VD 105: E in risposta i due punti

di Vita Cosentino

vengano messi punti interrogativi,
e in risposta – i due punti:

Wislawa Szymborska


Parecchie cose sono capitate all’insegna della prima volta, ma non quella desiderata. È la prima volta che in Vaticano abbiamo due papi sotto lo stesso tetto: uno che ha dato le dimissioni, l’altro che viene dalla fine del mondo. Passiamo il Tevere: mai prima un presidente aveva ricevuto un secondo mandato, e per giunta a ottantotto anni. Ancora: un movimento di protesta stile
indignados ha quasi vinto le elezioni politiche. È capitato tanto altro in questi mesi, per esempio le dimissioni di Bersani e di tutta la segreteria PD, con conseguente pericolo di spappolamento, l’ingessatura del Movimento 5 Stelle… Porto l’attenzione sui due primi avvenimenti perché più chiaramente mi parlano. Sono così fuori dalle consuetudini e dalle regole che fanno percepire la protervia dell’organizzazione maschile del potere, che, però, non regge più e si sta sgretolando. C’è una differenza tra i due. Il primo, il Vaticano, permane un fortilizio maschile anche nelle sembianze esterne. Durante l’elezione del nuovo papa ha fatto veramente specie vedere in televisione i cortei cardinalizi senza neanche una donna. E non è bastato il richiamo alla povertà del nuovo eletto a compensare quella brutta impressione. La Repubblica Italiana, per contro, ha registrato una presenza significativa di donne in Parlamento e l’aspetto più nuovo – che può dare o non dare dei frutti – è l’elezione di un certo numero di candidate, soprattutto M5S, che non vengono dalla politica di professione. Ma non basta a compensare la brutta e veritiera impressione di ricostituzione della casta che si ricava dall’esito del lungo periodo post-elettorale. Tassello dopo tassello è stato varato il governissimo che rimette in pista personaggi corruttori che dopo venti anni sembravano finalmente fuori gioco.

Via Dogana interviene in questa materia viva della politica istituzionale con un giudizio drastico: bocciati. E con un umore a volte amaro, a volte rabbioso, a volte più equilibrato, a volte ironico, mai conciliante, sempre ragionante. In apertura, il grido di Teresa d’Avila contro la gerarchia ecclesiastica che la obbliga alla clausura e le vieta praticamente di leggere.

Alla lezione di fermezza che viene dal passato sembrano rispondere donne del presente che non demordono, non lasciano perdere, vanno avanti nella lotta. Sto pensando a Vicenza. Il 25 aprile sono andate in piazza e sul palco con le bandiere della pace listate a lutto, a significare il perdurante regime di servitù militare che grava sulla loro città. Insieme a tante altre associazioni hanno impedito ogni finta pacificazione. Nel numero compaiono anche donne che si sono fatte strada nella società senza farsi corrompere, sindacaliste che si interrogano criticamente sulle politiche da portare avanti, e altre che intervengono su questo difficile presente. Siamo la rivista di una libreria che non si contenta di parole e cerchiamo racconti per coinvolgere e farci coinvolgere. «Si tratta di finirla con quel femminismo, compreso quello radicale, che si lascia poco coinvolgere da quanto accade in Italia e nel mondo» (Luisa Cavaliere, Lia Cigarini, C’è una bella differenza, et al /edizioni, Milano 2013).

Oggi capita sempre più spesso di ascoltare donne che si espongono e trovano parole efficaci. Sto pensando, per esempio, a Cécile Kyenge, neoministra in questo governo che non ci piace. Ha detto: «Chiamatemi la ministra nera. Non sono di colore, sono nera e dire le cose come stanno fa bene». Oppure penso alla figlia di Enzo Tortora, Silvia, che ha definito “blasfemo” il signor B. che in piazza a Brescia si era paragonato a suo padre.

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