18 Ottobre 2016
Quotidiano del Sud

Abbandonare la strada dell’utero in affitto

di Franca Fortunato

L’EUROPA, nei giorni scorsi, per la terza volta ha detto “no” all’utero in affitto, detto anche maternità surrogata o Gpa (gestazione per altri), respingendo il Rapporto della senatrice dei verdi Petra De Sutter. Il rapporto chiedeva di introdurre linee guida per proteggere i diritti dei bambini nati da accordi di maternità surrogata. In Italia tale pratica è vietata. Alle spalle della decisione europea ci sono mesi di accese discussioni pubbliche in Italia e nel mondo. Un dibattito che ha preso l’avvio in Francia nel 2015 in seguito ad un appello di intellettuali, donne – tra cui numerose femministe – e uomini, a cui è seguito, nel febbraio scorso, un convegno mondiale a Parigi, conclusosi con l’approvazione della “Carta per l’abolizione universale della maternità surrogata”. Anche in Italia si sono susseguiti appelli, interventi, articoli, prese di posizioni, anche di molte femministe nonostante pratiche politiche differenti. Luisa Muraro, filosofa e fondatrice in Italia, insieme ad altre, del femminismo della differenza, è entrata nel dibattito con articoli, interventi e con un suo libro dal titolo «L’Anima del corpo. Contro l’utero in affitto», dove affronta solo la pratica della maternità surrogata all’interno del mercato. Nel libro argomenta come l’utero in affitto sia una strada da non prendere per salvare civiltà e umanità. La cultura del mercato, del neoliberismo, con la maternità surrogata, si è impadronita delle conquiste femminili, facendo passare il profitto per libertà di scelta e trasformando nove mesi di vita di una donna in merce, da vendere e comprare. La libertà femminile di suo non ha bisogno di diritti. L’utero in affitto non è un diritto, avere un figlio a ogni costo non è un diritto. Nella maternità per altri la legge la fanno i soldi e il desiderio di essere genitori in primo luogo deve trovare i soldi per realizzarsi. Muraro invita, ci invita più che a firmare appelli o a fare schieramenti, a pensare, a darci il tempo per pensare «visto che ci troviamo di fronte a un’idea, quella del commissionare la confezione di una creaturina umana con un regolare contratto commerciale, mai apparsa neppure in qualche romanzo di fantascienza per descrivere gli usi e i costumi di una civiltà aliena». È quello che lei fa, cercando argomenti con cui sostenere le sue tesi, col fine di svegliare le coscienze di noi donne – perché è di noi innanzitutto che ci parla l’utero in affitto, della nostra libertà, del nostro corpo – e renderci consapevoli dei rischi che corriamo quando mercato e tecnica insieme si impadroniscono del nostro sacrosanto desiderio di essere madri (e padri). Dove ci sta portando il mercato, si chiede Muraro? Verso l’eliminazione della relazione materna che «ha il suo fulcro nel rapporto che si stabilisce nei mesi di gravidanza e con il parto, seguiti da cure affettuose nei primi mesi e anni di vita». «Ci sono cose sgradevoli e contrarie alla civiltà e altre che la favoriscono. La relazione materna è una di queste ultime». Possiamo accettare che l’interruzione venga programmata senza una necessità? Chi veramente surroga? Surrogati sono la madre e il padre che si mettono al posto della gestante, rompendo la relazione madre-figlia/o che è l’origine della venuta al mondo per ognuna/o di noi. Verso la rottura di quel sentimento e pensiero del continuum materno (l’essere figlia di una madre che era anche lei una donna, figlia di una madre che era anche lei… fino alle origini) che aiutano la libertà femminile e il valore simbolico della maternità. La genealogia femminile, che passa dalla relazione tra due donne, madre e figlia, assicura questa continuità nel compito di dare la vita e d’insegnare a parlare. Il femminismo si è molto impegnato ad approfondire e migliorare questa relazione. Verso l’annullamento della asimmetria della maternità e paternità e verso una nuova forma di subordinazione delle donne al maschile. Da sempre l’uomo ha dato alla procreazione un contributo materiale, solo biologico; la paternità tradizionale, infatti, consiste più nel fatto simbolico (il nome) che nell’esperienza vissuta. Non così la donna che alla procreazione dedica anima e corpo per mesi e anni, ricavandone gioie e dolori che ricorderà per tutta la vita. E che per farlo corre rischi per la salute e la vita stessa. Verso una perdita di civiltà e umanità. «La maternità surrogata contrasta con lo spirito della civiltà europea. Di una civiltà che non vuole la vendita di organi né di altro materiale del vivente. Ma la donazione […]». Il passaggio di soldi va vietato per legge come per l’adozione e la donazione di sangue e di organi. È questo un principio di civiltà e umanità. L’etica della donazione può essere trasferita anche alla maternità, in forma di utero di una donna che lo mette liberamente a disposizione di altre? In un articolo Muraro risponde: «Deve essere un dono e la gratuità deve essere certa, affidabile». È questa la strada che si sta tentando di intraprendere in India, dove il governo – come scrive Clara Jourdan sul sito della Libreria delle donne di Milano – si appresta a cambiare la legislazione vigente, che ha fatto del Paese la capitale dell’utero in affitto con più di 500 cliniche e un fiorente mercato, grazie ai costi “contenuti” rispetto ai Paesi occidentali. Il governo indiano, infatti, nell’agosto scorso ha presentato una nuova normativa al parlamento che sarà discussa in novembre o dicembre che prevede che solo le coppie sterili indiane sposate da almeno cinque anni potranno ricorrere alla surrogazione di maternità e solo con una donna parente stretta di uno dei coniugi. Alle donne che si presteranno, e potranno farlo solo una volta, verranno comunque assicurati il rimborso delle spese mediche e un’assicurazione sanitaria. Se la legge sarà approvata, la maternità surrogata sarà consentita solo in forma altruistica – come dice il comunicato del governo. Non utero in affitto, dunque, ma maternità gratuita, maternità solidale, dove la continuità della relazione materna è garantita dalla prossimità delle due donne, colei che aiuta un’altra ad essere madre e colei che riceve gratuitamente e liberamente. Muraro nel suo libro non manca di sottolineare la superiorità morale dei genitori adottivi perché sono persone che subentrano nei ruoli di padre e madre a riparare una discontinuità nella relazione materna (e paterna) accaduta in precedenza, quando e come non doveva accadere. Essi meritano di chiamarsi madre e padre. Si è ancora in tempo ad abbandonare la strada dell’utero in affitto.

 

(Quotidiano del Sud, 18 ottobre 2016)

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