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UNA
CITTÀ n. 182 - Marzo 2011
FEMMINISTA
NON SI PUO' DIRE
Intervista
a Lea Melandri
realizzata da Barbara Bertoncin
Lea Melandri,
femminista e saggista, tiene corsi presso la Libera Università
delle Donne di Milano. Ha scritto, tra laltro, Linfamia originaria
(Erba Voglio 1977, Manifestolibri 1997), Come nasce il sogno damore
(Rizzoli 1988, Bollati Boringhieri 2002), Una visceralità indicibile.
La pratica dellinconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta
(Fondazione Badaracco-Franco Angeli 2008). è uscito in questi giorni
Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà (Bollati Boringhieri
2011).
Il dibattito
scatenato dalla manifestazione del 13 febbraio, curiosamente, ha visto
le femministe storiche assumere delle posizioni molto simili, nonostante
le divisioni che in passato le avevano viste in conflitto.
E' vero. Chi ha seguito un po il mio percorso sa che ho scritto
a lungo e in modo critico rispetto al "pensiero della differenza,
così come ha preso forma negli scritti della Libreria delle donne
di Milano. Il mio rapporto con Luisa Muraro, cominciato nel 1967, ha avuto
non pochi momenti di divergenza. In questoccasione, invece, il femminismo
storico ha assunto posizioni molto simili. Ciò non deve stupire,
perché al centro della manifestazione cerano i temi fondamentali
di quella che è stata la rivoluzione del movimento delle donne
degli anni Settanta. Mi riferisco al corpo, alla sessualità, al
rapporto di potere tra i sessi: temi insoliti per la vita pubblica. In
quegli inizi, infatti, si manifestava sulla questione della maternità,
dellaborto, della violenza sessuale, del divorzio, cioè su
quello che è stato storicamente il "privato e che il
femminismo è andato a ridefinire dicendo: "Nella vita personale
è stata confinata gran parte della storia non scritta della politica
e della cultura. Molti rapporti di potere passano allinterno
delle case, nei rapporti di coppia, nella famiglia, attraverso una sessualità
che è stata ridotta a funzione procreativa o messa al servizio
del piacere maschile. La grande rivoluzione degli anni Settanta è
stata portare allo scoperto una materia ritenuta tradizionalmente "non
politica, confinata nel vissuto del singolo.
Le vicende essenziali degli esseri umani -il nascere, lamore, la
sessualità, linvecchiamento, la morte- sono state, paradossalmente,
considerate insignificanti per la storia, per la politica e per la cultura.
Qual è
il grande cambiamento tra gli anni Sessanta e la situazione attuale?
Oggi il corpo, il privato, la vita intima, la fanno da protagonisti nella
vita pubblica. In virtù di che cosa? Purtroppo non solo e non tanto
come effetto della cultura del femminismo, e tanto meno nei modi in cui
ci si era prospettate il cambiamento.
Noi partivamo dal corpo -il luogo più lontano della politica- ma
con lidea che da lì potesse nascere uno sguardo nuovo e diverso
per interrogare la vita pubblica, le sue istituzioni, i suoi saperi.
La grande ambizione di quel movimento si esprimeva in una formula che
ora, a distanza, fa tenerezza: "modificazione di sé e del
mondo, dicevamo.
Rossana Rossanda ebbe allora a dire: "Sono andate nelle lande più
deserte, persino nellinconscio, riconoscendo che nello scavo
in profondità inesplorate cera qualcosa che scardinava la
storia della sinistra: non un suo complemento ma una "cultura antagonista,
che la metteva in discussione alla radice. Non a caso, ai livelli alti
della cultura e della politica, il femminismo trovò un muro. Lo
ha riconosciuto poco tempo fa la stessa Rossanda, a cui mi lega una lunga
amicizia: "Non vi abbiamo contrastato, vi abbiamo proprio osteggiato,
mi ha detto. Al che le ho risposto: "Beh, dovevi dirlo prima, forse
qualcosa cambiava!.
Tu hai
visto con sospetto soprattutto questa chiamata in soccorso rivolta alle
donne...
Diciamo la verità: la questione sesso-denaro-potere comincia molto
prima del 13 febbraio. La discussione risale a più di un anno fa
con la "questione Noemi e luscita pubblica di Veronica
Lario. Ricordo che il primo articolo che ho scritto allora si intitolava
"Antiberlusconismo e conflitto tra i sessi. Già lì
avevo visto delinearsi qualcosa che destava in me una certa diffidenza.
In particolare mi insospettiva veder incanalata tutta la questione uomo-donna,
che è enorme e complessa, nella figura e nel ruolo del Presidente
del Consiglio.
Il mio timore era che, incanalando la problematica del conflitto tra i
sessi e il tema sesso-denaro nella figura di Berlusconi, inevitabilmente
il dibattito non solo si sarebbe impoverito, ma ne sarebbe uscito completamente
deformato.
Una vicenda che parla dei nessi tra sfera personale e sfera politica si
riduceva al privato di una figura pubblica di alto rilievo: la politicità
della questione veniva solo dal fatto che toccava unistituzione
della politica.
Io ho seguito attentamente il dibattito così come è emerso
allora e ricordo bene che a discutere del corpo delle donne, di sessualità,
denaro e potere, erano quasi sempre solo uomini. Ogni tanto qualcuno faceva
riferimento allo slogan del femminismo, "il personale è politico,
ma più in là non si andava. In quelloccasione la cosa
più ovvia sarebbe stata chiamare qualcuna delle donne che si sono
occupate di questi temi, ma nessuna di noi è stata anche soltanto
intervistata.
Seguì poi la chiamata alla mobilitazione da parte di due giornali
-La Repubblica e lUnità- che quasi mai si erano occupati
della cultura femminista. Nel momento in cui viene allo scoperto la questione
Berlusconi-Noemi-DAddario, improvvisamente la parola femminismo
torna in auge. Per tanti anni era stata impronunciabile. Quando mi invitavano
a conferenze e mi chiedevano "Lei come vuol essere presentata?,
io dicevo: "saggista, scrittrice, femminista. "Ah, signora,
no. Femminista non si può dire. Quasi fosse una parolaccia.
Non solo, sempre nel corso di quella estate, a un certo punto, sulla Repubblica
leggo un articolo di Nadia Urbinati che parla del "silenzio del femminismo.
Non ci ho visto più: il silenzio era stato "sul femminismo,
non "del femminismo! Mandai anche una lettera a Corrado Augias
che, ovviamente, non venne pubblicata.
Questo per dire che limpressione di strumentalità, in quella
chiamata alla "rivolta delle donne, non era poi così
peregrina. Quando dico che delle donne ci si occupa solo quando servono,
intendo questo.
È una storia vecchia. Nellimmaginario dei sessi che abbiamo
ereditato, le donne sono o i corpi erotici che provocano unirrefrenabile
desiderio maschile (quindi dannazione, colpa e peccato) o lo spirito integro
che può salvare una civiltà in declino. La donna angelicata
e la prostituta sono due figure classiche. Per questo, a proposito del
13 febbraio, io ho scritto "Noi non siamo lesercito della salvezza,
e Luisa Muraro: "Noi non siamo le truppe ausiliarie. In sostanza,
intendevamo dire: "Noi non ci stiamo a essere la risorsa a cui si
ricorre solo nel bisogno.
Quindi le critiche, i dubbi, gli interrogativi sono venuti a ragione,
secondo me, ed è emblematico che siano partiti da chi su questi
temi riflette e scrive da oltre quarantanni. Spero tuttavia che
questa volta le donne abbiano la forza di restare in relazione fra di
loro, anche confliggendo, contrastandosi, ma senza contrapporsi, senza
pensare che chi muove critiche sia un nemico, uno che lotta "contro.
Io ho sofferto molto per questa logica contrappositiva. Sui palchi, a
Roma e a Milano, cerano amiche a me molto care, con cui lavoro da
anni e che si sono viste attaccate dai miei articoli sugli appelli del
13 febbraio.
Nei collettivi femministi degli anni Settanta non mancavano divergenze,
ma non era così importante il fatto che alcune aderissero e altre
no a una manifestazione. Alcune andavano e altre no. Importante era che
discutevamo sempre insieme, nelle stesse assemblee, prima, durante e dopo.
Quello che contava era la riflessione che accompagnava questi avvenimenti
e che durava mesi, anni. Alle manifestazioni di allora tante donne del
femminismo non sono mai venute. Quando Luisa Muraro, Lia Cigarini, Daniela
Pellegrini hanno detto: "Noi non andiamo, io non ho potuto
fare a meno di pensare: "Beh, non sono mai andate. Io invece
andavo sempre e anche il 13 febbraio ho partecipato, sia pure con un certo
disagio, per tutto quello che degli appelli non avevo condiviso.
Non vorrei che ora il fatto di esserci state o meno diventasse la ragione
di altre divisioni. Il movimento delle donne è articolato. Gli
uomini se ne dicono e se ne fanno di tutti i colori tra di loro. Perché
noi dobbiamo essere sempre un corpo unico, indifferenziato al proprio
interno? Quando vedono che abbiamo divergenze tra noi, il commento è
"beghe tra donne. Come mai il femminismo non dovrebbe avere
posizioni diverse? Perché non possiamo sostenere un conflitto?
Il conflitto non è la guerra. Il conflitto è la vita, è
la libertà di poter dire sono daccordo, non sono daccordo,
è fonte di grande vitalità.
Le femministe
sono state accusate di non aver fatto abbastanza per impedire che si diffondesse
questa immagine degradata del femminile ridotto a corpo in vendita, corpo
esposto, corpo immagine eccetera...
In realtà noi sul corpo delle donne abbiamo scritto e detto tantissimo.
Se almeno qualcosa fosse stato raccolto, forse limmagine del femminile
che vediamo oggi in televisione e nella pubblicità sarebbe un po
diversa. Purtroppo i mezzi di comunicazione non hanno mai dato voce al
modello che andava nascendo da una consapevolezza nuova dei rapporti uomo-donna.
Di questi altri modi di essere donna, che si venivano diffondendo nella
società, i media non si sono occupati.
A pensarci bene, il "bunga bunga noi lo vediamo tutte le sere
negli studi Tv. Berlusconi, usando del suo potere e della sua ricchezza,
è come se avesse trasferito nelle sue ville un format televisivo,
ad uso esclusivo proprio e dei suoi amici. Ma la domanda è legittima:
perché cè stata esitazione a denunciare il degrado
crescente nella rappresentazione del femminile? Perché non siamo
intervenute tempestivamente? Perché non abbiamo fatto manifestazioni
prima?
Direi che ha contato per molte la preoccupazione di sembrare moraliste
e bacchettone, il rischio di contrapporre alla donna che si esibisce come
corpo erotico, limmagine dignitosa della brava moglie, della buona
madre, della inappuntabile professionista.
Qui si tocca una questione di fondo. Noi abbiamo sempre sostenuto che
cè offesa alla dignità delle donne, alla loro libertà,
anche quando vengono ridotte al ruolo di madre, non solo quando si pongono
come oggetto del desiderio. Il corpo femminile è "al servizio
sia quando dà piacere sessuale sia quando si prodiga per la conservazione
della vita.
Perché non dovrebbe offendere lo sfruttamento che viene fatto del
lavoro di cura, un lavoro gratuito, non riconosciuto come tale e considerato
"naturale compito femminile?
Un altro
rimprovero che è stato mosso alle femministe è di non essersi
occupate delle istituzioni...
Io appartengo a quella parte di femminismo che non ha sottoscritto lo
slogan che faceva da titolo al libro della Libreria delle donne, Non
credere di avere dei diritti...
Io credo che i diritti siano importanti, che le leggi abbiamo un valore
forte. Il fatto che ci siano una legge sullaborto, sul divorzio,
oltre a modificare le condizioni reali e materiali nei rapporti fra uomini
e donne, ha anche un valore simbolico. Quando un cambiamento viene iscritto
in una legge diventa visibile. Non sono quindi pregiudizialmente contraria,
penso però che le leggi e i diritti non scalfiscano la realtà
a fondo, anche perché spesso non vengono applicati. Basta andare
in un asilo o in una scuola elementare per accorgersi che i modelli del
maschile e del femminile sono già presenti, precocemente, nei bambini.
Cè poi un altro discorso da fare. Ci possono essere diritti
e leggi che garantiscono una presenza delle donne nelle istituzioni, nella
vita pubblica, e che siano invece le donne stesse a non volerne usufruire.
Lo rilevava già Sibilla Aleramo allinizio del 900. Vanno
bene -diceva- lemancipazione, luguaglianza, ma quando sono
le donne stesse che, obbedendo ad altre regole interne, di educazione,
non ne vogliono sapere?
Si può conquistare il cinquanta e cinquanta nelle candidature e
non trovare le donne disposte a candidarsi. Questo pone un interrogativo
che ci costringe a spostare lattenzione altrove. Non si tratta di
escludere la strada delle leggi: sono convinta, ad esempio, che una legge
che imponga il congedo parentale obbligatorio per gli uomini -Susanna
Camusso ha espresso questa posizione- qualche effetto lo produrrebbe.
Nel Nord Europa qualche risultato cè stato. Però anche
lì: basta limposizione dallalto per cambiare profondamente
le cose? Io penso di no.
Tu definisci
quello tra uomo e donna un "dominio particolarissimo. Puoi
spiegare?
Perché è così difficile portare allo scoperto, dopo
millenni, la questione uomo-donna? Se siamo ancora qui a parlarne, è
perché sicuramente non è un domino come gli altri. E' una
violenza che si è confusa con lamore. Nasce un rapporto damore
e, chissà come, da lì dentro, escono pulsioni aggressive.
Gli omicidi in famiglia la dicono lunga su questa confusione, ma anche
su quello che è stato un tema centrale nella storia del femminismo:
cioè la ricerca dellautonomia di pensiero. Nel momento in
cui abbiamo cominciato a raccontarci le nostre vite ci siamo infatti accorte
di quanto il nostro modo di vivere, di percepirci, fosse segnato dalla
visione del mondo delluomo.
Tu in
questo però vedi anche una corresponsabilità femminile...
Se è vero che le donne hanno in mano la vita degli uomini -li mettono
al mondo, li accudiscono da piccoli, li seguono nella scuola, li curano
fino alla morte- come mai gli uomini crescono così male?
è chiaro che una domanda va posta anche alle donne. è una
questione che sollevo da sempre e ogni volta lobiezione è:
"Colpevolizzi le donne. Ora, è vero che le donne sono
allorigine vittime di un dominio, che le ha costrette allobbedienza,
alla sottomissione, sfruttate eccetera. Resta il fatto che gli uomini
nascono dalle donne. Come mai un tenero figlio diventa un truce violentatore?
Se lo chiedeva anche Virginia Woolf, che tendeva però a rispondersi:
"è la società maschile che li corrompe.
Io penso che invece la vicenda vada dipanata allorigine. Chi ti
mette al mondo è visto da un bambino come una potenza, non una
vittima. Si può fare anche lipotesi che il dominio, allorigine,
sia stato la risposta, il modo maschile di tenere a bada questa potenza.
Sono temi che il femminismo ha intuito, senza andare fino in fondo. Per
esempio il problema dellamore, e della confusione tra amore e violenza,
non è stato analizzato. Amore è una parola che nel femminismo
si sente pochissimo.
Nel sacrificio
di sé delle donne, in questo prodigarsi per la vita dellaltro,
anche rinunciando alla propria esistenza, tu vedi qualcosa di più
drammatico che nelluso del corpo femminile in chiave erotica.
Io ho lavorato molto su questo tema perché penso che nella maternità,
e nel modo con cui viene esteso indebitamente il ruolo materno, ci siano
dei nodi da affrontare.
Oggi è molto più facile spostare lattenzione sul corpo
erotico, che non sul versante del materno. Perché questenfasi
sul tema della sessualità? Noi siamo imbevuti di cultura cattolica,
per cui un comportamento scandaloso sessualmente viene riportato subito
a categorie morali: le donne "per bene e le donne "per
male. Difficile nel nostro paese dire "la sessualità
è un fatto politico.
Infatti lappello di Concita De Gregorio era rivolto "alle madri,
alle sorelle, alle donne che curano le loro famiglie, alle brave professioniste,
indicate come "le donne reali. E le altre cosa sono? Le Barbie
delle pubblicità, le veline, le escort sono solo figure di cartapesta?
Dobbiamo avere il coraggio di dire che sono reali anche loro e di chiederci
come mai oggi la libertà per alcune donne vuol dire "il corpo
è mio e lo vendo io, a chi mi pare, a quanto mi pare, che
non è esattamente quello che dicevamo negli anni Settanta.
Parlavamo allora di riappropriazione del nostro corpo, un corpo espropriato
nel momento in cui viene ridotto a obbligo procreativo, a sessualità
di servizio. Era un discorso che andava alla radice, vedendo lalienazione
più profonda della donna nel fatto di non essere riconosciuta come
individuo, come persona, in nome di unideologia secondo cui le donne
essenzialmente apparterrebbero più alla natura che alla storia.
Dobbiamo quindi essere molto attente al protagonismo che va assumendo
il "femminilenella vita pubblica. Il femminile è lidentità,
il ruolo che gli uomini storicamente hanno attribuito alle donne. Il famoso"valore
D, di cui parlano sempre il Sole24ore o il Corriere della Sera,
non sono altro che le doti femminili tradizionali che oggi vengono richieste
dalla nuova economia, dai servizi sociali.
Per questo tutta questa enfasi sulla femminilizzazione delleconomia
e della politica va accolta con spirito critico. è proprio mettendo
in discussione "femminile, "femminilità che
abbiamo costruito la nostra autonomia, affermando che non siamo un corpo
al servizio della sessualità maschile, ma nemmeno le custodi della
continuità della vita.
Dicevi
che la dimensione della cura è un luogo di potere femminile molto
ambivalente, puoi spiegare?
Su questo bisogna avere le idee chiare. La cura è un potere. Rendersi
indispensabili agli altri è stato un drammatico potere sostitutivo
che le donne hanno usato in mancanza anche di altri poteri. Far da madre
a un bambino, ma anche a un uomo adulto, che si può benissimo curare
da solo, che è perfettamente autonomo, è una estensione
indebita della maternità. Da questa dedizione totale allaltro,
che crea dipendenza, nasce fatalmente una pulsione aggressiva volta a
rompere il legame.
E' una materia molto complessa, tanto più che oggi è in
campo tutto larco delle problematiche che ha sollevato il femminismo
-anche perché sono saltati i confini tra privato e pubblico. Per
questo dico che non ci stiamo alle semplificazioni e non ci stiamo soprattutto
a incanalare queste tematiche dentro a battaglie che vengono da luoghi
della politica e della cultura che del femminismo non hanno mai tenuto
alcun conto. È giusto essere molto sospettose, attente e vigilanti
su questo.
Tornando al discorso sulla cura, io penso che il fatto che un bambino
si trovi davanti il corpo femminile dallinfanzia fino alla tomba
abbia uninfluenza negativa sulla sua formazione, che lo spinga inevitabilmente
a posizioni di difesa. Io ho insegnato a lungo nei corsi 150 ore a uomini
e donne e quando parlavamo di queste questioni gli uomini dicevano: "Ma
come? Le donne sono fortissime. A casa è mia moglie che comanda!.
Sotto un certo aspetto gli uomini dicono il vero, perché se sono
le donne che li nutrono, li curano, si prendono la responsabilità
dei figli, è chiaro che ai loro occhi appaiono potenti.
La fragilità maschile è innegabile: gli uomini conoscono
le donne nel momento in cui sono più dipendenti, più bisognosi,
inermi. Le armi le tirano fuori dopo, forse proprio per reazione a una
minaccia permanente, quella di essere infantilizzati. Fuori, nella vita
pubblica, si sentono adulti, liberi, poi rientrano a casa e tornato bambini,
affidati a donne mogli-madri. è vero che la storia fin qui conosciuta
sta cambiando, ma molto lentamente.
La vicenda che ha confinato le donne nel ruolo di madri è insomma
estremamente intricata.
Come possiamo intervenire? La prima cosa da fare, a mio avviso, è
assumere i rapporti uomo-donna come una questione politica, culturale,
sociale, fondamentale; partire con unazione educativa fin dagli
asili, dai primi livelli di scuola, altrimenti non cambia niente. E' necessario
che si parli del rapporto uomo-donna e non di "questione femminile,
come se si trattasse solo di uno svantaggio da colmare. Io penso che gli
uomini dovrebbero essere presenti fin dagli asili nido nella cura dei
bambini. Sapere quanto costa -in termini di energie fisiche, psichiche
e affettive- allevare un bambino o prendersi cura di un malato o di un
anziano, è una lezione di vita e umanità importantissima.
Lho capito negli anni in cui ho assistito mia madre in ospedale,
dove cerano soprattutto donne. Penso che questo sia un vuoto da
colmare nellesperienza maschile.
Perché gli uomini non sono nella scuola ai livelli primari? Perché
quello dellinsegnante è sempre stato il mestiere perfetto
per le donne, in quanto permetteva loro di avere tempo per la famiglia,
dopodiché quelloccupazione, in quanto femminile, è
stata svalutata...
Tra laltro, a ben pensarci, è davvero paradossale: nella
scuola le donne sono chiamate a trasmettere la cultura che le ha cancellate!
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