10 Dicembre 2020

Ci siete?

di Annalisa Comes


Ogni giorno, tutti i giorni, dall’inizio della scuola a oggi, ecco la domanda, apparentemente banale – «Ci siete?» – che pongo ai miei studenti appena li vedo apparire sullo schermo. Non è una domanda retorica. Non costituisce un controllo. Certo, anche “in presenza” esiste l’appello, ma con la telecamera entriamo in un mondo privato, intimo che in tempi normali non è visibile, al quale non abbiamo accesso.

«Ci siete?» è una mano tesa per manifestare il nostro “essere insieme” qui e ora.

Mi sono domandata a lungo – e lo faccio ancora oggi – quale sia il senso di questo nostro essere a scuola. Non è certo l’essere della presenza, né può essere quello della distanza, che l’acronimo DAD infelicemente esplicita e che suggerisce il concetto a mio avviso totalmente contrario dell’esserci del percorso educativo.

Qual è lo spazio dell’educazione? Niente è più problematico che rispondere a tale domanda in questo particolare momento della nostra epoca, in cui le difficoltà, la paura della malattia e del contagio, il disorientamento provocato dalle molteplici e spesso contraddittorie informazioni, l’incertezza per il futuro, la diffidenza verso l’altro, hanno condotto le persone a una sfiducia generalizzata, a una partigianeria orientata ora al ripristino dello status quo (rientro in classe), alla richiesta di maggiori investimenti statali per gli spazi (più scuole, maggiori “attrezzature”), controlli medici (infermerie e presidi medico-scolastici), ora determinata all’abbandono “momentaneo” dello spazio fisico in attesa di tempi migliori. Tutte queste misure tuttavia sono determinate dalla stessa idea e parlano lo stesso linguaggio: quello della necessità di salvaguardare uno “Spazio” fisico, considerato come imprescindibile da cui impartire conoscenze e saperi. I tempi difficili che stiamo vivendo costituiscono però un’occasione preziosa di ripensamento di tale spazio.

Il fatto è che si cerca, talvolta anche con violenza e sopraffazione, di circoscrivere e limitare l’educazione a uno Spazio fisico – quello della “classe”, costituito dalle mura scolastiche – che invece per sua natura non è tale, che non è dato una volta per tutte, neppure in condizioni “normali”. L’ossessione della telecamera accesa, la preoccupazione che l’allievo possa assentarsi (come se potesse diventare assente solo oscurando la telecamera!) riflette la convinzione che tale presenza dematerializzata sia pur sempre una testimonianza del suo esserci. E dunque che questo esserci debba essere controllato, normato e codificato, altrimenti propizierebbe attività “illecite” come quelle tanto paventate di copiare o leggere un testo durante un’interrogazione. Lo spazio educativo che ne risulta è allora principalmente solo questo esercizio di controllo e sopraffazione.

La difficoltà e la preoccupazione che emerge dalla mancanza “fisica” del luogo di apprendimento (per chi chiede con veemenza la scuola “in presenza”), e la difficoltà e preoccupazione di regolare la presenza dell’allievo mediante norme precise e vincolanti a tenere accesa la telecamera (per chi chiede il momentaneo sacrificio della distanza), a ben guardare, sono due aspetti della stessa situazione, nascono entrambe da quella che a tutt’oggi sembra caratterizzare l’essenza dell’educazione e del suo Spazio: ossessione burocratica, controllo, “somministrazione” di Verità, di contenuti preconfezionati e conoscenze.

Prerogativa dell’educazione è invece, proprio il suo contrario: l’avvio del pensiero verso una libertà che si costituisce in un’azione in divenire (dunque mutabile, in perenne ricerca di equilibrio e di senso) che possa ribaltare, confutare e anche rifiutare i risultati.

Nella prospettiva instabile, incerta e oscura di cui abbiamo oggi tutta la consapevolezza, andrebbe invece compreso e discusso il vero nodo del turbamento: quello della percezione dell’incapacità di mantenere vivo lo Spazio – anzi gli spazi – dell’esserci dell’educazione.

Gli spazi dell’educazione sono infatti indefinibili, sfuggono cioè a qualsiasi tentativo di definizione perentoria, di normativa contrattuale, di codificazione proprio in quanto umani e plurali. Costituiscono quell’infra che nasce tra docente e studenti: spazi in continuo divenire che si costituiscono con il dialogo, con il movimento di avvicinamento e allontanamento degli uni verso gli altri.

Circoscrivere la nostra attenzione alla diatriba presenza/distanza (agli edifici scolastici, agli strumenti, come la telecamera o software più efficienti), vorrebbe dire parlare una sola lingua, ammettere una sola Verità. Sarebbe perdere un’occasione preziosa per riflettere su quello spazio a più voci che costituisce l’esserci dell’educazione.


(www.libreriadelledonne.it, 10 dicembre 2020)

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