25 Settembre 2015
Leggendaria

Un inestricabile intreccio tra vita e opere

di Luciana Tavernini


Come si può spiegare l’interesse in costante crescita per l’opera complessiva e l’esperienza di vita di Antonia Pozzi, poeta e fotografa milanese degli anni Trenta, morta suicida a soli ventisei anni?

Infatti intorno a lei si stanno moltiplicando le tesi e i convegni universitari, gli spettacoli teatrali e i film, la pubblicazione di edizioni sempre più accresciute dei suoi scritti – poesie, diari, lettere –, gli interventi critici che ne mettono in luce l’originalità e ne riscoprono la vicenda esistenziale.

Eppure, da viva, aveva visto pubblicato solo un saggio su Aldous Huxley e nel 1939, l’anno dopo la sua morte, il padre curò un’edizione ridotta ed epurata delle poesie dal titolo Parole. Successivamente da Garzanti apparve la tesi di laurea sulla formazione letteraria di Flaubert, con la prefazione di Antonio Banfi, il filosofo razionalista, suo professore, che l’aveva però scoraggiata rispetto al fare poetico.

Nel 1943 uscì per Mondadori un’edizione più cospicua del corpus poetico, curata dall’amico Vittorio Sereni. La recensione di Montale che, nel dicembre 1945, ne metteva in luce il valore letterario sul “Mondo “ di Firenze divenne la base per l’introduzione a un volume più ampio, inserito nella prestigiosa collana “Lo Specchio” nel 1948 e poi nel 1964. Montale riconobbe ad Antonia Pozzi la capacità di “ridurre al minimo il peso delle parole”, la “purezza del suono e la nettezza dell’immagine” e notò che i suoi testi suscitano in chi li legge una sorta di “fuoco”, ma ricollegò la sua esperienza a quella di Ungaretti e dei poeti ermetici del verso libero.

A metà degli anni Ottanta iniziò, invece, una vera e propria riscoperta, dovuta soprattutto a Onorina Dino, curatrice dell’Archivio di Antonia a Pasturo, e ad Alessandra Cenni, che con attenta ricerca filologica ripristinarono le versioni originali delle poesie, liberandole dalle censure e dagli interventi paterni, e cominciarono anche la pubblicazione di lettere e diari, facendola così conoscere a un pubblico più vasto.

Ma in particolare negli ultimi dieci anni è progressivamente cresciuto l’interesse verso di lei, a partire dalla biografia critica di Graziella Bernabò Per troppa vita che ho nel sangue, dove appare inscindibile il nesso tra arte e vita, tanto caro alla Pozzi. Si tratta di un lavoro che ricostruisce con una rigorosa attenzione alle fonti e attraverso il dialogo con numerosi testimoni la vicenda esistenziale e l’impegno artistico di Antonia, illuminando attraverso di lei la situazione storica degli anni Trenta. È un modo di scrivere la biografia di una donna che utilizza un’attenzione empatica del tutto differente dalla facile immedesimazione, riuscendo a mostrare le difficoltà e le possibilità di un protagonismo al di fuori degli stereotipi femminili e dell’omologazione al maschile. Un metodo fruttuoso che Bernabò ha replicato nella complessa biografia di Elsa Morante, La fiaba estrema, ma che possiamo riconoscere anche nell’avvincente lavoro di Martina Corgnati, Afferrare la vita per la coda, sulla vita e le opere dell’artista Meret Oppenheim.

Da allora si sono moltiplicate le iniziative. Ne accennerò solo alcune: il sito, curato da Tiziana Altea, http://www.antoniapozzi.it/ , ricchissimo di informazioni e con una bibliografia aggiornata, a cui rimando anche per alcuni testi qui accennati e ormai introvabili; il grande convegno del 2008, nel settantesimo della morte, all’Università degli Studi di Milano, dove Antonia si era laureata, seguito dalla pubblicazione degli atti; le numerose tesi universitarie (ormai superano la ventina); i diversi spettacoli teatrali, tra cui L’infinita speranza di un ritorno con la drammaturgia e l’interpretazione di Elisabetta Vergani per la regia di Maurizio Schmidt, in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita nel 2012; il film di Marina Spada, Poesia che mi guardi, presentato al festival di Venezia nel 2009, che, attraverso una narrazione originale, immagini nitide e pregnanti, documenti d’archivio inediti, ha saputo rendere il valore che l’opera poetica e fotografica di Antonia Pozzi acquista oggi, soprattutto per le giovani generazioni; il documentario del 2014 di Sabrina Bonaiti e Marco Ongania Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa. Antonia Pozzi (1912-1938), che ci restituisce la capacità, veramente straordinaria in Antonia, di introspezione e di relazione; la lettura di testi poetici e in prosa Tra arte e vita: Antonia Pozzi poeta (1912-1938), che costituisce una sorta di biografia, curata dal gruppo della web radio http://www.donnediparola.eu/.

Quest’importanza crescente che ha assunto la figura della Pozzi in ambito non solo europeo ha avuto possibilità di dispiegarsi grazie alla costante attenzione di Onorina Dino per l’Archivio Pozzi, da lei non soltanto attentamente curato, ma creato e accresciuto nel tempo, e consegnato nel 2014, già ordinato con una prima classificazione, al Centro Internazionale Insubrico di Varese. Certamente la ripubblicazione in varie edizioni, anche se a volte parziali, non solo delle poesie, ma anche delle fotografie, dei diari e delle lettere, le traduzioni in diverse lingue, i molti saggi critici hanno permesso l’ampliarsi della conoscenza di Antonia Pozzi da parte di un pubblico non specialistico, generando una vera e propria passione verso di lei..

Ma perché questo è accaduto, e perché soprattutto le donne, le maggiori lettrici oggi, vogliono incontrarla sempre più direttamente?

Quando una donna riesce a mantenere viva la sua voce originale e riesce a farla udire, andando oltre i canoni letterari e artistici del suo tempo, anche a costo di morirne, suscita in noi la voglia non solo di attingere alla sua opera ma di indagarne la vicenda umana. Aspiriamo infatti a “comprendere quelle vite femminili che contemplano il rischio e il desiderio di una realizzazione personale del mondo insieme a, o al posto di, un amore coniugale”, come diceva Carolyn Heilbrun (Amanda Cross), già nel 1988, nel suo libro Come scrivere la vita di una donna (p. 56).

Nella poesia della Pozzi, infatti, troviamo immagini e parole che ci restituiscono un sentire che tiene conto della corporeità; una poesia che sa essere vicina alle persone nella pienezza della loro umanità, sapendone cogliere la singolarità nei momenti quotidiani, tragici e gioiosi, dell’esistenza, magari solo attraverso un gesto, un elemento del vestire, un’emozione. Antonia sa essere vicina anche agli animali e alle cose, di cui vuole “rubare l’anima”, e dunque riesce a comunicare la forza dei luoghi: le montagne che amava scalare, le città di cui coglie la musica, la campagna lombarda e la periferia milanese, luoghi in cui lei stessa è presenza viva. Infatti lei “vive della poesia come le vene vivono del sangue” (lettera, 29 gennaio 1933), sa che nella scrittura è “necessario non recidere il legame vitale che intercorre tra problema di vita e problema d’arte” e che dunque “la risoluzione di un problema letterario […] rappresenta di per se stessa la risoluzione vivente di un problema di vita”.(Flaubert negli anni della sua formazione letteraria, pp. 8-9). Per questo nei suoi testi opera un cambiamento del simbolico, come il femminismo radicale chiama il mettere in parole, che la significhino fedelmente, l’esperienza umana, in particolare quella delle donne. Questo suo impegno – non capito dall’ambiente alto borghese in cui era nata e nemmeno dagli amici intellettuali del gruppo di Banfi, critici verso il fascismo ma incapaci di aprirsi alla differenza femminile – ora viene invece apprezzato e sentiamo che Antonia con le sue parole apre la strada a un senso nuovo dell’esistere.

La Pozzi è dunque un esempio di inestricabile intreccio di vita e opere, emblematico di alcuni percorsi, non certo facili, per mantenere la propria autenticità, che ancor oggi come donne siamo interessate a riconoscere. Per questo la pubblicazione dell’epistolario nel bel volume Ti scrivo dal mio vecchio tavolo. Lettere 1919-1938 ci offre la possibilità di avere una fonte diretta sul suo modo di sentire, creare e relazionarsi. Sono testi che si leggono come un romanzo, per la bellezza, la vivacità e, via via, la maggiore intensità della scrittura, in cui vediamo innanzi tutto emergere la “virtù della resistenza” come Carol Gillligan chiama lo sforzo che le giovani compiono per non cedere alle deformazioni che l’ordine patriarcale vorrebbe imporre loro. Possiamo cogliere ciò che la rafforza, come la profonda relazione con alcune amiche, con cui in alcuni momenti condividere quella splendida energia che viene generata dallo svolgimento con altre di un’attività nella sfera pubblica, penso all’amicizia tra Antonia Pozzi, Elvira Gandini e Lucia Bozzi, a cui sono dedicate delle poesie e indirizzate lettere sincere e toccanti che mostrano anche come sia difficile destreggiarsi tra l’amore dei e verso i genitori (pensiamo alla figura affettuosa e fragile della madre di Antonia e a quella generosa ma autoritaria del padre) e l’essere fedele al proprio sentire. Su consiglio delle amiche Lucia ed Elvira, conosciute alla biblioteca Braidense, la Pozzi si era iscritta all’indirizzo di Filologia Moderna presso la facoltà di Lettere e Filosofia della Regia Università di Milano (la “Statale”) ed Elvira l’aveva introdotta ai seminari del giovedì di Giuseppe Antonio Borgese, docente di Estetica. Con lei aveva condiviso anche un campeggio CAI a Breil nell’estate 1933 e discuteva del lavoro poetico e del dispiacere che le aveva provocato il giudizio negativo su di esso di Banfi. La “Cia”, Lucia Bozzi, fu la prima ad apprezzarne la vocazione poetica e la sostenne in momenti difficili. Interessante è anche il rapporto con Elisa Buzzoni di cui Antonia parla con Sereni in una lettera dove rivela un’acuta sensibilità nell’accettare tranquillamente di provare moti di sensualità per un’amica. Certo queste amicizie non si configurano come una società femminile, al cui interno si viene elaborando una consapevole e condivisa visione del mondo, ma furono ugualmente importanti perché consentirono ad Antonia di continuare il lavoro di sperimentazione su una parola autenticamente legata alla sua esperienza di vita. Anche con gli uomini l’amicizia è sentita da lei come scambio e confronto su comuni passioni – in questo caso la poesia e la letteratura – come con il suo grande amico Vittorio Sereni e in particolare con il poeta Tullio Gadenz, con il quale intrattenne un ricco scambio epistolare in cui rivela la complessità della sua poetica.

Nelle lettere ai familiari, scritte con una prosa vivace, possiamo seguire l’educazione cosmopolita di una giovane emancipata, i viaggi in Inghilterra e in varie località italiane, la pratica sportiva, dallo sci al tennis all’arrampicata, le letture colte, le visite ai musei, l’assiduità ai concerti e all’opera lirica presso la Scala e il Conservatorio di Milano, che rivelano come possa essere affascinante il nuovo modo di imprigionare una figlia amata in un ruolo più sottilmente convenzionale.

Come per molte scrittrici la concezione dell’amore e del rapporto con l’uomo era basata su un dialogo aperto: non vi era in lei il desiderio di conquistare, ma di essere compresa nella sua interezza. Per prima Antonia si innamorò di Antonio Maria Cervi, il suo ex insegnante del liceo di diciotto anni più vecchio di lei. Lo si capisce dalle lettere in cui la giovane passionale trascina l’uomo in questo rapporto, ostacolato dal padre di lei. Se Antonia ne ammirava la nobiltà d’animo e ne rispettava le convinzioni, tuttavia non accettava finzioni per compiacerlo. Ad esempio, riguardo ai tentativi di lui di accostarla al cristianesimo, mentre lei era volta a una ricerca di Dio al di fuori di ogni schema confessionale, dice che “sarebbe disonesto verso la mia coscienza il fingermi un dovere che non comprendo e non sento” (lettera 1° marzo 1932). Se di fronte al rifiuto del padre Antonia era disposta a combattere e se dalle sue lettere, a volte struggenti, sentiamo emergere un desiderio di superare le convenzioni sociali, Cervi invece cedette e le accettò.

Anche agli altri uomini con cui ebbe legami amorosi, Remo Cantoni e Dino Formaggio, Antonia propose un confronto serrato sulle sue aspirazioni intellettuali, sul lavoro di ricerca per la tesi su Flaubert, su scritti e progetti di scrittura, sul rapporto tra vita e poesia (un tema tanto sentito in ambiente banfiano, ispirato dal Tonio Kröger di Thomas Mann), sul lavoro fotografico, sulla frequentazione della periferia milanese, in particolare della zona di piazzale Corvetto. Purtroppo questa modalità di rapporto, intenso e insieme intimo, fuori dagli schemi del rapporto di coppia tradizionale, non venne corrisposto: nelle sue lettere appare evidente l’apertura all’altro, propria dell’intelligenza d’amore di molte donne, che tuttavia subisce lo scacco di un maschile che pretende di essere universale.

Dunque in queste lettere, ordinate cronologicamente, e nelle fotografie che le accompagnano vediamo svolgersi la vita di una donna di talento che ha lottato perché non fosse messa a tacere la sua autentica voce. E noi, continuando a leggere e osservare le sue opere, possiamo dire che c’è riuscita.

 


(Leggendaria, N.111, maggio 2015, pp. 37-39)

 

Antonia Pozzi, Flaubert negli anni della sua formazione letteraria, Premessa di Antonio Banfi, a cura di Matteo Mario Vecchio, Ananke, Torino 2013, 362 pagine, 24 euro. 

Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica, a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Àncora, Milano 2007, 112 pagine, 22 euro.

Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi. La più ampia raccolta di poesie finora pubblicata e altri scritti. A cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, con approfondimenti critici di Fulvio Papi, Dino Formaggio, Gabriele Scaramuzza, Eugenio Borgna, Giovanna Calvenzi, Goffredo Fofi e un intervento di Roberta De Monticelli, con dvd del film di Marina Spada, Poesia che mi guardi (2009, 50′, Italia, Miro Film), Luca Sossella Editore, Bologna 2010, 650 pagine, 20 euro.

Antonia Pozzi, Ti scrivo dal mio vecchio tavolo: lettere 1919-1938, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, con un contributo di Marco Dalla Torre; Postfazione di Tiziana Altea, Àncora, Milano 2014, 390 pagine, 26 euro.

Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue: Antonia Pozzi e la sua poesia, Viennepierre, Milano 2004. Ora riedito, con stesso titolo e prefazione di Onorina Dino, Àncora, Milano 2012, 340 pagine, 24 euro.

Graziella Bernabò, Onorina Dino, Silvia Morgana, Gabriele Scaramuzza (a cura di), … e di cantare non può più finire…: Antonia Pozzi (1912-1938), atti del convegno, Milano 24-26 novembre 2008, Università degli Studi – Dipartimento di Filologia Moderna – Dipartimento di Filosofia; a cura di, Viennepierre, Milano 2009, 433 pagine, 30 euro.

Graziella Bernabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, Carocci, Roma 2012, 340 pagine, 24 euro.

Martina Corgnati, Meret Oppenheim. Afferrare la vita per la coda, Johan &Levi editore, Monza 2014, 540 pagine, 35 euro.

Carol Gilligan, La virtù della resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere, Moretti & Vitali, Bergamo 2014, 167 pagine, 16 euro.

Carolyn Heilbrun Come scrivere la vita di una donna, La Tartaruga, Milano 1990, 172 pagine.

Sabrina Bonaiti e Marco Ongania, Il cielo in me. Vita irrimediabile di una poetessa. Antonia Pozzi (1912-1938), (2014, Italia, Emofilm in collaborazione con Acel Service e Comune di Pasturo).

Marina Spada, Poesia che mi guardi (2009, 50′, Italia, Miro Film).

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