22 Giugno 2022

Ricordando Patrizia Cavalli

di Francesca Traìna


Ho conosciuto Patrizia Cavalli negli anni novanta a Palermo. Un’amica comune me l’aveva presentata. Una sera andammo ai Cantieri Culturali per assistere ad un monologo di Piera degli Esposti. Lo spettacolo non era ancora finito quando Patrizia, visibilmente infreddolita, mi chiese di accompagnarla all’hotel Sole dove alloggiava. Una lunga passeggiata in quella notte di tarda primavera tanto serena ma tanto sferzata da un vento gelido di tramontana da far battere i denti. Parlammo a lungo di Palermo, delle sue contraddizioni e di poesia. La lasciai all’ingresso dell’hotel, la seguii con lo sguardo mentre con passi veloci raggiungeva la hall.

Ora lei si è incamminata per una strada senza ritorno, la stessa intrapresa, poco tempo fa, da un’altra grande poeta: Biancamaria Frabotta.

Mi sembra di intravederla nell’andamento musicale delle sue poesie, graffiare lo spazio e il tempo con l’ironia per compagna.

Quasi tutte le poesie di Patrizia Cavalli sono comparse in questi ultimi anni su riviste o su collane di prestigiose editrici. Non ci meraviglia questa scelta già compiuta dall’autrice nel 1992 in occasione della pubblicazione di Poesie dove infatti riunì altre precedenti raccolte.

È il suo originalissimo stile percepibile anche nella scansione cronologica delle varie pubblicazioni e nella collocazione dei versi nell’arco temporale della poesia. I suoi sono piccoli passi di danza sospesi nella vastità di Roma, nella quotidianità, nelle piazze, nelle strade, nella casa.

Movenze suggestive che preludono al ritmo finale di ogni singola raccolta, quasi un trionfo, dove i movimenti preparatori defluiscono, per esaltarlo, nel registro espressivo di un’arte inafferrabile eppure tecnicamente complessa, ariosa, sonora.

E anche nelle ultime pubblicazioni ritroviamo intatti il coraggio, l’ironia, la capacità di prendersi in giro, il tono colloquiale, quella leggerezza che pare distanziarla dal pathos che pure è presente nei suoi versi. Mi restano in mente elementi di arricchimento e di maturazione colti nella denuncia civile al centro del poemetto: “Aria pubblica”. Una consapevolezza nuova che dà anche nuovo senso politico ai versi laddove rivendica la bellezza delle piazze di Roma ormai trasformate in lunapark, in distese di bottiglie e lattine vuote o ingombre di tavoli, ombrelli, sedie, cellulari, insegne. Tutto concorre a mortificarne la magnificenza e anche se si allontana da quelle piazze vendute insieme alla città, il chiasso la insegue, offende l’udito, attraversa porte e doppi vetri, si insedia nei pensieri.

Questa è Roma, tuttavia amata e cantata da Patrizia Cavalli, quella stessa Roma che Gabriella Ferri seppe amare e cantare con l’intensità irriverente e magica degli stornelli. E c’è anche, nei suoi scritti, un accostamento inquietante all’idea di morte tanto da intitolare Morti perché si muore, un segmento del libro Pigre divinità e pigra sorte.

La morte non sembra essere attesa disperante per Cavalli, ma consapevolezza di qualcosa che verrà a donare il silenzio negato dalla vita. L’accento è sereno ma al contempo amaro, come se tutto trovasse improvvisamente giustificazione e desse senso ad ogni gesto, perfino alle “scandalose e stolte” feste di compleanno. Tranne poi a ripetere a se stessa e a chi è in ascolto: Pietà per me che resto qui sospesa. Si sposta solo il margine d’attesa poi giunge, ineluttabile, l’interruzione:

Ah, ma è evidente, muoio … lo fanno tutti / dovrò farlo anch’io … ma in questi istanti incerti / io sono certamente un’immortale. Ecco, ancora, la leggerezza, quel lieve straniamento che coincide con il punto più alto dell’autoirrisione.

E nelle sue dense raccolte non può mancare l’amore. Le donne amate o da amare, quelle con le quali condividere l’avventura triste e gioiosa della vita, sono parte dei suoi libri e lo sono con le delizie, gli errori, le cattiverie di cui possono essere capaci l’amore e la vita.

Cavalli sa raccontarle queste donne, senza ipocrisie, calandole nella fisicità della relazione amorosa o astraendole in un giuoco di immagini riversate nella parola poetica che, se pur leggera, ha la fine tessitura del dolore e raccontandole racconta se stessa, la propria intimità a dispetto delle ottuse convenzioni sociali: Prendimi adesso tra le tue braccia / adesso sciolta da me raccoglimi / non per ridarmi forza / ma perché io possa arrendermi.

Rileggendo questi versi viene da chiedersi se sia stata la donna amata il riferimento o quella morte che da lungo tempo Patrizia Cavalli presagiva, alla quale tendeva le braccia come amante fedele per arrendersi infine ma, “ad armi pari”.


(https://www.facebook.com/, 22 giugno 2022)

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