e intelligenza guadagneranno in libertà e autorità. Nilde Iotti entra nelle istituzioni immediatamente dopo la guerra. Nel 1946, l'anno del voto alle donne, dopo un'esperienza come consigliera comunale a Reggio Emilia, viene, infatti, candidata ed eletta all'Assemblea costituente, dove entra a far parte della Commissione dei 75 e contribuisce, così, alla stesura della nostra Costituzione repubblicana. Nello stesso anno inizia a Roma una relazione con il segretario del Pci, Palmiro Togliatti, di 27 anni più anziano (già marito di Rita Montagnana e padre di Aldo), che terminerà soltanto con la morte del leader, nel 1964. Il loro legame diviene pubblico nella contingenza dell'attentato del 1948. Togliatti lascia per lei moglie e figlio. Nilde, nell'Italia bacchettona, clericale e misogina degli anni cinquanta, dovette far i conti innanzitutto con l'ostilità dei militanti del Pci. È dalla sua esperienza di donna e di madre (con Togliatti adottarono una bambina orfana, Marisa Malagoli) che lei partì nel suo impegno politico per i diritti delle donne e della famiglia. Alla Costituente invitò l'Assemblea a regolare per legge il diritto di famiglia per l'uguaglianza giuridica dei coniugi (cosa che riuscirà a fare nel 1975), a riconoscere alla donna in "tutti i campi della vita sociale una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità" e manifestò la propria contrarietà a inserire nella Costituzione il principio dell'indissolubilità del matrimonio "considerandolo tema della legislazione civile". Negli anni '70 promuove le battaglie sul referendum per il divorzio (1974) e per la legge sull'aborto (1978). Anche Tina Anselmi, dopo essere stata sindacalista dei tessili e delle maestre e dirigente giovanile della Dc, entrata in Parlamento nel 1968, si occupa dei diritti delle donne e della famiglia. A lei si deve la legge sulle pari opportunità. All'indomani del delitto Moro, 1979, prima donna della Repubblica italiana, Nilde Iotti viene eletta presidente della Camera dove rimase fino al 1992, dando prova di grande capacità di mediazione e di rispetto degli altri. Dirà Anselmi ai suoi funerali: "Aveva una concezione della democrazia in cui l'avversario politico è un amico. Guardava sempre alle ragioni dell'altro". È questo che fece di lei una donna autorevole, tanto da ottenere da Cossiga un incarico di governo con mandato esplorativo (1987) e da essere candidata dalla sinistra alla Presidenza della Repubblica (1992). Nel 1985 è Nilde Iotti a nominare Tina Anselmi presidente della Commissione P2, dandole un grande riconoscimento pubblico per come aveva portato avanti, nei governi Andreotti III, IV e V, il suo incarico di ministra del Lavoro (1976) e della Sanità (1976). A lei si deve la riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale. Con quell'incarico la Iotti, andando al di là delle diversità politiche e ideologiche, riconosceva la grandezza di un'altra donna, segnando il Parlamento di autorità femminile. Anselmi lavorò nella Commissione intensamente, con libertà e onestà, fino alla fine del lavoro (1985), per far venire fuori intrecci e legami trasversali di ambienti tutti maschili, quello politico, massone, militare, dei servizi segreti, della criminalità organizzata, del potere finanziario e delle banche e, tra queste, quelle del Vaticano, in una miscela esplosiva di arroganza e di supponenza, d'impunità, ma anche di paura. Queste due donne diedero dignità alla politica e alle istituzioni e seppero uscire di scena con la stessa signoria e regalità con cui erano entrate. Quando la Iotti, per gravi motivi di salute, pochi giorni prima di morire, nel 1999 si dimise, alla Camera le venne tributato un'ovazione da tutti i parlamentari in piedi, tranne quelli della Lega, e al suo funerale in prima fila c'erano tutti, anche Tina Anselmi, che si sarebbe ritirata a vita privata nel 2001. L'uscita di scena dalle istituzioni e dalla politica della Iotti e dell'Anselmi, non al di là ma proprio per le loro diversità, simbolicamente rappresenta la fine della prima Repubblica delle donne. Fine ben diversa dalla prima Repubblica degli uomini, del cui potere Tina Anselmi, prima di Tangentopoli, aveva smascherato il volto nascosto della P2. Che cosa, alle politiche e ai politici di professione, è rimasto della testimonianza e dell'esperienza di Nilde Iotti e Tina Anselmi?