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DI LAUREA (ABSTRACT) DI ELISA RUBINO TITOLO:
IPAZIA D'ALESSANDRIA FRA SCIENZA, TECNICA E FILOSOFIA RELATRICE:
Prof. LORIS STURLESE CORRELATRICE: Prof.ssa ALESSANDRA BECCARISI UNIVERSITA'
DEL SALENTO, FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA, CORSO DI LAUREA IN FILOSOFIA - A.A.
2004-2004 La
vicenda umana di Ipazia d'Alessandria ha fatto nascere una leggenda lunga oltre
1500 anni. L'interesse nasce certamente dalla straordinaria immagine di donna
e di intellettuale da lei rappresentata. Ipazia, infatti, per le sue conoscenze
scientifiche e più in generale filosofiche si attesta come filosofa della
Seconda Scuola Neoplatonica d'Alessandria (V. sec. a.C.). Figura politica di spicco
della comunità alessandrina era apprezzata da molte personalità
del tempo, che da ogni parte accorrevano ad Alessandria per ascoltare le sue lezioni.
La straordinarietà della donna è testimoniata anche dalla tragicità
della sua morte. Un'orda di monaci invasati, influenzati da Cirillo vescovo di
Alessandria, le tesero un'imboscata, la privarono delle vesti, la fecero a pezzi
con gusci di conchiglie e la gettarono tra le fiamme. Ciò accadde perché
la filosofa, più volte minacciata dal potere cristiano, che avanzava distruggendo
un patrimonio di cultura e valori inestimabili, non si lasciò piegare,
ma difese l'idea di un sapere libero e sottoposto solo al vaglio della ragione.
Ma che cosa fece tremare da un lato il potere religioso, tanto da spingerlo ad
ordire un assassinio così efferato, e dall'altro il potere politico, tanto
da indurre un magistrato a svuotare le casse della città pur di far calare
il silenzio sull'accaduto? Nella convinzione che si nascondesse proprio nel suo
insegnamento e nelle sue scoperte scientifiche e tecnologiche la causa della sua
grandezza e della sua morte, ho cercato nelle opere da lei scritte, al di là
del mito letterario e delle testimonianze leggendarie, tracce concrete del suo
pensiero. Dei tre Commenti scritti da Ipazia: due ai noti matematici del III.
sec. a. C. Diofanto e Apollonio di Perge, e un terzo all'Almagesto di Tolomeo,
è in quest'ultimo - che costituisce per altro la maggiore opera di Ipazia
- che si trovano le prove della pericolosità del suo insegnamento. Ipazia
collaborò con suo padre Teone alla stesura del Commento all'Almagesto,
si occupò certamente del Commento al III libro dell'opera tolemaica e con
molta probabilità anche della revisione completa dell'opera del padre.
Nel suo Commento al III libro la filosofa, utilizzando il metodo sessagesimale,
elaborò nuovi sistemi di misurazione, individuando errori nei calcoli tolemaici
sui movimenti dei pianeti, del Sole e delle anomalie del suo transito, e sulla
durata degli equinozi. Quest'ultimo elemento acquista maggiore rilievo se si pensa
che la teoria della precessione degli equinozi sorregge la più generale
teoria geocentrica dell'universo. Il Commento di Ipazia all'Almagesto non sembra
dunque un semplice commentario, ma una vera e propria analisi critica della più
importante opera astronomica del tempo. Se si pensa poi che lo studio dell'astronomia
non aveva solo un carattere prettamente scientifico, ma che - secondo l'accezione
platonica - l'astronomia è ciò che consente all'uomo di contemplare
il mondo intelligibile e la ragione divina di cui partecipa e di vedere persino
lo spirito divino che muove gli astri, allora si capirà come le questioni
indagate da Ipazia potessero intaccare la dogmaticità della verità
di fede. Si potrebbe così spiegare l'ira implacabile del vescovo Cirillo,
potente rappresentante del mondo cristiano, che mirava a piegare la grande tradizione
filosofica, politica e religiosa dei greci alle esigenze dell'unica autorità
riconosciuta: la religione cristiana. Per lui, fermo oppositore di un esercizio
libero della ragione, la filosofia trovava giustificazione soltanto come strumento
al servizio della verità rivelata. In questa lotta trova spiegazione anche
la morte di Ipazia, che continuando ad educare le nuove generazioni in perfetta
coerenza con la tradizione della cultura classica, nel solco del pensiero di Platone,
minava l'autorità stessa della nuova religione. La filosofa neoplatonica
doveva perciò necessariamente essere eliminata e con lei messo a tacere
il potere esplosivo delle sue idee e dei suoi calcoli rivoluzionari. Le opere
di Ipazia, infatti, sono giunte a noi per un caso fortuito, o perché incorporate
nelle opere dei due matematici (Diofanto e Apollonio) di cui costituivano il commento,
o grazie ad un'unica copia manoscritta sopravvissuta (nel caso del Commento al
III libro dell'Almagesto). Ipazia non rinunciò al suo sapere e per non
essersi sottomessa al potere emergente pagò con la vita, morendo tra le
fiamme. La sua morte perciò è emblema di libertà di pensiero
e di autonomia dell'intellettuale rispetto al potere dominante ed è questo
forse il merito più grande di Ipazia e ciò che rende la sua storia
sempre attuale.
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