1 Novembre 2012
la Repubblica

Aulenti, archistar “artigianale” mai travolta dalle mode

Nata a Udine da genitori meridionali, girò l’Italia e il mondo. Oltre alle sue opere, va ricordato il suo impegno civile e politico. Nel 2009 con Gregotti e Fuksas lanciò sul nostro sito un appello contro il piano casa del governo Berlusconi

di Francesco Erbani

 

Gae Aulenti, morta oggi a Milano 1 poco prima di compiere gli 85 anni, era un personaggio popolare sulla scena dell’architettura italiana ed europea, ma non ha mai partecipato allo star system. È stata un’architetta che si è misurata con le mode, ma senza farsene travolgere, conservando un’attitudine artigianale.

Nasce vicino a Udine, ma le sue origini familiari sono meridionali, un padre pugliese, una madre napoletana, un nonno che aveva insegnato a Palermo. Il nome Gae, un vezzeggiativo per Gaetana, porta iscritto questo versante geografico. Tutta la sua formazione è però divisa fra Firenze, dove studia al liceo artistico, Torino, dove si trasferisce negli anni di guerra, Biella, da dove parte per piccole missioni di staffetta partigiana durante la Resistenza. Nel 1948 è a Milano, al Politecnico, dove si laurea nel 1953. Due anni dopo entra nella redazione di Casabella diretta da Ernesto Nathan Rogers, che seguirà poi come assistente di Composizione architettonica, nella seconda metà degli Anni Sessanta (prima aveva lavorato a Venezia con Giuseppe Samonà).

Ma non è l’università il luogo migliore dove esprimersi. La Milano fra gli anni Cinquanta e Sessanta è quella del design industriale, della riproducibilità per il consumo di oggetti che dovrebbero rendere più agevole il lavoro e la vita quotidiana. E in questo laboratorio di idee Gae Aulenti forma il proprio gusto, sperimenta la propria disciplina. Il design, l’arredo, gli interni: la sua sensibilità si modella intorno ai bisogni di una società che conquista il benessere. Era una Milano che lei ha più volte raccontato, le regie teatrali di Luchino Visconti, l’industria culturale, Elio Vittorini. Rogers, poi, spalancava le finestre sugli orizzonti del moderno e del razionalismo in Europa e nel mondo. Lui stesso, insieme a Belgiojoso e Peressutti e poi Gio Ponti, Albini, Bottoni, Gardella.

Aulenti conosce Olivetti, e i suoi primi lavori sono uno show room per l’azienda di Ivrea a Parigi e a Buenos Aires. Ma, a un certo punto, anche Milano le sta stretta. Dall”80 all’86 progetta e realizza la trasformazione della Gare d’Orsay nel Musée d’Orsay per raccogliere in questo grande edificio eclettico di fronte al Louvre i quadri degli impressionisti e dei post-impressionisti. Esito discusso, troppa preponderanza d’allestimento, sovrabbondanza di materiali. Il risultato è comunque un museo fra i più visitati in Europa, portatore di un marchio culturale di sicura attrazione.

E in effetti i musei sono il luogo della più attiva sperimentazione di Gae Aulenti. A Parigi seguiranno il Museo nazionale d’arte moderna al Centre Pompidou, a Barcellona il Museo d’arte catalana, un lavoro che la tiene impegnata quasi vent’anni (si chiude solo nel 2005). Verranno poi le ristrutturazioni di Palazzo Grassi a Venezia, acquistato dalla Fiat, e delle Scuderie del Quirinale a Roma, quindi lo Spazio Oberdan a Milano, il Castello Estense di Ferrara. L’ultimo intervento di questo genere è a Palermo, in Palazzo Branciforte, nel centro storico della città.

Dal nucleo antico di Palermo a quello di Napoli. Gae Aulenti ha raccolto con forte tempra creativa la sfida di trasformare in luoghi attraenti le stazioni della metropolitana. Un luogo pubblico, uno spazio frequentato dai più abbienti, ma soprattutto dai meno abbienti, che l’amministrazione voleva elevare di rango anche estetico. Gae Aulenti ne ha realizzate due di stazioni: quella al Museo Nazionale Archeologico e quella a Piazza Dante. Di lei non vanno dimenticate le opere di design, le lampade, i tavoli e il grande edificio per l’Istituto italiano di cultura a Tokyo.

Ma un altro tratto che la Aulenti lascia di sé è quello civile e politico, le sue battaglie perché Milano tornasse all’altezza di una dignità culturale smarrita o l’appello, promosso su repubblica.it nel 2009

 

(la Repubblica, 1 novembre2012)

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