25 Aprile 2008

Nel nome della madre – un dialogo pubblico

Alle nostre figlie e figli
Agli uomini che ci stanno vicino

In trent’anni con molte donne abbiamo dato vita a una politica differente, spesso chiamata femminismo. Lo abbiamo fatto per guadagnare un’esistenza sensata, per non essere costrette ad omologarci a un modello maschile. Trovare corrispondenza tra parole e vita è ancora la ricerca di oggi.
La cronaca quotidiana ci mette di fronte a episodi di violenza, che oltre ad essere violazioni dello stato di diritto, sono attacchi, in vario modo, all’autodeterminazione delle donne; è così che vanno intesi: le ripetute aggressioni omicide, il vergognoso blitz all’ospedale di Napoli e anche il costituirsi – a Pesaro – del comitato scolastico di docenti per la moratoria dell’aborto.
Per alcuni i corpi delle donne sono tornati ad essere cose: crediamo che questo non riguardi solo noi, ma che su questo gli uomini debbano interrogarsi a fondo. Cosa muove gli uomini a tanta aggressività, tanto da ridurre le donne ad oggetti sui quali esercitare potere?
La constatazione che tutta la cultura occidentale si è costruita sulla negazione della soggettività femminile è stata una scoperta dolorosa nella nostra crescita, che ha provocato rabbia e frustrazione, ma anche (nella riflessione collettiva sulla nostra esperienza) attenzione alla possibilità di sviluppare una diversa qualità di rapporti tra uomini e donne.
Ne è nata una riflessione innovativa sulla sessualità e sulla maternità, che è andata oltre il linguaggio dei diritti, il quale non può rappresentare con verità situazioni che sono intrinsecamente relazionali. La nascita è una di queste.
Il corpo femminile non è un contenitore vuoto da riempire (anche se così lo pensava Aristotele), ma una culla di parole, un abbraccio di carne per chi viene al mondo. La vita è accoglienza; il sì della donna non si può saltare – anche Dio ha chiesto permesso a Maria.
L’autodeterminazione a decidere se e quando diventare madre è un valore non negoziabile.
La madre e la sua creatura sono la base di ogni relazione umana, la coppia originaria, che ha lasciato tracce ancora visibili in qualche lingua (per esempio nella forma duale).
Questo legame con la madre, gli uomini l’ hanno molto celebrato, ma soprattutto rimosso, cosi che rimane occultato e fonte non riconosciuta di paura e di risentimento. Nascere da donna è una verità fattuale semplice e aperta, ma letteratura, filosofia, religioni, traboccano di tentativi di esproprio della capacità materna femminile e anche l’utilizzo delle nuove tecnologie riproduttive può essere letto in questa chiave .
La dipendenza originaria dalla madre esiste anche per noi: non è stata un’ acquisizione facile, perché il contesto di svalorizzazione del femminile in cui siamo cresciute ci portava a negarla. Sappiamo ormai che l’ interdipendenza è costituiva dell’essere e della soggettività di ciascuno e che non limita la propria libertà, sgretola solo le fantasie prometeiche di onnipotenza. L’approccio relazionale ha in sé la capacità di aprire continuamente ad altro, è invece il tentativo di negare la dipendenza che alimenta, in un rovesciamento, violenza e volontà di dominio.
Crediamo sia necessaria una riflessione sulla sessualità maschile e sulla paternità, ma solo gli uomini possono dire di sé.
Noi sappiamo che un uomo può essere partecipe della maternità solo se una donna lo ammette a condividere questa esperienza con lei; un padre è grande in una collaborazione amorosa, senza usurpazione, né rivalità, né assenza. La figura di Giuseppe ne illustra bene il senso. Questo agli uomini fa problema? Ne risulta un senso di esclusione, di superfluità, non tollerabile? Sono interrogativi cui invitiamo al confronto.
Oggi la relazione amorosa tra un uomo e una donna non è ancora incontro di due soggettività ciascuna consapevole della sua sessualità; non è ancora sessualità senza appropriazione, né consumo, senza rapporto di dominio, ma questo può essere l’orizzonte di incontro da costruire.
Finora ha prevalso il non ascolto delle donne: accettate – più o meno a malincuore, robusto ricostituente per una politica maschile invecchiata e sterile – solo finché considerate compatibili; tale sordità mette però a rischio anche ciò che consideriamo irrinunciabile e pensiamo troppo spesso come garantito. L’esperienza ci mostra continue erosioni di quelli che vengono chiamati diritti, dal lavoro di uomini e donne, all’autodeterminazione femminile.
Se vogliamo realizzare una convivenza più umana e una politica che prenda le mosse dalla nostra comune vulnerabilità, è necessario che ciascuna e ciascuno si assuma la responsabilità di sé e del mondo in cui viviamo.

CASA DELLE DONNE DI PESARO

DONNE IN  NERO – FANO

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