11 Settembre 2001
il manifesto

Uomini in Via Dogana

Ida Dominijanni

“Egli uomini?” si chiede, nel titolo, l’ultimo numero di Via Dogana, la rivista di pratica politica della Libreria delle donne di Milano. Domanda volutamente vaga, che allude a uno spettro ampio di questioni, troppo spesso sottaciuto nel dibattito femminista. Specificando, potremmo elencare: gli uomini dopo il patriarcato alle prese con la crisi dell’identità virile; gli uomini dopo il femminismo alle prese con sentimenti ambivalenti di ammirazione e invidia per le nuove donne; gli uomini nella crisi della politica tradizionale alle prese con pratiche politiche femminili che non capiscono o non vogliono capire, che provano a delegittimare e dalle quali sentono di essere delegittimati. Ce ne sarebbe quanto basta per stilare un’enciclopedia, sociologica, sentimentale, politica. Nel suo stile, Via Dogana sta alla pratica: discute appunto, in questo numero, sui risultati di quella che è stata chiamata “pratica della relazione di differenza”, con ciò intendendo il tentativo di instaurare fra donne e uomini relazioni di scambio politico, intellettuale e affettivo, basate sulla consapevolezza della differenza maschile e femminile e non sulla sua rimozione o neutralizzazione. Una pratica che smentisce l’immagine separatista del femminismo della differenza: come scrive Lia Cigarini nel suo articolo significativamente intitolato “Due sessi, un mondo”, essa fu inaugurata anni fa per rispondere all’esigenza di coinvolgere nella pratica della differenza uomini aperti al mutamento femminile e ai suoi effetti in ogni campo della realtà, dal lavoro alla scuola all’università alla politica. E’ tempo di tentarne un bilancio: perché in tutti i campi, dalla scuola al lavoro alla politica, è sempre più evidente il segno femminile del mutamento, ma molto raramente – esso viene riconosciuto come tale, e con le conseguenze che comporta, dagli uomini e dall’ordine vincente del discorso. Vale per tutti il caso del movimento no-global, che notoriamente è segnato da una imponente presenza e da un forte protagonismo politico femminile, eppure viene ricondotto allo schema consueto del binomio potere-contropotere, che dimentica l’originalità delle pratiche associative e relazionali femminili o la riassorbe nell’ordine del discorso politico tradizionale. Qualcosa dunque fa ostacolo, anche negli uomini aperti allo scambio politico con le donne, ad accettare davvero il gioco della differenza sessuale, e la relativizzazione e messa in discussione delle misure, del linguaggio e delle pratiche maschili che essa comporta. Che cosa? Cigarini individua tre comportamenti maschili e due errori femminili. Molti uomini, osserva, continuano a ragionare in modo schizofrenico: tengono presente la differenza se sono chiamati a parlare o a scrivere nei contesti di pratica femminile, se ne dimenticano nei contesti politici “generali”. Altri “vedono” la cancellazione della differenza femminile operata dalla società, ma a loro volta la cancellano quando pretendono di esentare dal conflitto le proprie relazioni con l’altro sesso. Altri ancora usano il pensiero della differenza come terapia dei mali del pensiero politico tradizionale, ma senza rilanciarne le premesse. D’altra parte si sbaglia anche in campo femminile: quando si pretende dagli uomini un preventivo riconoscimento d’autorità; o quando si pensa che degli uomini si possa fare del tutto a meno, per godersi la libertà femminile nella sintonia del tra-donne. Invece, “sono convinta che in questo momento la relazione di differenza sia indispensabile all’agire politico”, scrive Cigarini rilanciandola come un gioco che si fa, si misura e produce spostamenti solo nella pratica. Quando cioè – per dirla con Vita Cosentino – mette alla prova del cambiamento quella donna e quell’ uomo, diventa “un passaggio aperto per giungere al nome proprio di ciascuna e ciascuno”, e per dare nomi propri, e non definizioni generiche e schematiche mutuate da questa o quella tesi preconcetta, al mutamento sociale. Come dire: se è vero che la realtà è segnata dal mutamento dei sessi, solo mettendo in gioco sinceramente la differenza femminile e maschile si riesce a interpretare e dire il mutamento. Purché non si dimentichi, però, che la dinamica del simbolico, e nel nostro caso quella della relazione fra uomini e donne, è segnata dall’inconscio. E inconsce restano evidentemente, dopo il patriarcato e dopo il femminismo, molte resistenze maschili nonché femminili ad aprirsi a nuove modalità di incontro e di scambio. Su Via Dogana ne troviamo nominate alcune: la paura maschile del potere e/o del desiderio femminile, ad esempio (Alessandra De Perini, Carla Turola). O “la fascinazione della disperazione maschile” che agisce sulle donne, alimentando la tentazione di “un’incessante riparazione materna”, come scrive Cinzia Soldano trascorrendo dal cinema alla politica nella sua bella lettura de Il mestiere delle armi di Ermanno Olmi. Più che mai, l’analisi della relazione di differenza domanda al sapere femminile di riprendere in mano i suoi strumenti migliori, per scavare in quelle pieghe del desiderio in cui la parola politica non arriva.

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