VD 93: “THE MOTHERS OF US ALL” di Betty Friedan

di Simonetta Patanè

Questa pagina non è una rubrica, è piuttosto uno spazio dove reinterroghiamo i testi di alcune donne che hanno pensato prima di noi, con noi, e i cui libri non sono più in commercio. È un’indicazione di lettura che ci aiuta a tenere lo sguardo sul presente, sapendo il grande orizzonte in cui possiamo collocare la nostra domanda di senso. Una breve scheda con un libero commento, per continuare a pensare il cambiamento, senza dimenticare. Fateci sapere se vi piace, vi serve, vi interessa.
Liliana Rampello

La mistica della femminilità di Betty Friedan, uscito nel 1963, ha per tema qualcosa che oggi è arcinoto. La figura della donna “moglie-madre-casalinga” è, infatti, talmente diffusa nell’immaginario da apparire una sorta di archetipo. L’abbiamo vista nei film hollywoodiani degli anni Cinquanta e la ritroviamo nei telefilm contemporanei: chi non la riconosce nel personaggio di Brie Van de Kamp delle Desperates housewives? Look impeccabile in qualsiasi situazione, mai un capello fuori posto, scarpe e accessori perfettamente abbinati nell’imprescindibile colore pastello, grembiulino immacolato mentre è intenta a cucinare succulenti manicaretti per il marito e la famiglia, disposta a ogni sacrificio e a ogni bassezza per spianare ai figli la strada del successo. Proprio quell’aggettivo desperates sta a indicare che, grazie a libri come questo, la mistica è stata demistificata e il retroscena della felicità senza incrinature della casalinga perfetta è stato svelato. Rileggere oggi questo testo è innanzitutto l’occasione per ricordarci che questa immagine non è un archetipo dell’inconscio collettivo ma una costruzione ideologica che ha modificato, distorto, manipolato la coscienza e l’intera vita reale delle donne della società americana e di riflesso anche di quella europea, tra gli anni Quaranta e gli anni Sessanta del XX secolo. La mistica è un complotto, così la definisce la Friedan che si dedica nei quattordici dettagliatissimi capitoli a smontarla pezzo pezzo. Non è però la lettura delle singole analisi che rende il libro interessante perché molte di esse sono state ulteriormente approfondite o superate dal pensiero e dalla ricerca delle donne che proprio nella Friedan hanno trovato ispirazione e una base scientifica. Piuttosto in questo lavoro di decostruzione possiamo vedere all’opera i meccanismi di costruzione e le reali dimensioni del complotto e questo sì che è molto interessante al punto da togliere il respiro.
Da una parte si vedono almeno tre generazioni di donne che, per paura di affrontare il vuoto della loro identità e di godere di quella libertà guadagnata anche per loro dalle prime femministe, voltano le spalle alle loro madri e si lasciano catturare dall’adesione al ruolo che la società ha preparato per loro – professionista del lavoro domestico, esperta educatrice e seducente amante – e accettano di non istruirsi, di essere “stupide” e infantili per avere in cambio una vita piena di orgasmi. Questo il premio messo in palio dalla mistica.
Dall’altra ci sono gli esperti che, a diverso titolo, intervengono con saggi, discorsi, dichiarazioni, omelie e programmi educativi per definire i contorni del ruolo della casalinga perfetta e per dare a questo una legittimazione sacra e scientifica. Non che pubblicitari, sociologi, educatori e giornalisti si siano messi d’accordo e abbiano organizzato il complotto in maniera consapevole ma, dice la Friedan, di fatto processi apparentemente indipendenti di elaborazione del sapere, soprattutto in psicologia, antropologia e sociologia, si sono cumulati ottenendo come effetto complessivo la costruzione di una vera e propria gabbia di ingiunzioni sociali che chiude le donne da tutte le parti. Una cappa opprimente senza scappatoie.
Il senso di soffocamento alla fine del libro è tale che sapere come è andata a finire è una consolazione: solo pochi anni dopo l’uscita de La mistica della femminilità la rabbia è esplosa per sfondare quella cappa e le donne hanno ricominciato a respirare. Mi è sembrato del tutto ovvio che le studentesse abbiano partecipato in massa al movimento del ’68, che si siano messe a sperimentare libero amore e libera ricerca di sé e che lo abbiano fatto per via di autocoscienza e di relazione tra donne: non ci si poteva fidare proprio di nessuno al di fuori delle proprie simili-sorelle.
Ma l’inquietudine di fondo rimane.
Perché questo libro mostra come sia tutto sommato facile in una ventina d’anni costruire scenari immaginari e identità fittizie sulla base di pure assurdità – come quella, ad esempio, di associare l’istruzione superiore femminile a una diminuzione della capacità di raggiungere l’orgasmo – dare a queste un fondamento scientifico e senza tanto clamore, sventolando false promesse, rimettere le donne a posto. La mistica, è vero, è stata demistificata ma la tentazione di ruolizzare le donne è ancora forte. Perché la donna che la Friedan vuole vedere entrare in società, competere con gli uomini superando i pregiudizi, quella che non si conforma al ruolo, pensa di testa sua, non accetta di vivere a un livello inferiore alla sua intelligenza e sceglie dove stare e in che modo starci, come correttamente paventavano gli esperti smascherati dall’autrice, fa vacillare tutto l’impianto della società moderna e occidentale e fa paura oggi come allora. Anche di più.

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