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Wanda
Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero,
Padova 2002
Recensione
di Lucia Vantini
La
traccia di uno straordinario percorso di autoformazione e di condivisione
del destino di ogni essere umano: ecco quello che ci rimane di Etty Hillesum.
Segni di un cammino che, bruscamente e violentemente interrotto, esige
di essere ripercorso e proseguito, sotto il segno di una sostanziale continuità.
Il testo di Wanda Tommasi si configura come "la torcia" che
permette l'entrata in questo singolare laboratorio esistenziale in cui
l'io ritrova se stesso e nello stesso tempo si sperimenta come sorprendentemente
e inesauribilmente capace di relazioni autentiche, anche in un contesto
così minaccioso come quello della persecuzione nazista vissuta
da una donna ebrea.
Già il titolo, L'intelligenza del cuore, introduce ad un'esperienza
di vita avvicinata sempre in un registro che accosta armoniosamente il
comprendere al sentire emozionale.
Donna eternamente alla ricerca di quel segreto che permette di conciliare
l'interiorità con l'esteriorità, la potenzialità
con la realizzazione, Etty Hillesum percorre un itinerario esemplare.
I momenti che scandiscono il suo viaggio all'interno di se stessa, lontano
da ogni tipo di chiusura solipsistica, si configurano come la difficile
ma progressiva affermazione di un'esistenza pervasa da capacità
simboliche, da risorse che permettono di tenere uniti aspetti che sono
percepiti invece, per lo più, come inconciliabili.
Etty Hillesum vive spezzando tutte le false dicotomie, un talento che,
nella lettura di Wanda Tommasi, viene ascritto alla differenza femminile.
Così Etty Hillesum riesce a comporre molte fratture esperenziali.
Può mirare alla riconciliazione fra corpo e spirito, fra cielo
e terra, puntando sulla capacità creaturale di accogliere e ospitare
il desiderio come mancanza e come apertura all'altro, e coltivando il
silenzio interiore come luogo in cui Dio può accadere.
Può superare il contrasto fra la tendenza al rientro in sé,
alla profondità del sentire personale, e l'interesse verso tutto
ciò che riguarda il mondo presente qui e ora (interessante risulta
a questo proposito la sottolineatura del nesso fra depressione e creatività).
Può annullare la tensione distruttiva fra ciò che si vorrebbe
essere e quello che si è. Anziché rinchiudersi nel senso
di inadeguatezza, Etty Hillesum non rinuncia mai alla speranza, alla fiducia
in una relazione fra realtà e desiderio, a quell'atteggiamento
di "passività attiva" che l'immagine della gestazione
chiarisce bene: dove tutto sembra immobile e rassegnato, c'è ancora
spazio per una rielaborazione interiore che prosegue, in modo inconsapevole,
anche quando le energie sembrano esaurite, in attesa di una nuova nascita.
Può vivere così il duro passaggio fra la realtà pacifica
della sua scrivania e il dramma di Westerbork: la tragicità della
vicenda è dominata dalla sua capacità di lettura, che continua
a cogliere una ricchezza di significato in ogni cosa e che riesce a trasmetterne
il senso.
Può non avvertire rottura nemmeno fra silenzio e dialogo. Quello
spazio di raccoglimento di cui la sua anima si nutre, difeso costantemente
dal peso del dramma e della sofferenza, mantiene sempre una struttura
dialogica, che permette la relazione con Dio e con l'altro.
Può cancellare anche la differenza fra il male dell'altro e l'innocenza
dell'io: le radici del male e dell'odio non si trovano solo nel nemico,
ma anche nella vittima che prova odio per il suo carnefice. Il male non
è qualcosa di distante e mostruoso, ma qualcosa di vicinissimo,
che nasce dentro di noi.
Etty Hillesum è riuscita a diventare"una": il silenzio
interiore, che lei ha chiamto Dio, è ciò che le ha permesso
di non perdere il filo di se stessa pur in mezzio a circostanze così
drammatiche.
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