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UNA CITTÀ n. 108 / Novembre 2002 Finalmente ristampato! SOPRAVVIVERE ALLO SVILUPPO Il
libro Terra madre: sopravvivere allo sviluppo di Vandana Shiva. Quando
il pensiero non è dominato dalla paura e dalla diffidenza, ma ispirato
dalla compassione e illuminato dalla saggezza, allora possono nascere libri come
questo. Allinizio degli anni 80, il nome di Vandana Shiva cominciò a circolare anche in Europa associato a quello del movimento Chipko. Chipko era nato come movimento di difesa e autodifesa collettiva di gruppi di donne indiane abitanti delle regioni montuose himalayane e legate alle foreste da una sorta di simbiosi, in un tipo di economia completamente diverso da quello dominante, leconomia di sussistenza. Grazie alla quale le popolazioni delle zone rurali e di montagna si garantivano una sopravvivenza dignitosa senza essere opulenta, e soprattutto sostenibile per i secoli dei secoli. Quelle donne dunque diedero vita a un movimento perché volevano evitare che gli alberi e le foreste, da cui traevano collettivamente sostentamento tutte le famiglie, venissero tagliati dalle imprese multinazionali pronte a disboscare per fare spazio a coltivazioni di eucalipti e altre essenze con la mira di profitti a breve termine. Due economie si scontravano; di queste, una chiedeva di essere lasciata sopravvivere in pace senza dar fastidio a nessuno e laltra divorava sempre più territori e risorse, pretendendo di imporre se stessa come unica economia possibile. Che questultima pretesa fosse, anzi sia una forma inaccettabile di violenza, è uno dei temi principali che Vandana Shiva discute nella sua opera. Ma si tratta anche del confronto fra due visioni del mondo. Perciò quelle donne, portatrici di una visione ispirata al valore del principio femminile presente anche nellantica tradizione cosmologica indiana, cominciarono a legarsi agli alberi, nellintento di fermare le motoseghe, cioè la distruzione delle proprie fonti di sostentamento sostenibile e anche la distruzione dei propri tesori di conoscenza e sapere, da noi definiti allora alternativi. Vandana Shiva è nata in India nel 1952. Dotata di un eccezionale intelletto, si recò a studiare fisica nucleare negli Stati Uniti; dopo la laurea si dedicò a un dottorato di ricerca sulle particelle subatomiche. A quel tempo pensava, come scrisse in seguito, che avrebbe trascorso ogni giorno della propria vita in compagnia delle particelle nucleari. Invece, dopo aver fatto unesperienza molto istruttiva su quel che combina lindustria del nucleare nel mondo e soprattutto nei confronti della popolazione, a un certo punto voltò le spalle a una brillante carriera nel programma di energia nucleare del suo paese, poiché si era resa conto che la gente era tenuta alloscuro delle ripercussioni dei sistemi nucleari sui sistemi viventi. Si dedicò quindi alla ricerca indipendente nellambito della scienza, della tecnologia e della politica ambientale. Nel 1982 fondò un istituto indipendente, la Fondazione di Ricerca per la Scienza, la Tecnologia e lEcologia (Rsft), per una ricerca di qualità volta ad affrontare le più importanti questioni sociali-ecologiche dei giorni nostri. In questo campo collaborava strettamente con le comunità locali e i movimenti sociali, soprattutto dellIndia, in cui le donne erano (e sono) protagoniste, e infatti quando anni dopo (1993) le fu conferito il cosiddetto premio Nobel alternativo, il Right Livelihood Award, che vuol dire per il Retto modo di vivere (e viene consegnato nella stessa sede del premio Nobel, ma il giorno prima). Lei lo consegnò a sua volta alle donne delle montagne che avevano dato vita a Chipko. Il libro Terra madre è rilevante a più livelli. Sul piano politico immediato, è un articolato intervento sulla politica economica della cooperazione allo sviluppo, una dura denuncia nei confronti della Rivoluzione Verde, che viene fatta passare come soluzione al problema della fame nel mondo. Lintervento è particolarmente significativo poiché è una risposta che proviene da unesponente dei/delle diretti/e interessati/e, una portavoce di gruppi rurali del Sud del mondo. La sua posizione è argomentata in base a fatti molto concreti, per esempio limpoverimento reale che la popolazione rurale (nella fattispecie quella indiana) ha subìto in seguito alla Rivoluzione Verde che, al di là delle dichiarazioni filantropiche dei suoi promotori, per gli agricoltori e coloro che praticano leconomia di sussistenza nelle zone forestali è invece qualcosa da cui occorre difendersi. Per sopravvivere, appunto, allo sviluppo. Per questo introduce una parola di nuovo conio, entrata a partire dagli anni Sessanta nel lessico comune: la parola malsviluppo, in inglese maldevelopment (così come anche in francese), un ibrido da lei usato nel senso di sviluppo sbagliato, pur contenendo volutamente (come scrive Marinella Correggia, la traduttrice) un accenno alla sua natura di sbagliato perché maschile (in inglese male). Un altro motivo per il quale questo libro merita attenzione è quello della visibilità che esso rende al lavoro e al sapere delle donne indiane rurali e soprattutto al loro impegno e alla loro tenacia nel difendere e sostenere le condizioni per una sopravvivenza autonoma e dignitosa. Le persone che in quel movimento hanno agito e agiscono, lottano e fanno poesia per difendere le foreste e i propri stili di vita dallassimilazione a uneconomia e a una visione del mondo con pretese di validità universale, vengono citate per nome e cognome, da vere protagoniste, vengono messe insomma individualmente sul dovuto piano di importanza, e considerate altrettanto degne di attenzione di chi, come lautrice, ha assunto una posizione di leader. Anzi, più degne: con una modestia tipica degli spiriti illuminati, Vandana Shiva tira indietro se stessa per lasciare che lo sguardo si posi sulle singole donne (e, se del caso, uomini) del movimento. E
altresì un contributo interessante sul piano filosofico, poiché
mette in discussione le pretese di validità e di superiorità di
una scienza che in definitiva è solo un tipo particolare di scienza: la
scienza meccanicistica e cartesiana. Una fra le tante possibili. Parallelamente,
uneconomia particolare, leconomia del capitalismo industriale, pretende
di avere valore unico e universale e tenta, con le buone e con le cattive, di
imporsi come leconomia tout court; la visione scientifica particolare e
limitata del meccanicismo pretende di dominare anche screditando gli altri tipi
e modi di sapere esistenti e relega così uninfinita gamma e ricchezza
di conoscenze disponibili in posizioni subordinate, marginali e reiette. E
di importanza fondamentale (e non finisce di stupirci) il fatto che al giorno
doggi la scienza più astratta di tutte, la fisica quantistica, quella
che ha raggiunto il più alto grado di distacco matematico e teorico dalla
concretezza terra terra del vivere quotidiano, quella che più di ogni altra
ha portato alle estreme conseguenze il volo di un pensiero distaccato dalla vita,
riduzionista (poiché riduce la sostanza di cui siamo fatti a nientaltro
che
formule e numeri), abbia finora reso giustizia in misura massima, fra
le scienze naturali, alla grandiosa complessità della vita e della natura,
nel rispetto del nostro sentire luniverso come dimora. (Per
approfondire questo concetto si potrebbe leggere per esempio Il cosmo intelligente
di P.C. Davies, un professore di fisica che si occupa di comprendere luniverso
e anche di esporre ciò che ha compreso in modo da trasmetterlo a persone
non addette ai lavori). Scrive Vandana Shiva nella prefazione a un altro dei suoi
libri, Tomorrows Biodiversity, del 2000 (ed. it. Campi di battaglia: biodiversità
e agricoltura industriale, Edizioni Ambiente, 2001): Dal punto di vista
filosofico, posso dire che la mia formazione da fisico quantistico mi ha aiutata
molto a occuparmi di questioni così complesse. Mentre la fisica classica
di Cartesio e Newton descriveva un mondo formato da entità atomizzate,
isolate e immutabili, la teoria dei quanti ha riformulato il mondo definendolo
un insieme di sistemi interagenti, inseparabili e in costante cambiamento, dotato
di potenzialità inestimabili piuttosto che di proprietà e fenomeni
fissi. Considerando
le situazioni nellottica della relazione, come suggerisce la visione di
un universo interconnesso, la domanda è sempre: come si configurano i rapporti
di potere? Partendo dalla considerazione dei rapporti di potere, la terza linea
parallela individuata dallautrice è quella del patriarcato. Linstaurazione
di un nesso concettuale fra scienza, economia politica e patriarcato, e cioè
il nesso rappresentato dal tema della volontà di dominio unico, è
apprezzabile come uno dei risultati fondamentali di questo libro. In altre parole:
contiene una riflessione sul rapporto sviluppo-tecnologia-donne e sul rapporto
scienza-natura-genere che riprende e approfondisce quella di Carolyn Merchant
(La morte della natura, Garzanti, 1988) e quella di Evelyn Fox Keller. Il seguito
della riflessione si può leggere nella raccolta di testi intitolata, con
termine assai significativo, Monocolture della mente: biodiversità, biotecnologia
e agricoltura scientifica (Bollati Boringhieri, 1995). Purtroppo,
questo libro non è stato riproposto per il suo valore storico ma per la
insuperata attualità dei suoi temi. Oggi lo sviluppo incombe
con ancor più temibili minacce sulla gente dellIndia che vive di
agricoltura e di sussistenza: lo denuncia per esempio la scrittrice Arundhati
Roy (autrice del romanzo Il dio delle piccole cose e del saggio La fine delle
illusioni), ricordando in un recente intervento che dal 1947 ad oggi, in India,
secondo stime ufficiali ci sono stati circa 56 milioni di sfollati senza risarcimento
per cause ambientali. Altro che politica dello sviluppo. |