29 Gennaio 2017
Il Sole 24 Ore

Da madre a figlia, voci del femminismo

di Chiara Pasetti

Cosa si può rispondere a una figlia che, stanca e irritata per le assenze della propria madre, la quale partecipa e organizza convegni, assemblee, convinta che il femminismo sia «una rivoluzione che continua, un cambiamento costante di sé che riesce a modificare il mondo», a un certo punto si domanda, e le domanda sbuffando: «ma doveva proprio capitarmi una madre femminista?». Questo lo spunto da cui prende le mosse l’appassionante volume Mia madre femminista, a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini. Dalla volontà di dare una risposta alla provocazione iniziale nasce la necessità di raccontare, «partendo da sé», la storia di cinquant’anni di movimento delle donne. Sorretto da una ricca documentazione che comprende anche molti, in gran parte inediti, materiali fotografici, e soprattutto numerose testimonianze rese alle curatrici dalle protagoniste del cosiddetto «femminismo della libertà», il filo narrativo, condotto con una scrittura limpida, concreta, mai banale e profondamente affettiva si intreccia così alla voce di femministe storiche come Lea Meandri, Luisa Muraro, Lia Cigarini, Carla Lonzi, e di sindacaliste, insegnanti, operaie, artiste, scienziate; donne attive negli ambiti più diversi, a cui si aggiungono anche le voci di uomini da sempre vicini al movimento e capaci di coglierne il valore, la ricchezza, la «necessità». Senza alcuna pretesa di esaustività che, tra l’altro, siglerebbe «la morte di ciò di cui si parla», il testo si divide in quattro grandi capitoli, che annunciano a partire dai titoli i punti essenziali del femminismo: le «parole» (che prende spunto da un libro di Marie Cardinal che tanto successo ebbe negli anni Settanta), il «corpo» (che tratta i grandi temi della differenza tra emancipazione e libertà sessuale, della contraccezione, del divorzio, dell’aborto, ecc.), i «luoghi» (quelli della libertà delle donne) e il «lavoro». Man mano che le «voci» del libro prendono la parola, non solo quelle delle «madri storiche» del femminismo ma anche quelle di donne più giovani, le quali mostrano di non aver dissipato l’eredità di chi le ha precedute, la figlia scettica e apparentemente distante sembra interessarsi sempre di più all’azione delle donne, soprattutto nell’ambito del lavoro. E acquista la consapevolezza che la vera libertà di ogni essere umano si nutre «delle differenze e della reciproca dipendenza che tutti abbiamo, in forme diverse, lungo il corso della vita» (così Giordana Masotto); la libertà non nasce da un percorso solitario ma da una stretta e continua collaborazione e relazione, e solo così «si può immaginare di cambiare l’economia, il lavoro, la politica». Un racconto polifonico orchestrato con sapienza ma anche con calore dalle curatrici, che non lascia un’aria nostalgica bensì una forte traccia di fiducia e speranza che risuona tanto più alta e necessaria ora, quando episodi di violenza, fisica e psicologica, continuano a colpire le donne. Un testo che andrebbe letto dalle madri e (con) le figlie, le quali nell’esergo di Luce Irigaray, filosofa da sempre legata al movimento delle donne, vengono invitate a «esporre in tutte le case e i luoghi pubblici belle immagini (non pubblicitarie) di coppia madre-figlia»; ma che andrebbe letto anche, e forse soprattutto, dagli uomini. Per capire come mai, al termine dell’intenso dialogo epistolare intrecciato idealmente tra una madre e una figlia, quest’ultima non solo non ne colpevolizzi più le assenze in nome di una «rivoluzione», ma si chieda invece, magari pensando di portarla avanti a sua volta: «Sono forse diventata femminista?».

Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua, a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini, Il Poligrafo, Padova, pagg. 256, € 20

(Il Sole 24 Ore domenica, 29 gennaio 2017)

Print Friendly, PDF & Email