4 Marzo 2013

La pratica della storia vivente come nuovo inizio

di Laura Minguzzi [i]

Nel gruppo di storia vivente, che ora si è ampliato, abbiamo affrontato i nodi irrisolti che ci ostacolavano nell’affermazione del nostro desiderio. Noi vogliamo essere al centro della storia. Acquisita la consapevolezza che libertà femminile è in primis libertà di chi la storia la scrive e la narra e che il nostro cambiamento entra nella narrazione della storia, ci siamo poste il problema di far diventare parola pubblica la nostra consapevolezza. Il nodo è la presa di parola pubblica. Come giocare il nostro sapere sulla storia?  Siamo un gruppo con relazioni molto intense e abbiamo un sapere che desideriamo mettere in gioco.

Come sono arrivata alla consapevolezza che, nell’alveo de La Voce del silenzio di Martinengo, la ripresa della mia storia personale, che per me riguardava lo scavo intorno agli effetti inconsci della morte traumatica di mia madre, mi avrebbe dato forza ed energia per ripensare alla storia d’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta dal mio punto di vista?

L’originalità della nostra pratica è che ognuna pesca dentro di sé. Un partire da sé ma non pensare solo a sé. In questo modo ho potuto maturare la consapevolezza della necessità  della stanza separata del simbolico (di tessitura di relazioni di qualità, come la chiama Ina Pretorius), per creare un simbolico femminile sulla storia, dove noi ritorniamo con la memoria al passato e ciò lo rende vivo. Qui è importante la presa di parola di ognuna, l’oralità e l’ascolto reciproco. Anche se non si tratta di autocoscienza perché questa ripresa nel ricordo fa vedere davvero ciò che è accaduto. E’ un ritorno che dà gioia, non solo sofferenza. Le altre fanno da specchio e da limite. Riprendiamo sempre i temi della riunione precedente, filtrati, di nuovo interpretati collettivamente. Un avanti e indietro che riflette anche il nostro differente concetto di tempo.  Le altre creano la distanza, fanno da mediazione, fra chi racconta e il presente, la contingenza: il tempo/spazio del presente, fra il mio racconto e il mondo. Questo procedere infonde forza e dà a tutte un guadagno simbolico, riconoscibile in altre situazioni dove ognuna di noi lavora, vive o è impegnata politicamente.

Come dice Luisa Muraro e come anche noi abbiamo verificato, “l’assenza delle donne dalla storia non è, infatti, nella contingenza, dove sono molto presenti, ma si verifica nel passaggio dall’accadimento alla storicità, cioè in seconda battuta, nel momento della rappresentazione storica, nella selezione delle cose che vale la pena di tramandare.”[ii]

La ripresa è il vero inizio. Il taglio della differenza nasce lì. Occorre indagare come avviene la cancellazione. Le storiche sono in una buona posizione per guidare l’indagine. Perciò noi lanciamo una scommessa a noi stesse e alle storiche di professione: tagliare il discorso storico con la nostra differenza.

Si tratta di una sfida da assumere a livello personale.

Un corpo a corpo con la storia, ma fatto collettivamente. Tagliare di traverso l’ordine del discorso: a questo serve la pratica. Aprire un polemos con la storia neutra, oggettiva e con la storia di genere.

La pratica della storia vivente è una figura dello scambio che dà forza nell’arena pubblica, per avere voce autorevole ed essere ascoltate nella nostra battaglia simbolica per iscrivere la differenza sessuale nella storicità. Per non stare incollate al contesto, al fare, ma pensare, produrre parole, risignificare i fatti che accadono e che sono accaduti.

Ci serve nella negoziazione dei significati e dei punti di vista. Come accennavo prima, io ho raccontato il passaggio traumatico dell’Italia degli anni Cinquanta da un’economia essenzialmente agricola alle tappe forzate dell’industrializzazione a partire dalla mia storia famigliare, dagli avvenimenti tragici della mia famiglia, ed è venuta alla luce tutta un’altra storia da quella ufficiale, oggettiva. Quella è la storia del potere, non è la mia storia, la storia di tutti: donne e uomini.

Per riscattare la presenza femminile dalla povertà del materiale documentario esistente occorrono invenzioni creative, di linguaggio, di immaginazione e una scommessa personale appunto. Infatti la storia vivente dialoga con quello che storia non è. “Abbiamo fatto di noi stesse, del nostro corpo, dei documenti viventi”, come dice Marirì Martinengo.[iii]

A questo proposito Milagros Rivera usa la parola “cammino” e non parla di paradigma. Cammino fa pensare all’esperienza, alla singolarità delle vite invece paradigma a schemi generali, modelli prefissati.  “Il paradigma lega il reale al suo possibile e impedisce di legare il reale al mio possibile.”[iv]

Io personalmente ho fatto della mia vita un pellegrinaggio, un cammino per realizzare il mio desiderio di libertà.  Sono partita dalla campagna ravennate e ho vissuto in cinque città (Ravenna, Venezia, Bologna, Parma ed ora Milano).

La lente di lettura del cammino per interpretare la vita di una donna l’ho ritrovata anche nella ricerca storica sull’ autorità femminile nel Medioevo,  condotta con Marirì Martinengo e il nostro gruppo e culminata nel libro Libere di esistere. Ho narrato la vita della badessa Eufrosina  come un cammino non triste, mettendo appunto in primo piano la sua  scelta soggettiva. La parola cammino dà l’idea della unicità di una vita.

E dato che la libertà femminile fa parte dell’impensato e dell’imprevisto, è sempre impregnata di soggettività, di singolarità e non ama essere rinchiusa in gabbie, schemi, obiettivi e linee progressive e continue. Procede per salti e percorsi a zig zig, insegue il tempo kairòs, dell’occasione, del momento opportuno, il tempo e lo spazio delle circostanze, dei contesti, mai il tempo cronos, oggettivo, lineare, prevedibile, astratto… Le donne amano le schivate, non sono mai dove si pensa di trovarle, il desiderio è imprevedibile e imprendibile. E la scrittura della storia vivente conduce a una storia impensata.



[i] Master alla Mag di Verona “ I segni dei tempi dentro e fuori di noi” Marzo 2012

[ii] Intervento dal titolo “La differenza come taglio simbolico nella ricerca storica, suoi limiti e sue possibilità” al III Seminario de AEIHM (Asociacion Espanola de Investigacion en Historia de las Mujeres) di Madrid. 25 sett. 2009.

[iii] Marirì Martinengo, La voce del silenzio, Memoria e storia di Maria Massone, donna “sottratta”. Ricordi, immagini, documenti, ECIG, Genova 2005. (p.90)

[iv] Intervento dal titolo “La storia vivente” al III seminario de AEIHM di Madrid. Sett.2009, pubblicato in Duoda n°40, 2011, rivista di Studi della differenza sessuale dell’Università di Barcellona.

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