VD 104: L’epoca delle connessioni tristi

di Loretta Borrelli

liberi pensieri di una sviluppatrice web


“Grazie alle nuove tecnologie

mi informo in un attimo e dimentico all’istante”

(affissione creativa, quartiere Ticinese, Milano)


IL MIO LAVORO E LA POLITICA.
La tecnologia della rete è il mio lavoro. Faccio la sviluppatrice di siti internet, di applicativi per il web e per i social networks. E sono anche considerata brava nell’ambiente. Ma da un po’ di tempo, mettendo a confronto la mia esperienza di lavoro e quella politica, sento l’urgenza di porre un problema: il mondo della rete cambia in maniera automatica la vita quotidiana e anche il modo di fare politica. I modelli di comportamento del network debordano nella vita personale senza che ce ne accorgiamo, e la riducono. Si scambiano le connessioni per relazioni. Il mio non è un attacco alla tecnologia. Ma c’è un inganno, perché quello che era un linguaggio specifico, non è più specifico, è diventato il linguaggio.


UNA VITA A MISURA DI FB
.
All’inizio la rete è nata creando grandi categorie logiche che corrispondessero ad alcune grandi categorie della vita quotidiana, prima fra tutti quella relazionale, che adesso è la più evidente. Queste categorie vengono assunte come parametri di qualità (e di valore finanziario. Facebook è stato quotato in borsa: ogni profilo è valutato 100 dollari e considerato che ha un miliardo di utenti…). L’esempio più evidente è l’uso della parola amici in fb. Fb nasce come social network di dating, appuntamenti, poi si allarga agli amici di scuola, all’area del ricordo, riprendere rapporti del proprio passato. Oggi fb ha assunto un ruolo importante nella vita di tutti, a parte l’aspetto commerciale: modifica la socialità virtuale e quella reale. Per esempio, sono emersi aspetti preoccupanti nel fatto di rendere pubblici tutti gli aspetti della propria vita.


TEMPO, LUOGO, CONTESTO
.
Fb non crea relazioni, crea uno scambio di informazioni. Mi arrivano le richieste più disparate da persone che conosco in ambiti diversi – per esempio il mio paese di origine o il mio lavoro a Milano – e che conoscono aspetti diversi della mia vita. Così le relazioni diventano indifferenziate. E tutti gli aspetti della mia personalità sono contemporaneamente visibili a tutti (ora fb è corso ai ripari creando le liste).

Invece, nelle relazioni non di rete si parte dai punti di affinità, ma poi c’è un lento processo di avvicinamento. Ho tante amiche care, ma non racconto subito tutto a tutte. La relazione in presenza è un processo che tu costruisci, è lento, comporta anche conflitti e implica scelte da parte delle persone coinvolte. Condividere, approcciarsi. Anche nel tempo. Lì invece c’è una timeline stabile e intoccabile che nel corso della vita sposta anche il ricordo. Che viene congelato e appiattito nel tempo e nello spazio. Sono tutte categorie immutabili e intoccabili. Classi di dati che hanno poche proprietà e solo quelle. E per tutti i tipi di relazione.

Un flusso molto rapido di scambio e di connessioni che però comporta una diminuzione forte del tempo a disposizione per le relazioni in presenza. Siamo produttori continui di informazioni che vengono messe in rete. Ma più che la lotta alle grandi multinazionali che mettono a valore queste produzioni immateriali, mi interessa denunciare il danno sul piano simbolico, e alla nostra capacità di creare relazioni politiche.


SFUMATURE
.
È il simbolico che si modifica. Oggi i discorsi in presenza risultano molto più faticosi. Perché sono più ricchi di elementi – voce, postura – che la rete taglia via. Provocando una diffusa ostilità. Nelle mail, nei post, su fb infatti, capita spesso che la scrittura risulti aggressiva, non si riesce a percepire la leggerezza, la sfumatura ironica, ecc. questo genera conflitti che sono per lo più fraintendimenti. Adesso, benché l’aggressività sia sempre molto presente, tutti hanno imparato controllare il rischio semplificando i testi e aggiungendo iconcine e immagini. Con questi sistemi si è imparato a eliminare l’aggressività e il fraintendimento. Ma la relazione in presenza è tutt’altra cosa. Siamo disarmati di fronte a questa complessità e ricchezza. Ci spaventa. Tanto da considerarla a volte meno concreta di quella delle connessioni in rete.

 

NARRAZIONE. Ti incontri in fb e poi ti dai appuntamento al bar. E lì si vede che abbiamo perso la capacità di narrazione. Nel grande marasma del network funziona chi strilla di più. Non c’è la possibilità di ascoltare, non ci sono gli strumenti. Si è impoverita la capacità individuale di focalizzare e raccontare la propria esperienza ad altri e ragionarci insieme. Di dire che cos’è la propria vita. Molti parlano di commercio relazionale riferendosi ai social network, e dicono che c’è “consumo di relazioni” per la facilità con cui si aggiungono e si perdono amici e contatti e ci si scorda che esistano. Chiara Zamboni diceva giustamente che non si può consumare la presenza. E allora il primo passo è di liberarsi davvero dell’idea che quelle siano relazioni. Più lo capisco più divento insofferente per queste confusioni. La tecnologia serve perché crea mondi. Sono strumenti utili come scambio di informazioni. Ma bisogna rispondere con la realtà delle relazioni personali, della presenza.

 

DIFFERENZE E CONFLITTI. Stiamo perdendo anche la capacità di veri conflitti. In una relazione in presenza metto in gioco la mia capacità di confliggere e di creare spostamenti. Il conflitto non è distruttivo: al contrario, serve a costruire la relazione perché ti mette in rapporto con la differenza dell’altra. In rete invece non ci si misura davvero con le differenze: non ci sono, sono appiattite. Emergono su argomenti astratti, lontani da te, che non ti mettono in gioco. Come essere opinionisti su argomenti generici. In un costante talkshow in cui ognuno “emerge” sulla spinta dello sfogo individuale incontrollato. Su argomenti che un giorno mi interessano e il giorno dopo non mi interessano più. Rabbia. Senza ascolto. Perché sono “amicizie” che si basano sui punti di connessione, sono ancorate lì e si perde la capacità di mettere in gioco le differenze che poi sono alla base di un conflitto che sia costruttivo.

 

AMICHE. Le amiche ci sono, è vero che le relazioni non si possono consumare. Ma quando ho incontrato di persona una collega conosciuta prevalentemente via mail, c’è stato imbarazzo, quasi come se non ci si conoscesse. Era nuova. Un imbarazzo strano, come se ci fossimo appena conosciute ma con la confidenza di chi conosci da tanto tempo. Mi sono sentita nuda di fronte a un’estranea, una persona che hai il dubbio di non conoscere abbastanza. Poi a poco a poco abbiamo recuperato tutti gli scambi virtuali e siamo diventate amiche e lavoriamo bene insieme. Ma è stato l’incontro in presenza che ha dato senso agli scambi precedenti.

 

PARTECIPAZIONE. Sono stata moderatrice di una mailing list (l’antecedente dei social network): AHA, i cui temi di interesse sono arte, attivismo politico, tecnologia. Per anni è andata avanti vivacemente. Quando la discussione stava un po’ consumandosi abbiamo deciso di incontrarci. È stato stranissimo vederci di persona. Abbiamo finalmente capito i toni di ognuno. E poi: prima gli scambi erano informali, ma legati ai temi, dopo gli incontri di persona sono nate relazioni politiche e di amicizia. Sono nati progetti comuni che tenevano insieme arte politica espressione di sé. Ma non è scontato che accada questo passaggio. Ce ne sono tante di mailing list che indicono cose, ma poi muoiono. Nascono e muoiono. Non è un caso che quella fosse gestita da donne con coscienza femminista. Abbiamo voluto fare un incontro che non fosse solo workshop e seminari ma anche discussione collettiva, racconto e scambio. In questo raccontarsi non usiamo la parola autocoscienza, ma relazione e partecipazione, sentirsi parte, raccontare l’esperienza.

Il limite era l’impiccio della teoria politica. La postura di molte/i infatti era far discendere le idee dalla teoria politica e questo limita la partecipazione. Avremmo voluto più spostamento, però qualcosa è accaduto.

Sarebbe stato impossibile fare questo passaggio solo attraverso le mail o in un gruppo di programmatori che crede nelle proprietà salvifiche della tecnologia. Non puoi proprio chiedere a un programmatore di questo tipo di mettersi in gioco in prima persona. C’è la verità del codice e basta. La purezza e la bellezza di un codice ben formato, efficiente e pulito. Certamente un bel codice ha un’estetica che provoca in alcuni, soprattutto uomini, grande esaltazione. Ma c’è miseria dal punto di vista simbolico. Questa pochezza emerge dalle interfacce (categorie come amicizia, legame, seguire) e non c’è bisogno di addentrarsi nella profondità del codice per capirlo.

Questa modalità di partecipazione attiva e diffusa l’abbiamo vista in azione anche a Paestum ed è frutto di una pratica di relazione in presenza fisica, completamente diversa, ad esempio, da troppe assemblee studentesche.

 

NUOVO UNIVERSALISMO. Twitter ha assunto una valenza politica forte, come se fosse lo strumento attraverso cui le masse riescono a parlarsi (primavere arabe) ma si è dimostrato che non è vero.

Alcuni teorici collegano questi strumenti alla nascita di politica orizzontale: lo spazio dell’autonomia in cui i soggetti si liberano della paura, un processo evolutivo che li trasforma in soggetti politici. I programmatori poi, considerano quello della programmazione come un linguaggio universale capace di rendere tutti gli aspetti della vita. Per loro il linguaggio matematico è una verità unica e universale; la capacità di programmazione diventa espressione della loro capacità di pensiero. Io lo considero semplicemente uno strumento, un codice condiviso all’interno di quell’ambito. Invece c’è in giro una fede assoluta in questi strumenti. Non si tratta di essere pessimisti o ottimisti sulla tecnologia. Solo di non crederci come unica verità possibile.

 

POLITICHE E POLITICA. Ci sono iniziative politiche lanciate in rete e sviluppate nelle connessioni di rete: su obiettivi e parole ideali, perché per essere lanciati così, devono essere buoni per tutti. Le persone alla fine si incontrano all’appuntamento, ma si sperimenta un enorme senso di solitudine e di distanza dagli altri. Si sente di non avere le parole per tradurre agli altri il proprio sé, perché si deve rimanere aderenti ai principi lanciati all’interno del social network. Non si coglie l’occasione dell’incontro di persona. Al contrario si percepisce di più l’isolamento.

Anche nel lavoro, non sono la mancanza di reddito certo e di carriera le cose di cui soffro di più. Ma l’essere risucchiata in questa rete di connessioni e sentirmi sempre più isolata. Il mio tempo sempre più mangiato da questo modo di vivere i rapporti a discapito di una relazione che mi permetta di creare tessuto politico. Questo mi rende triste sul lavoro.

L’unica politica che mi interessa è mettersi in gioco. Invece nelle politiche di massa hanno la meglio i social networks, perché quelle politiche hanno bisogno di parole chiave, hashtag che flash-mobilitano per una volta: ci si aggrega per sentire, sentire e basta, e subito dopo sei completamente sola/o.

(testo raccolto da Giordana Masotto)

 

Print Friendly, PDF & Email